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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

Il TPL in Sicilia: evoluzione normativa e riflessi economici

Andrea Cirà*

 

 

Sommario

Parte prima - cenni sulla riforma del trasporto pubblico locale  in Italia

1.1 Introduzione

1.2 Il quadro normativo

1.3 Competenze in ambito centrale divise per settori

1.4 Competenze dei governi locali divise per enti

 

Parte seconda - i compiti della regione Siciliana

2.1 Leggi e cambiamenti

2.2 Attività di finanziamento della Regione

2.3 I finanziamenti erogati

2.4 Comparazione con altre Regioni

 

Parte terza - raffronto fra disposizioni normative e teoria economica

3.1 Condizione di monopolio del settore e sua regolazione

3.2 Regolazione o concorrenza?

3.3 Regolazione incentivante

3.4 Considerazioni conclusive

 

Riferimenti bibliografici

 

 

Parte prima - cenni sulla riforma del trasporto pubblico locale  in Italia

1.1 Introduzione

Negli ultimi anni sono state introdotte a livello comunitario, nazionale e regionale alcune norme in materia di Trasporto Pubblico Locale che hanno profondamente modificato il settore.

Dopo anni di intenso dibattito normativo, ma senza risultati sostanziali, (ad eccezione probabilmente della legge quadro 151/81[1]) la riforma è stata avviata con la delega al Governo contenuta nella legge 549/95 collegata alla legge finanziaria del 1996 e poi reiterata nella legge 59/97 e sostanziata nei due decreti legislativi 422/97 e 400/99[2] (figura 1 pag. 4).

Gli aspetti principali di tale riforma riguardano:

- il trasferimento di mansioni (compiti di programmazione e di amministrazione) dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali;

- l’utilizzazione di nuove procedure per l’affidamento dei servizi (passaggio dal regime concessorio a quello concorsuale);

-  la separazione tra gli Enti appaltanti e le aziende di trasporto pubblico locale (mediante la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi in società di capitali, ovvero in cooperative a responsabilità limitata, in cui l’Ente appaltante non può essere socio unico). Ciò consentirebbe di procedere alla trasformazione di un mercato di offerta monopolistico, caratterizzato da un alto coinvolgimento pubblico nella produzione dei servizi, in un mercato concorrenziale in cui la gestione è affidata alle imprese private (figura 2).

 

 

Pentagono: Decentramento amministrativo

- TRASFERIMENTO DI COMPITI E FUNZIONI IN MATERIA DI PROGRAMMAZIONE E AMMINISTRAZIONE DEL SERVIZIO ALLE REGIONI ED AGLI ENTI LOCALI.

 

Pentagono: Superamento degli assetti monopolistici

- TRASFORMAZIONE DI AZIENDE SPECIALI E CONSORZI IN SOCIETÀ DI CAPITALI O IN COOPERATIVE A RESPONSABILITÀ LIMITATA.

- INTRODUZIONE DI PROCEDURE DI AFFIDAMENTO CONCORSUALI ED UTILIZZO DEL CONTRATTO DI SERVIZIO.

Pentagono: Razionalizzazione della spesa pubblica

- OTTIMIZZAZIONE DELL’UTILIZZO DELLE RISORSE FINANZIARIE DISPONIBILI ATTRAVERSO LA DEFINIZIONE DI OBIETTIVI DI EFFICIENZA, EFFICACIA E DI ECONOMICITÀ.

 

Pentagono: Integrazione modale e tariffaria e miglioramento della qualità

- SVILUPPO DELL’INTERMODALITÀ.

- MIGLIORAMENTO DELL’ACCESSI-BILITÀ E FRUIBILITÀ DEL TERRI-TORIO.

- INTRODUZIONE DI TECNOLOGIE AVANZATE.

- RIASSETTO DELLE RETI DI TRASPO-RTO.

- MIGLIORAMENTO DELLA SICUREZZA.

Pentagono: Salvaguardia “ambientale”
(sviluppo sostenibile)

-CONTENIMENTO DEI FATTORI DI INQUINAMENTO, SOPRATTUTTO NEI CENTRI URBANI, RIDUZIONE DELLA CONGESTIONE DEL TRAFFICO ED ACCRESCIMENTO DEL LIVELLO DI SICUREZZA DELLE STRADE.

 

Figura 2

 

La riforma ha previsto alcune date fondamentali per attuare la riorganizzazione del settore:

- le trasformazioni societarie da concludersi entro il 31 dicembre 2000;

- un periodo transitorio con termine ultimo al 31 dicembre 2003 durante il quale le Regioni hanno la facoltà di mantenere le attuali concessioni e di affidare i servizi in via diretta alle aziende pubbliche in trasformazione o già trasformate;

- il periodo successivo al 31 dicembre 2003 nel quale gli affidamenti possono avvenire esclusivamente attraverso procedure ad evidenza pubblica (gare);

- con il decreto legge del 24 settembre 2003 n. 269 si introduce la possibilità di concedere l’affidamento oltre che con gara anche a società miste e in house (affidamento diretto). Il decreto prevede lo slittamento del periodo transitorio fino al 31 dicembre 2006.

