Carlo Pillinini*

Le assicurazioni nella nautica da diporto



Sommario: 1. Premessa. – 2. L’assicurazione di responsabilità della nautica da diporto. – 2.1. La normativa applicabile. – 2.2. La disciplina del codice delle assicurazioni private (C.A.P.) per l’assicurazione dei «natanti». – 2.3. L’oggetto della copertura assicurativa obbligatoria.





1. Premessa. -

Il nuovo codice della nautica da diporto (d. lgs. n. 171/2005) si occupa dell’assicurazione all’art. 41, che fa parte del Capo V, contenente norme sulla «Responsabilità derivante dalla circolazione delle unità da diporto».

L’inserimento nel Capo V già di per sé rende evidente che il codice intende regolare unicamente le assicurazioni di responsabilità, previste, in termini generali, dall’art. 1917 cod. civ. A conferma di ciò, l’art. 41 è rubricato «Assicurazione obbligatoria» e richiama l’abrogata legge 24 dicembre 1969, n. 990 e successive modificazioni, regolante le coperture di responsabilità civile verso terzi nel corso della navigazione. Il rinvio contenuto nell’art. 41, come si vedrà, deve ora intendersi, stante l’abrogazione, a partire dal 1.1.2006, della l. n. 990/1969, al «codice delle assicurazioni private», introdotto con il d. lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

Alla riforma delle disposizioni in tema di nautica da diporto si è sovrapposta, quindi, la nuova disciplina delle assicurazioni private, conferendo centralità e particolare rilevanza alle coperture di responsabilità civile ed ai principi mutuati dalla normativa in tema di R.C. auto. Il rinvio alle norme prettamente civilistiche indica chiaramente la volontà del legislatore, già espressa nella normativa precedentemente in vigore (e ci si riferisce in particolare alla l. n. 990/1969), di sottrarre l’assicurazione obbligatoria R.C. della nautica da diporto alle assicurazioni marittime, come regolate dal codice della navigazione. Si tratta, in verità, di un percorso in controtendenza rispetto alla tradizionale classificazione delle coperture assicurative, che prevedeva l’inserimento, anche per il diporto, della garanzia accessoria del «ricorso terzi» nell’ambito dell’assicurazione marittima «corpi». Tale evoluzione ha fatto sì che le coperture di R.C. della nautica da diporto siano state sempre più trattate, a livello assicurativo e liquidativo, dai rami R.C. delle compagnie di assicurazione, anziché dai tradizionali rami trasporti, talvolta comprendendo pure le polizze corpi, distinte da quelle di responsabilità civile.

La volontà espressa dal legislatore di non ricondurre le coperture per il diporto alle assicurazioni marittime non può essere, almeno a parere di chi scrive, un segnale positivo, essendovi il rischio di vanificare un patrimonio di esperienze derivante dalla tradizione marittimistica.

Ricondurre l’assicurazione R.C. dalla nautica da diporto ai principi regolanti la R.C. Auto fa venir meno l’indiscutibile specificità delle coperture, con l’effetto di rendere applicabili, anche alla materia che ci occupa, norme elaborate con finalità del tutto diverse (si pensi, ad esempio, alla disciplina della liquidazione del danno biologico od all’«indennizzo diretto»).

La scarsa attenzione posta dal legislatore del nuovo codice delle assicurazioni private (di seguito C.A.P.) al diporto è dimostrata pure dall’assenza di reale coordinamento con le norme del codice della nautica da diporto (di seguito c. dip.). A tal proposito, è ben vero che l’art. 1 lett. qqq) del C.A.P. si riferisce all’«unità da diporto» come «il natante definito all’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, recante il codice della nautica da diporto»; ma lo stesso art. 1 alla lettera ll) definisce il «natante» come «qualsiasi unità che è destinata alla navigazione marittima, fluviale o lacustre e che è azionata da propulsione meccanica», con definizione non corrispondente a quella del c. dip.

Al di là di un pur apprezzabile (nelle intenzioni) richiamo nelle definizioni dell’art. 1, si può facilmente rilevare che il legislatore del C.A.P. non si è minimamente curato del coordinamento con il codice della nautica da diporto, così perdendo una buona occasione di adeguamento, se non altro sotto un profilo terminologico. Si assiste allora ad un utilizzo non chiaro dei termini «unità da diporto» e «natante», persino nelle stesse definizioni (art. 1 lettere ll e qqq del C.A.P.), se è vero che, secondo la stessa, come visto sopra, l’unità da diporto è un natante mentre il natante è un’unità da diporto (!), sia pure azionata da propulsione meccanica.