 

L’insieme delle innovazioni sugli assetti societari e sulle procedure ad evidenza pubblica consentiranno di attuare in maniera chiara la distinzione tra i ruoli di programmazione e controllo, di competenza dell’ente pubblico, e quello di gestione del servizio, di competenza della società di trasporto.

L’elemento innovativo di maggior rilievo è senza dubbio l’introduzione del sistema di libero mercato in un settore da sempre incardinato sul monopolio.

L’apertura al mercato già di per se determina una situazione assolutamente nuova rispetto al passato, ma se poi si considera la dimensione europea, l’orizzonte da assumere diventa diverso da quello tradizionale.

Il quadro comunitario è il nuovo confine entro il quale vanno ridisegnati assetti sociali, strutture economiche e profili istituzionali.

 

 

Figura 1

 

1.2 Il quadro normativo

La Costituzione italiana all’art. 117 stabilisce che “sono materie di legislazione concorrente quelle relative a […] porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; […]” e stabilisce che “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

All’art. 118 si fa inoltre riferimento alle funzioni amministrative di cui sono titolari i Comuni, le Province e le Città metropolitane, secondo le loro competenze.

Le prime norme che, in accordo con i predetti articoli della Carta Costituzionale, delegano alle Regioni parte delle funzioni amministrative relative ai servizi di Trasporto Pubblico Locale risalgono agli anni 70 ma è necessario giungere alla seconda metà degli anni 90 per avere una profonda trasformazione del settore.

La Legge 59/97, nota anche come “Legge Bassanini”, all’art. 4, come successivamente modificato dall’art. 7 della Legge 127/97 (Legge Bassanini bis):

- delega alle Regioni i compiti di programmazione e amministrazione in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale;

- attribuisce alle stesse il compito di definire, d’intesa con gli Enti Locali, il livello dei servizi minimi[3] “qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, con costi a carico dei bilanci regionali”;

- definisce le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione dei servizi di trasporto urbano ed extraurbano ed introduce regole di concorrenzialità nel periodo di affidamento dei servizi;

- prevede che le Regioni e gli Enti Locali regolino l’esercizio dei servizi mediante contratti di servizio pubblico che abbiano caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio e che garantiscano, entro il 1° gennaio 2000, il conseguimento di un rapporto pari a 0,35 tra costi operativi e ricavi da traffico;

- definisce le modalità di subentro delle Regioni, entro il 1 gennaio 2000, al contratto di servizio pubblico tra Stato e “Ferrovie dello Stato S.p.A.” per servizi di interesse regionale e locale.

Il D. Lgs. 422/97, in attuazione della Legge n. 59/97, individua le funzioni e i compiti che sono conferiti alle Regioni ed agli Enti Locali in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati e fissa, altresì, i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale (art. 1 comma 1).

In tale decreto viene fornita la seguente definizione di Trasporto Pubblico Locale: sono servizi pubblici di trasporto regionale e locale i servizi di trasporto di persone e merci, che non rientrano tra quelli di interesse nazionale [...]; essi comprendono l’insieme dei sistemi di mobilità terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell’ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale (art. 1 comma 2).

Il D. Lgs. n. 400/99 introduce le seguenti modifiche al D. Lgs. n. 422/97:

- sono trasferiti alle Regioni, a titolo gratuito, i beni, gli impianti e le infrastrutture sia delle ferrovie in ex gestione commissariale governativa (già stabilito dalla Legge n. 662/96) sia delle ferrovie in concessione a soggetti diversi dalle “Ferrovie dello Stato S.p.A.”;

- le Regioni hanno la facoltà, previa intesa con il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, di trasferire alle “Ferrovie  dello  Stato   S.p.A.”  i  beni,  gli   impianti  e le   infrastrutture

descritte al punto precedente;

- lo Stato e le Regioni possono concludere, d’intesa tra loro, accordi di programma con le “Ferrovie dello Stato S.p.A.” per l’affidamento alle stesse della costruzione, ammodernamento, manutenzione e relativa gestione delle linee ferroviarie locali concesse e già in gestione commissariale governativa di rilevanza per il sistema ferroviario nazionale;

- le Province, i Comuni e le Comunità montane, nel caso di esercizio associato di servizi comunali del trasporto locale possono istituire, d’intesa con la Regione ai fini della compatibilità della rete, servizi di trasporto aggiuntivi sulla base degli elementi del contratto di servizio con oneri a carico dei bilanci degli Enti stessi;

- sono escluse dalle gare di appalto di servizio le società che, in Italia o all’estero, gestiscono servizi in affidamento diretto o attraverso procedure non ad evidenza pubblica e le società dalle stesse controllate; tale esclusione non opera nel caso di gare aventi ad oggetto i servizi già espletati dai soggetti stessi;

- le Regioni e gli Enti Locali devono incentivare il riassetto organizzativo ed attuare, entro e non oltre il 31 dicembre 2005, la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi in società di capitali, ovvero in cooperative a responsabilità limitata;

- le Regioni hanno a disposizione un periodo transitorio, da concludersi comunque entro il 31 dicembre 2003, (ora 31 dicembre 2006), nel quale è possibile mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari e alle società derivanti dalle trasformazioni predette; trascorso tale termine, tutti i servizi devono essere affidati esclusivamente tramite procedure concorsuali.

Il D.P.C.M. del 16 novembre 2000, relativo agli artt. 8 e 12 del D. Lgs. 422/97, trasferisce alle Regioni le risorse per i servizi ferroviari di Trenitalia (FS) e delle ferrovie concesse ed in gestione commissariale. Per tali servizi ferroviari le Regioni stesse devono stipulare contratti di servizio sperimentali validi per il solo 2001 e successivamente contratti biennali, in sostituzione dei precedenti contratti di servizio nazionali.

L’articolo 35 della Finanziaria 2002, Legge 488 del 28 dicembre 2001, introduce la possibilità di separare l’attività di gestione delle reti e degli impianti dall’attività di gestione ed erogazione dei servizi pubblici locali, garantendo comunque l’accesso alle reti e agli impianti a tutti i soggetti legittimati all’erogazione dei servizi. La proprietà delle reti e degli impianti rimane agli enti pubblici che potranno cederla solo ad una società di capitali con partecipazione maggioritaria (incedibile) dell’ente medesimo.

Sulla base della normativa nazionale succitata, ai sensi del D. Lgs. n. 422/97 (e successive modifiche), tutte le Regioni a statuto ordinario hanno approvato una legge di riforma del trasporto pubblico locale.

Un discorso a parte riguarda le Regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) e le Province autonome (Trento e Bolzano) per le quali il conferimento delle funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione (D. Lgs. 422/97, art. 1 comma 3).

Alla data dell’approvazione del D. Lgs. 422/97 solo il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta erano intervenute sul TPL nel corso del 1997.

Le altre Regioni hanno adeguato la normativa esistente solo di recente e, in particolare, la Sicilia ha approvato il suo Piano Direttore solo nel 2002 ma non si sono ancora definitivamente attuati i progetti da esso previsti; il 21 gennaio 2004 è stato approvato definitivamente il Piano attuativo del Piano Regionale dei Trasporti relativo al trasporto merci e della logistica.

 

1.3 Competenze in ambito centrale divise per settori

Il D. Lgs. n. 422/97 definisce quali sono i trasporti pubblici di interesse nazionale ossia quelle materie di competenza esclusiva dello Stato:

a)    i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici;

b)     i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione;

c)      i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni;

d)     i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards qualitativi. Detti servizi sono tassativamente individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora la predetta intesa non sia raggiunta entro quarantacinque giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto e' posto all'ordine del giorno, provvede il Consiglio dei Ministri;

e)     i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari;

f)       i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti.

Le competenze dello Stato sono altresì estese al trasporto pubblico regionale e locale, restando di sua esclusiva competenza:

a)    gli accordi, le convenzioni ed i trattati internazionali relativi a servizi transfrontalieri per il trasporto di persone e merci;

b)     le funzioni in materia di sicurezza;

c)     l'adozione delle linee guida e dei principi quadro per la riduzione dell'inquinamento derivante dal sistema di trasporto pubblico.

 

1.4 Competenze dei governi locali divise per enti

Con il decreto 422/97 si stabilisce il trasferimento alle Regioni di tutti i compiti e tutte le funzioni relativi ai servizi di trasporto di interesse regionale e locale; le Regioni, a loro volta, conferiscono alle Province, ai Comuni ed agli altri Enti Locali, tutte le funzioni ed i compiti regionali in materia di TPL che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale (art. 7 comma 1).

Sono delegate, inoltre, alle Regioni anche le funzioni ed i compiti di programmazione e amministrazione inerenti le ferrovie in gestione commissariale, le ferrovie in concessione a soggetti diversi dalle “Ferrovie dello Stato S.p.A.” ed i servizi ferroviari in concessione alle “Ferrovie dello Stato S.p.A.” di interesse regionale e locale.

L’art. 7 (comma 3) impone, inoltre, alle Regioni un limite di 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, per l’adozione della legge di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli Enti Locali; in caso contrario il Governo è delegato ad emanare, entro i successivi 90 giorni, sentite le Regioni inadempienti, uno o più decreti legislativi di ripartizione di funzioni tra Regioni ed Enti Locali le cui disposizioni si applicano fino alla data di entrata in vigore della legge regionale (Legge n. 59/97, art. 4 comma 5).

Infatti, il D. Lgs. 345/98 stabilisce, per le Regioni inadempienti a quella data (a partire dal 1 gennaio 1999 fino all’entrata in vigore di ciascuna legge regionale), che:

·        le Regioni esercitino le funzioni amministrative delegate (ai sensi del D. Lgs. 422/97) relative ai servizi ferroviari, servizi marittimi e servizi aerei di interesse regionale. Detti trasporti sono organizzati e regolati da contratti di servizio (di durata non superiore a nove anni) e nel rispetto dei principi di economicità ed efficienza[4];

·        le Province esercitino le funzioni amministrative relative ai servizi automobilistici, a guida vincolata in sede propria (diversi da quelli ferroviari) e di navigazione interna;

·        i Comuni esercitino tutte le funzioni amministrative relative ai servizi di trasporto pubblico che si svolgono interamente nell’ambito del comune stesso.