Anche le ulteriori norme del C.A.P. non paiono sempre coerenti sotto il profilo terminologico, posto che mentre talvolta natante ed unità da diporto sono considerati sinonimi, in altri casi, tali termini vengono posti in alternativa. Significativo, a tal proposito, è l’art. 123 del C.A.P.: nella rubrica viene utilizzato il termine «natante», nel primo comma il termine «unità da diporto» , nel secondo comma «natanti» (come sinonimo di «unità»). Nel quarto comma, invece, i termini «unità da diporto», «natante» e «motori amovibili» sono utilizzati come alternativi. Sempre riguardo alla terminologia utilizzata, gli articoli 125 e 128 del C.A.P. si riferiscono esclusivamente ai «natanti», essendo chiaro che tale termine non coincide con la definizione contenuta nell’art. 3 lettera d) c. dip. (per cui per «natante da diporto», rientrante nel più ampio genus delle «unità da diporto», «si intende ogni unità da diporto a remi, o con scafo di lunghezza pari o inferiore ai dieci metri»).

Chiarito, quindi, che non vi è stato il necessario coordinamento, sul piano terminologico, tra i due codici, si esamineranno nel prosieguo gli aspetti significativi della riforma e le principali questioni interpretative che le nuove disposizioni hanno fatto sorgere tra gli interpreti.



2. L’assicurazione di responsabilità della nautica da diporto. -

2.1. La normativa applicabile. -

Come visto sopra, è l’art. 41 c. dip. ad occuparsi dell’assicurazione obbligatoria. Tale norma, inserita nel capo V («Responsabilità derivante dalla circolazione delle unità da diporto»), si riferisce alle coperture di responsabilità e non a quelle riguardanti il «corpo», queste ultime regolate dal codice della navigazione. L’art. 41 non introduce una regolamentazione specifica dell’assicurazione, ma si limita ad un rinvio alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria veicoli e natanti, già contenuta nella l. n. 990/1969, ancora vigente (per pochi mesi), al momento dell’entrata in vigore del codice della nautica da diporto. Si tratta di una norma di carattere generale, che impone l’assicurazione a tutte le «unità da diporto», come definite al precedente art. 3, «con esclusione delle unità a remi e a vela non dotate di motore ausiliario» (art. 41, primo comma).

In coerenza con il primo comma, l’art. 41, secondo comma, assoggetta all’obbligo di assicurazione i «motori amovibili di qualsiasi potenza, indipendentemente dall’unità sulla quale vengono applicati» mentre il terzo comma conferma tale obbligo per i motori con certificato di uso straniero (o con documenti equipollenti) impiegati nelle acque italiane.

I rinvii alla l. n. 990/1969 e successive modificazioni, contenuti nell’art. 41, a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 209/2005 (a far data dal 1.1.06), devono ora intendersi alla nuova disciplina del codice delle assicurazioni private.

L’art. 354 del C.A.P. ha infatti espressamente abrogato la l. n. 990/1969 (e le sue modifiche successive) ed al terzo comma ha disposto che «...il rinvio alle disposizioni abrogate fatto da leggi, da regolamenti o da altre norme si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del presente codice e dei provvedimenti ivi previsti». L’art. 41, pertanto, rinvia ora alle disposizioni contenute nel Titolo X del C.A.P. (rubricato «Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti»), posto che in tale Titolo si ritrovano le norme «corrispondenti» all’abrogata legge del 1969.

In verità, esaminando gli articoli da 122 a 160 del C.A.P., si nota subito che essi contengono disposizioni innovative rispetto alla legge n. 990/1969, introducendo punti precedentemente non regolati (si pensi, ad esempio, alle procedure liquidative ed al risarcimento del danno biologico). Si potrebbe a prima vista pensare, allora, che le norme «corrispondenti» a quelle abrogate della l. n. 990/1969 possano non riguardare tutte le disposizioni contenute nel Titolo X del C.A.P. escludendo, invece, tutta la disciplina innovativa (che, in effetti, pare riferita più all’assicurazione dei veicoli che dei natanti).