 

 

 

FUNZIONI DI:

PIANIFICAZIONE DEI TRASPORTI E DELLA MOBILITÀ

 

PROGRAMMAZIONE E DEGLI INVESTIMENTI

 

GESTIONE DELLE RISORSE FINANZIARIE

 

MONITORAGGIO DEL SISTEMA DELLA MOBILITÀ

 

 

 

«

 

 

 

REGIONE

 

           

PROVINCIA

 

 

COMUNE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«

 

 

 

«

 

 

FUNZIONE DI PROGRAMMAZIONE ED AMMINISTRAZIONE DEI SERVIZI FERROVIARI

 

 

 

FUNZIONI DI PROGRAMMAZIONE ED AMMINISTRAZIONE DEI SERVIZI AUTOMOBILISTICI

 

PERDONO “QUALSIASI” COMPETENZA IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE DELLA MOBILITA’ E DEL TRASPORTO

 

 

«

 

 

 

AZIENDE DI TRASPORTO

 

«

 

 

GESTIONE DEI SERVIZI DI TPL FERROVIARIO ED AUTOMOBILISTICO

 

 

Figura 3

 

 

Nel D. Lgs. 422/97 è previsto, inoltre, che nell’esercizio dei compiti di programmazione, le Regioni (art. 14 commi 2, 3 e 4) definiscano gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i Piani di Bacino (PdB), redigano i Piani Regionali dei Trasporti (PRT), tenendo conto della programmazione degli Enti Locali ed in particolare dei Piani di Bacino predisposti dalle Province e, ove esistenti, dalle Città metropolitane[5] ed approvino i Programmi Triennali dei Servizi (PTS) di Trasporto Pubblico Locale.

Questi ultimi individuano: la rete e l’organizzazione dei servizi, l’integrazione modale e tariffaria, le risorse da destinare all’esercizio e agli investimenti, le modalità di determinazione delle tariffe, le modalità di attuazione e revisione dei contratti di servizio pubblico, il sistema di monitoraggio dei servizi e i criteri per la riduzione della congestione e dell’inquinamento ambientale.

In generale nella procedura di programmazione del TPL possono essere individuati tre livelli di pianificazione (figura 1):

1. un livello nazionale, nel quale sono presenti la normativa nazionale e il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL);

2. un livello regionale, nel quale sono presenti le normative regionali e il Piano Regionale dei Trasporti (PRT);

3. un livello di bacino, nel quale sono presenti i Piani di Bacino.

Inoltre, le Regioni hanno il compito di stabilire se sia conveniente garantire la mobilità nelle zone a domanda debole mediante modalità particolari di espletamento del servizio di linea.

 

Figura 4

 

E’ necessario evidenziare che il trasferimento alle Regioni (decentramento amministrativo) comporta non solo dei diritti, quali la gestione del servizio, ma anche dei doveri in quanto eventuali necessità di ripiani di bilancio sono a carico non più dello Stato ma delle Regioni stesse che sono responsabili sia del servizio offerto che della redditività dello stesso.

Purtroppo i differenti assetti organizzativi delle singole Regioni hanno generato un’eterogeneità del quadro normativo, dando luogo a forti elementi di criticità:

- Attuazione difforme delle leggi regionali

Il rinvio  dell’attuazione delle disposizioni alle singole leggi regionali ha fatto si che ogni regione, attraverso letture difformi, abbia dato vita a sistemi di trasporto differenti, sulla base di proprie scelte politiche, economiche e gestionali.

        - Difformità degli assetti istituzionali

In realtà nell’intero panorama nazionale non esiste un unico modello istituzionale in attuazione della riforma, e nemmeno all’interno delle singole regioni;

        - Scarsità di risorse e incertezza nella loro erogazione

Ciò si è avuto subito dopo l’abolizione del Fondo Nazionale Trasporti e il trasferimento della responsabilità finanziaria alle regioni[6]. Lo scarso numero di gare e di partecipanti ad esse, nelle regioni dove queste sono state avviate, confermano queste preoccupazioni.

 

Figura 5

 

 

Parte seconda - i compiti della regione Siciliana

2.1 Leggi e cambiamenti

Nel settore dei trasporti pubblici locali è riscontrabile un esempio di come in Sicilia la persistente inerzia legislativa ed amministrativa abbia costituito un ostacolo allo sviluppo e alla modernizzazione del settore.

Nell’ultimo cinquantennio tutte le leggi regionali che sono state emanate evidenziano la caratteristica di “provvisorietà” e nei testi legislativi viene esplicitamente indicato “nelle more di una legge organica di riforma “.