Tale interpretazione restrittiva però, a ben vedere, non è condivisibile, dato che l’obbligo di assicurazione dei «natanti» trova fondamento non soltanto nell’art. 41 c. dip. ma pure in una specifica norma contenuta nel C.A.P. Si tratta dell’art. 123, contenuto nello stesso Titolo X, che prevede l’obbligo di assicurazione per i «natanti», con norme di carattere generale, corrispondenti, salvo quanto si dirà di seguito, all’art. 41 c. dip. Se, allora, lo stesso C.A.P., nel Titolo X, regola sia i «veicoli a motore» (art. 122) che i «natanti», in assenza di specificazioni o limitazioni sull’applicabilità delle norme all’interno dello stesso Titolo, l’assicurazione dell’importo viene disciplinata dagli articoli 122 e seguenti, in quanto compatibili. Ciò si desume dallo stesso art. 123, quarto comma, il quale statuisce che «alle unità da diporto, ai natanti e ai motori amovibili si applicano, in quanto compatibili, le norme previste per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore».

Sono perciò applicabili ai «natanti» anche le disposizioni non perfettamente corrispondenti a quelle abrogate della legge n. 990 del 1969, ove esse non siano dettate (come, ad esempio, l’art. 124) unicamente per l’assicurazione dei veicoli.


2.2. La disciplina del C.A.P. per l’assicurazione dei «natanti». -

Come visto sopra, la norma del Titolo X del C.A.P. che regola in via generale l’assicurazione R.C. «natanti» è individuabile nell’art. 123. A fronte della chiarezza dell’altra norma generale, contenuta nell’art. 41 c. dip., l’art. 123 non è di agevole lettura.

Mentre, infatti, il primo comma dell’art. 123 introduce un obbligo generale di assicurazione per le «unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore» (e ciò in linea con quanto previsto dall’art. 41, primo comma, c. dip.), il secondo comma assoggetta a tale obbligo «i natanti di stazza lorda non superiore a venticinque tonnellate che siano muniti di motore inamovibile di potenza superiore a tre cavalli fiscali e adibiti ad uso privato, diverso dal diporto, o al servizio pubblico di trasporto di persone».

Va detto subito che la previgente legge 990/69, all’articolo 2, prevedeva l’obbligo di assicurazione per i natanti muniti di motore con potenza superiore a tre cavalli fiscali. Tale limitazione non è stata riprodotta dall’art. 123, comma primo, e nemmeno dall’art. 41 c. dip., essendo chiara la volontà del legislatore di estendere l’obbligo assicurativo anche ai motori di potenza inferiore ai tre cavalli fiscali.

Si è sostenuto, peraltro, in senso contrario, che l’interpretazione letterale del secondo comma dell’art. 123 comporti un regime differenziato tra motori amovibili (soggetti all’obbligo assicurativo anche se di potenza inferiore a tre cavalli) e motori inamovibili (esenti dall’obbligo fino ai tre cavalli).

Altri hanno sostenuto, invece, che la formulazione del secondo comma dell’art. 123, in quanto assolutamente incompatibile con il suo primo comma e con l’art. 41 c. dip., debba considerarsi come una mera svista del legislatore, la cui volontà espressa è nel senso di prevedere un obbligo assicurativo generalizzato, anche per i motori inferiori ai tre cavalli fiscali (1).

A ben vedere, entrambe le tesi espresse non sembrano condivisibili.

L’esame, infatti, dell’art. 123, secondo comma, fa comprendere che (nonostante la non chiara formulazione) esso non riguarda le unità utilizzate per il diporto bensì esclusivamente i motori inamovibili adibiti ad uso privato «diverso dal diporto» norma non si riferisce alle unità utilizzate per il diporto ma a quelle adibite a servizio pubblico oppure ad uso privato commerciale, quest’ultimo ora espressamente regolato dall’art. 2 c. dip. Resta fermo, quindi, per le unità utilizzate per il diporto, l’obbligo di assicurazione per motori di qualsiasi potenza fiscale.

Chiarita l’estensione dell’obbligo assicurativo, ci si può ora chiedere quali siano le norme del C.A.P. applicabili anche alle unità da diporto.

A tal proposito, come visto sopra, appare rilevante l’indicazione contenuta nell’art. 123, quarto comma, che dispone l’applicabilità ai «natanti» delle norme riguardanti i veicoli, in quanto compatibili. Tale norma, in realtà, deriva dall’abrogato art. 2, secondo comma, della legge 990/69, il quale prevedeva che «ai motoscafi e alle imbarcazioni a motore di cui al primo comma si applicano, in quanto possibile tutte le norme previste dalla presente legge per i veicoli di cui all’art. 1». A prescindere dall’opportuna sostituzione della valutazione di «possibilità» con quella, tecnicamente corretta, di «compatibilità» la portata del rinvio contenuto nell’art. 123, quarto comma, è ben più ampia di quella già prevista nel previgente art. 2 della legge 990/69.

Un tanto si deduce dal fatto che il C.A.P., nel Titolo X, contiene aspetti innovativi rispetto alla legge 990/69, anche introducendo norme e procedure in precedenza non previste.

Accanto, allora, a norme che già in precedenza erano patrimonio acquisito dal settore della nautica da diporto (ad esempio sull’obbligo di certificato e contrassegno e sull’azione diretta del terzo danneggiato – ora negli articoli 127 e 144 C.A.P. -, sui massimali di garanzia – ora art. 128 -, sui soggetti esclusi dall’assicurazione – art. 129 -, sull’obbligo di contrarre – art. 132 -), sono applicabili ai «natanti» disposizioni che, se pur compatibili, erano state introdotte principalmente per regolare l’assicurazione dei veicoli.

In verità, proprio l’applicabilità di tali ultime norme, nell’apparenza estranee alla nautica da diporto, fornisce un’ulteriore dimostrazione dell’assetto civilistico e non marittimistico delle coperture di responsabilità dei «natanti».

In tal senso, pare del tutto coerente richiamare la norma civilistica dell’art. 2054 cod. civ., per la responsabilità riconnessa al diporto (v. artt. 40 c. dip. e art. 123, primo comma, C.A.P.), e poi rendere applicabili ai «natanti» le norme assicurative regolanti i veicoli in circolazione, sempre purché compatibili.

A tal proposito, paiono compatibili, ad esempio, le norme del C.A.P. contenute nel Capo II (articoli 130 e seguenti), sull’individuazione delle imprese autorizzate (art. 130), sulla trasparenza dei premi e delle condizioni di contratto (art. 131), così come le norme del Capo III, sul «Risarcimento del danno», ed in particolare sulla liquidazione del danno patrimoniale (art. 137), del danno biologico di non lieve entità (art. 138) e di lieve entità (art. 139), ed altresì le norme del Capo IV, «Procedure liquidative», sulla denuncia di sinistro (art. 143), sull’azione diretta del terzo danneggiato (art. 144), sui termini di proponibilità dell’azione per il risarcimento (art. 145) e sulle procedure di risarcimento, anche diretto (articoli 149 e ss.).


2.3. L’oggetto della copertura assicurativa obbligatoria. -

L’art. 123 del C.A.P., per le unità da diporto dotate di motore, prevede che esse non possano essere poste in navigazione «se non siano coperte dall’assicurazione della responsabilità civile verso terzi prevista dall’articolo 2054 del codice civile».

La norma richiama quindi espressamente l’art. 2054 c.c. e va letta unitamente all’art. 40 c. dip., regolante la «responsabilità civile», la quale parimenti richiama tale norma civilistica, dettata per la circolazione dei veicoli. Oggetto della copertura assicurativa deve essere pertanto la responsabilità verso i terzi del «conducente» e/o «proprietario» (ovvero dell’usufruttuario, del locatario, in caso di leasing, o dell’acquirente con patto di riservato dominio) per la navigazione in acque ad uso pubblico (od equiparate).

A differenza, però, dell’assicurazione dei veicoli, l’art. 123, come peraltro il previgente art. 2 della legge 990/69, limita l’obbligo di copertura ai «danni alla persona», con esclusione, quindi, dei danni a cose.