Purtroppo di riforma si è sempre parlato ma non si è mai notata una vera svolta nel settore tanto che il carattere di provvisorietà è diventato piuttosto di “definitività”.

Con gli anni però si sta avvisando un salutare scossone che proviene dalla necessità di adempiere agli obblighi imposti dall’Unione Europea, in quanto il Trattato di Amsterdam impegna gli stati membri, e le rispettive regioni, a rispettare una politica comune dei trasporti.

Sotto tale spinta ci si auspica una più attenta regolamentazione del settore diretta a favorire la migliore mobilità dei cittadini con contenimento dei costi e migliore efficienza qualitativa e quantitativa dei servizi, allo scopo di fare assumere alla Sicilia quel ruolo di centralità, in relazione alla sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo, nonché una funzione euromediterranea nei flussi dei traffici nazionali ed internazionali, in modo da conferire competitività all’economia dell’isola.

Tale ruolo è stato sempre decantato dalle leggi che negli anni si sono susseguite ma non c’è mai stato un serio impegno che abbia fatto seguire a questo ambizioso progetto dei fatti concreti e convincenti.

Prima di procedere all’analisi dello stato attuale dei trasporti in Sicilia è necessario richiamare la normativa di settore per tracciare un quadro generale delle leggi che a livello comunitario, statale e regionale regolano il trasporto pubblico locale, nel tentativo di cogliere i tratti significativi della riforma del settore.

In ambito comunitario, come precedentemente richiamato, è il Trattato di Amsterdam che impegna gli stati con le articolazioni regionali ad attuare una politica comune dei trasporti per potere realizzare libertà di concorrenza ed eliminare qualsiasi discriminazione tra gli operatori nazionali ed esteri.

La normativa specifica è contenuta nei Regolamenti n. 1191/69 e n. 1893/91.

Le norme più significative riguardano:

a)    l’eliminazione dell’attuale sistema monopolistico;

b)     la sostituzione della concessione con il contratto di servizio pubblico che preveda la corresponsione di un corrispettivo per gli oneri derivanti dagli obblighi di servizio pubblico.

Riconosciuta l’inadeguatezza del suddetto quadro normativo per affrontare il nuovo e mutevole contesto economico, la Commissione ha elaborato una proposta di Regolamento, in corso di approvazione, contenente numerose e significative innovazioni.

In conformità agli obiettivi della politica comunitaria diretti alla massimizzazione degli spazi di concorrenza ed alla minimizzazione del volume dei sussidi, lo Stato, con la legge 15-3-1997, n. 59 e con i decreti legislativi n. 422/97 e n. 400/99, ha recepito alcune disposizioni dei suddetti Regolamenti comunitari.

In particolare, l’art. 17 del d.lgs. n. 422 dispone che le Regioni, le Province ed i Comuni, allo scopo di assicurare la mobilità degli utenti, debbono definire gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo nei contratti di servizio, la corrispondente compensazione economica.

L’art. 18, integrato dal d.lgs. n. 400, stabilisce che l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico, regionale e locale, deve essere regolato mediante contratti di servizio pubblico di durata non superiore a nove anni e deve rispondere a principi di economicità ed efficienza.

Allo scopo di incentivare il superamento degli attuali assetti monopolistici ed introdurre regole di concorrenzialità conformi alla normativa comunitaria, è stato stabilito il ricorso alle procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi, da espletarsi entro il termine del 31 dicembre 2003, (2006) mentre è stato fissato al 31 dicembre 2000 il termine per la trasformazione in società di capitali delle attuali aziende speciali.

E’ stato determinato il contenuto dei contratti di servizio pubblico, che debbono avere caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio; è stato previsto un progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, di modo che, al netto dei costi di infrastruttura, esso fosse pari almeno allo 0,35  a partire dall’1/1/2000.

È però con la legge del 19 aprile 1981 n. 151 che lo Stato aveva stabilito i principi fondamentali a cui le regioni dovevano attenersi per la ristrutturazione e il potenziamento dei trasporti pubblici locali e aveva istituito il Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli investimenti nel settore.

Con l’inizio degli anni ottanta, quindi, il settore del trasporto pubblico viene riorganizzato e la legge quadro individuò un sistema a tre livelli di intervento:

-          politico, di competenza della regione quale ente responsabile della politica di trasporto nell’ambito del proprio territorio, da esplicarsi attraverso il “Piano Regionale Trasporti”;

-           organizzativo, in cui il territorio regionale doveva essere diviso in “bacini di traffico”, ossia in unità territoriali in cui attuare un sistema di trasporto pubblico integrato e coordinato in rapporto ai fabbisogni di mobilità;

-          gestionale, per individuare il tipo di azienda per la gestione dei servizi di trasporto in rapporto alla finalità dei due livelli precedenti, al minimo costo per la collettività.

La legge prevedeva poi l’erogazione di “contributi in conto esercizio” attraverso l’istituzione del Fondo nazionale previa determinazione del costo economico standardizzato e dei ricavi chilometrici presunti.

Il costo, in particolare, variamente interpretato con legge regionale in base a determinati parametri, è distinto per categorie e modi di trasporto, tenuto conto della qualità del servizio offerto e delle condizioni ambientali in cui esso viene svolto.