Va detto, peraltro, che in gran parte della coperture fornite dagli assicuratori vengono compresi pure i danni a cose. Tale estensione, però, non è riconducibile all’assicurazione obbligatoria e, per essa, risultano inapplicabili le disposizioni Titolo X del C.A.P., trovando, invece, la sua regolamentazione nella norma generale dell’art. 1917 c.c. sull’assicurazione di responsabilità civile. La conseguenza più rilevante di tale precisazione è che, in ipotesi di danno a cose, il terzo danneggiato non può beneficiare dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore R.C. «natanti» e di tutte le procedure di liquidazione contenute ora nel Titolo X del C.A.P.

Altro punto di interesse, riguardo all’art. 123, attiene alla previsione dell’obbligo di copertura «in navigazione» (analogamente a quanto previsto dal previgente art. 2 della legge 990/69). Sul punto, la giurisprudenza, che si è espressa nel vigore della l. n. 990/1969, ha stabilito che «è soggetta all’obbligo assicurativo l’imbarcazione ormeggiata in mare o in porto, in quanto l’ormeggio è un momento della navigazione» (2). La stessa nozione di «navigazione» può essere pertanto presa in considerazione anche per l’interpretazione dell’art. 123 del C.A.P., per cui la copertura obbligatoria deve ritenersi estesa al cosiddetto «rischio statico».

Da ultimo, pare opportuno accennare all’estensione, confermata anche nel C.A.P., della copertura assicurativa obbligatoria a favore dei «trasportati». Si rammenta che l’art. 2, terzo comma, della l. n. 990/1969, nella sua formulazione originaria, prevedeva la copertura obbligatoria solo per i trasportati su natanti adibiti a servizio pubblico. A seguito dell’abrogazione di tale comma (con la legge n. 39/1977), già nel vigore della l. n. 990/1969 poteva ritenersi pacifica l’estensione della copertura ai trasportati, posto che il suo art. 4 menzionava, tra i «soggetti» esclusi, il conducente (ed altri soggetti) ma non i trasportati.

Il C.A.P., poi, analogamente alla l. n. 990/1969, all’art. 129 dispone che non viene considerato terzo (e non ha diritto ai benefici dell’assicurazione obbligatoria) il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro (unitamente ma solo per i danni a cose, ai soggetti indicati nel secondo comma dell’art. 129). Potranno pertanto essere utilizzati dall’interprete i principi elaborati dalla giurisprudenza per la definizione di «trasportato», consentendo a quest’ultimo, ad esempio, l’utilizzo della procedura speciale dell’art. 141 del C.A.P., che prevede la liquidazione del danno da parte dell’assicuratore dell’unità da diporto sulla quale si trovava lo stesso trasportato al momento del sinistro (3)



*Avvocato nel Foro di Trieste.

1(/font>) In tal senso A. Facco, dal sito internet www.yachts.it, in risposta al quesito di data 6.3.06, secondo il quale la svista del legislatore sarebbe dovuta al fatto che l’articolo 2 della legge 990/69 prevedeva l’obbligo di assicurazione unicamente per i motori di potenza superiore a tre cavalli fiscali.

2(/font>) In questi termini Cass., sez. III, 18.1.2000, n. 497, in Dir. Mar. 2001, p. 294, con nota adesiva di P. Dagnino. In particolare, l’Autore riteneva, vigente la vecchia normativa, applicabile analogicamente ai natanti l’art. 2 del Regolamento di esecuzione alla legge 990/69, che estendeva il concetto di «circolazione» anche ai veicoli in sosta (cosiddetto rischio statico). Anche per le unità da diporto, infatti, vale la medesima ratio «di far sì che ogni veicolo, che in qualsiasi modo potesse entrare in contatto con altri mezzi circolanti, debba essere necessariamente assicurato ai fini della responsabilità civile» (cfr. pag. 298).

3(/font>) Il problema, estraneo alla presente trattazione, riguarda il fenomeno della coassunzione (o conduzione collettiva) delle unità da diporto, sul punto si rinvia a A. Picciotto, La Responsabilità nella conduzione di unità da diporto, in Dir. Mar. 2004, p. 26 ss. In particolare, l’Autore menziona la sentenza del Tribunale di Trieste, 9.6.1989, in Dir. e Prat. Assicur., 1990, p. 536, in base alla quale il membro dell’equipaggio che partecipa alla «conduzione collettiva» è assimilabile al conducente e, in quanto tale, non può beneficiare della copertura assicurativa.