La contribuzione in conto esercizio, si disse, doveva assolvere alla funzione di assicurare all’azienda il pareggio del bilancio, quindi era essenzialmente un’integrazione dei costi di esercizio.

Con la legge 549/95 il Fondo è stato abolito e con il decreto legislativo 422/97 è stato segnato il passaggio delle competenze agli enti locali in materia di finanziamenti e l’utilizzo dei contratti di servizio come strumento regolatore dei rapporti fra ente e gestori.

 Nel settore dei trasporti la competenza legislativa della Regione siciliana è concorrente con quella dello Stato (art. 17 dello Statuto).

Le leggi fondamentali che regolano la materia sono le seguenti:

 

Figura 6

 

Con il D. Lgs. 11 settembre 2000 n. 296[7] viene anche modificata la definizione di servizi pubblici di interesse regionale e locale, intendendosi per tali “tutti i servizi di comunicazione e trasporto, di persone e merci, che riguardano l’insieme dei sistemi di mobilità terrestri, navali ed aerei che operano in modo continuativo o periodico, con itinerari, orari e tariffe prestabilite e ad accesso generalizzato, in qualsiasi modo espletati e in qualsiasi forma affidati, con esclusione dei trasporti di interesse nazionale”.

In particolare sono da considerare regionali:        

a)    i servizi di trasporto automobilistico, ferroviario o con qualsiasi altro mezzo di trasporto terrestre prestati, nonché marittimo e fluviale, che si svolgano prevalentemente nell'ambito della regione;

b)    i servizi di trasporto aereo ed elicotteristico che si svolgano esclusivamente nell'ambito della regione;

c)      le attribuzioni concernenti gli autoservizi pubblici di trasporto di persone e di merci, le autorizzazioni al trasporto di cose per conto terzi, nonché il servizio di noleggio da rimessa, previste dal codice della strada e da esercitarsi in conformità alla normativa statale di settore e ai criteri adottati in materia dal Ministero dei trasporti e della navigazione.

Con tale decreto vengono emanate le seguenti disposizioni:

1.    La regione siciliana esercita, nell'ambito del proprio territorio, tutte le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato nelle materie concernenti le comunicazioni e i trasporti regionali di qualsiasi genere;

2.    La regione siciliana esercita nell'ambito del proprio territorio tutte le attribuzioni degli organi periferici dello Stato in materia di motorizzazione, con l'esclusione delle competenze dei centri prova autoveicoli;

3.    La regione siciliana esercita, altresì, le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione inerenti ai servizi ferroviari in concessione alle Ferrovie dello Stato S.p.a. di interesse regionale e locale.

Per l'esercizio delle attribuzioni spettanti alla Regione siciliana passano alle dipendenze della regione ed entrano a far parte integrante della sua organizzazione amministrativa i seguenti uffici periferici del Ministero dei trasporti in Sicilia:

a) la direzione compartimentale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione;

b) gli uffici provinciali che operano alle dipendenze e nell'ambito di detta direzione.
Il trasferimento alla regione siciliana degli uffici comporta la successione allo Stato nei diritti ed obblighi inerenti agli immobili sede degli uffici stessi ed ai relativi beni mobili, arredi e attrezzature.

Il decreto stabilisce che “sono esercitate dall'amministrazione regionale le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato, ivi comprese la vigilanza e la tutela, in ordine agli enti, agli istituti, compresi quelli consorziali, ed alle organizzazioni operanti nelle materie di cui al presente decreto, nonché in ordine ai concessionari ovvero ai gestori dell'esercizio di pubblici servizi di trasporto, esistenti nel territorio della regione siciliana".

Per la regolamentazione dei servizi di trasporto pubblico di interesse regionale e locale la regione siciliana adotta, anche nelle more di una organica legge regionale di riforma del settore, il metodo della programmazione intermodale dell'offerta di trasporto collettivo, e determina il livello dei servizi minimi, da garantirsi da parte della stessa regione e degli enti locali territoriali, qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e da definirsi in conformità ai criteri prefissati dalla vigente  normativa nazionale.

L'esercizio dei servizi di trasporto pubblico di interesse regionale e locale è regolato con contratti di servizio e deve rispondere a criteri di economicità ed efficienza da conseguirsi anche attraverso l'integrazione modale ed il riassetto organizzativo e la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi.

La scelta del gestore del servizio di trasporto pubblico di interesse regionale e locale avviene mediante il ricorso alle procedure concorsuali in conformità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizi. In caso di affidamento del servizio ad un nuovo gestore, devono essere indicate le modalità di trasferimento dal precedente gestore all'impresa subentrante dei beni strumentali funzionali all'effettuazione del servizio e del personale dipendente.

Le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle funzioni sono attribuite alla regione con i criteri e le modalità stabiliti in sede di accordo quadro tra lo Stato e le regioni.

La necessità di adeguarsi alle disposizioni normative vigenti, a livello comunitario e statale, ha portato la regione alla ricerca di un programma che tenesse conto delle stesse, ma con scarso risultato.

L’ esigenza di dotare la Regione Siciliana di uno strumento pianificatorio del settore, era stata avvertita dall’Amministrazione regionale già dalla metà degli anni ottanta, quando con legge regionale n. 68 del 14 Giugno 1983 venne sancito che la Regione siciliana avrebbe dovuto dotarsi di un proprio Piano Regionale dei Trasporti.

Ancora ai giorni nostri la Regione Siciliana non ha completato la riforma del trasporto pubblico locale, al fine di assicurare ai cittadini e alle imprese il diritto alla mobilità, l’accessibilità alla fruibilità del territorio, la salvaguardia delle risorse ambientali e la qualità della vita.

Il Dipartimento dei Trasporti ha predisposto il Disegno di legge sulla Riforma del Trasporto Pubblico Locale[8], in recepimento del D. Lgs n. 422/97 e sue modifiche e integrazioni.

Con il varo del D.D.L. la Regione siciliana avrà determinato una svolta epocale nel trasporto pubblico in Sicilia passando dal sistema delle concessioni a quello dei contratti di servizio scaturente da pubbliche gare.

La riforma è indirizzata alla razionalizzazione ed allo sviluppo della rete di TPL attraverso principi di economicità ed efficienza dei servizi, necessari a soddisfare la domanda di mobilità in un sistema di libera concorrenza.

La rete dei servizi minimi, di competenza della Regione Siciliana, quella dei servizi aggiuntivi, decentrata agli enti locali (Comuni e Province), l’integrazione delle diverse modalità di trasporto, la razionalizzazione e lo sviluppo delle reti su gomma e su ferro, l’individuazione dell’unità di rete da porre a base delle gare, definiscono gli obiettivi della riforma (figura 6).

 

Ovale:   REGIONEPentagono: SERVIZI MINIMIQualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la mobilità dei cittadini e la cui utilizzazione media prevista su base annuale, limitatamente ai trasporti extraurbani, sia superiore ai dieci viaggiatori per singola corsa automobilistica e di trenta viaggiatori per singola corsa per i servizi di  trasporto ferroviario.

 

 

Ovale: ENTI LOCALIPentagono: SERVIZI AGGIUNTIVISono servizi che si svolgono in modo regolare e continuativo, integrandosi con la rete dei servizi minimi ma che, per la limitata domanda di trasporto hanno caratteristiche prettamente sociali. Le modalità di affidamento dei servizi aggiuntivi sono le stesse di quelle stabilite dalla legge per i servizi minimi.

 

 

Ovale: ENTI LOCALIPentagono: SERVIZI INTEGRATIVISono servizi a domanda debole di trasporto che sono effettuati con modalità particolari, i servizi temporanei finalizzati a soddisfare le esigenze di mobilità derivanti da eventi particolari, contingenti o straordinari e di durata definita non superiore ad un mese, i servizi a chiamata, i servizi offerti a determinate fasce deboli dell’utenza, svolti su percorsi fissi o variabili, al fine di soddisfare le esigenze di mobilità in intervalli stabiliti della giornata o della settimana.

 

Figura 7

 

Per raggiungere tali obiettivi nel D.D.L. è proposta la privatizzazione delle aziende pubbliche di TPL dopo la loro trasformazione in S.p.A., garantendo i livelli occupazionali.

Il D.D.L. individua anche l’importanza dello sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica e gestionale applicate ai trasporti, infine, assume grande rilievo la previsione del “Fondo Unico per i Trasporti” da cui si potrà attingere per tutte le esigenze connesse al T.P.L. e l’istituzione dell’Agenzia Regionale per il trasporto Pubblico Locale.

Recentemente la Corte dei Conti - Sezione di controllo sulla Regione siciliana - nel giugno 2003, in sede di indagine ispettiva sul trasporto pubblico locale, evidenziava la necessità di procedere alla redazione del PRT, in quanto necessario per il superamento delle criticità riscontrate nel comparto dei trasporti in Sicilia, individuando nel Dipartimento Regionale Trasporti e Comunicazioni l’Organo istituzionalmente preposto alla redazione di tale strumento, e garante della centralità delle esigenze regionali in materia di trasporti.

I risultati più rilevanti dell’indagine sono stati senz’altro la predisposizione di un disegno di legge di riforma del settore, approvato dalla Giunta di Governo con deliberazione n. 265 del 7 agosto 2002 ed attualmente ancora in corso di esame presso la 4^ Commissione

dell’Assemblea legislativa siciliana, nonché l’approvazione del Piano Direttore, parte principale del Piano Regionale Trasporti.

Solo il 21 gennaio 2004 è stato approvato definitivamente il Piano attuativo del Piano regionale dei trasporti e della mobilità, relativo al trasporto merci e della logistica.

Si tratta del primo dei sei Piani attuativi previsti dal Piano Direttore[9] (figura 2), il quale costituisce lo strumento programmatorio regionale che individua le scelte macro per il riassetto del settore.

Il 20 Settembre 2004 la 4^ Commissione dell'Assemblea Regionale Siciliana ha esitato con parere favorevole il completamento del Piano regionale dei Trasporti, articolato nei piani attuativi relativi alle 4 modalità di trasporto: stradale, aereo, ferroviario, marittimo.
Il Piano sarà ora trasmesso in Giunta per l'esame.

Piano Direttore, Piani Attuativi e Studi di fattibilità sono gli elementi della pianificazione strategica sui quali si sta concentrando il lavoro dell’amministrazione.

Pur dando atto all’Amministrazione della rilevanza quantitativa e qualitativa dell’attività svolta, deve purtroppo rilevarsi la sostanziale permanenza dei problemi di fondo per la cui soluzione è indispensabile una forte e costante volontà politica..

Alla data attuale, infatti, non sono stati ancora approvati né la legge di riforma, né l’integrale Piano Regionale Trasporti, mancando alcuni piani attuativi.

 

 

Figura 8

 

 

E’ rimasto inalterato lo stato giuridico delle Aziende pubbliche destinate a trasformarsi in società di capitali, né, d’altronde, dall’esame dei bilanci emergono elementi tali da far ritenere che sia in corso un’efficace azione di risanamento dei conti, che possa favorire una sollecita trasformazione ed evitare, una volta che questa sia avvenuta, la successiva messa in liquidazione.

I rapporti degli Enti con le aziende di trasporto sono sempre regolati dalle concessioni e non esiste una data certa per l’apertura alla concorrenza.

In particolare non sono previsti né l’adozione di una Carta dei Servizi, né l’obbligo per i gestori di presentare una sintesi periodica sulla qualità dei servizi offerti, né rilevazioni del grado di soddisfazione dell’utenza, né prescrizioni sulla particolare qualità del materiale rotabile, sull’età media dei veicoli, sulla manutenzione e pulizia dei mezzi.

Si deve, pertanto, confermare come l’elemento della qualità, che costituisce   uno  degli   obiettivi  primari  d ella  politica  comunitaria,  in

Sicilia, trova e troverà scarsa considerazione fino a quando i rapporti non saranno regolati dai Contratti di servizio. D’altronde, solo in quel momento, il livello standard di qualità potrà essere considerato come una delle voci di costo nella determinazione dei corrispettivi.

 

2.2 Attività di finanziamento della Regione

L’art. 4 della legge regionale 68/83 stabilisce che “l’Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti, al fine di garantire la continuità e l'efficienza dei servizi pubblici di trasporto di persone attraverso il conseguimento dell'equilibrio economico dei bilanci, è autorizzato ad erogare, contributi annui di esercizio nella misura indicata dalla presente legge alle aziende pubbliche e private, agli enti locali ed ai loro consorzi esercenti i trasporti pubblici locali di persone di cui al primo comma dell'art. 1 della legge 10 aprile 1981, n. 151 “.

Stabilita la finalità dei contributi, si indicano come beneficiari degli stessi:

1) le autolinee extraurbane in concessione di competenza regionale, gestite da aziende pubbliche, private e loro consorzi;

2) le autolinee urbane ed extraurbane di competenza comunale gestite in regime di concessione da aziende pubbliche o private o gestite direttamente, in economia o a mezzo di azienda speciale, dagli enti locali o dai loro consorzi;

3) le autolinee sostitutive di linee ferroviarie in concessione e di linee delle Ferrovie dello Stato definitivamente soppresse;

4) gli impianti di funivia dei comuni di Erice e di Taormina.

Annualmente, al fine di determinare la misura del contributo, l’Assessore regionale, sentite una Conferenza di servizio (di cui è stata nel 1998 modificata la composizione) e le organizzazioni sindacali del settore maggiormente rappresentative, stabilisce il costo economico standardizzato del servizio ed i ricavi presunti per chilometro di percorrenza.

Nel calcolo del costo economico standardizzato vengono presi in considerazione il costo del lavoro e di trazione, quello dell’ammortamento e quello per spese generali.

Ai fini del calcolo viene fatto riferimento alle percorrenze chilometriche.

Per la determinazione del contributo, dal costo standard totale viene sottratto il ricavo presunto pari al 45% del costo standard stesso per i servizi urbani, al 50% per servizi suburbani ed extraurbani con velocità inferiore ai 60 km/h, al 60% per i servizi extraurbani con velocità superiore a 60 km/h.

Il meccanismo di calcolo del costo economico standardizzato è molto complesso.

I punti sensibili del sistema, sottoposto negli scorsi anni a pesanti critiche, politiche e giornalistiche, sono costituiti dall’effettività ed esattezza del chilometraggio percorso dagli automezzi delle aziende e dall’eventuale sovradimensionamento del valore dei parametri assunti per la determinazione dei costi.

Non si hanno elementi per accertare fino a che punto il costo economico standardizzato corrisponda alla realtà o se il chilometraggio, certificato dalle aziende, sia o meno esatto.

Quanto ai ricavi, appaiono fuori dalla realtà le percentuali dal 45 al 60% del ricavo presunto con cui viene abbattuto il costo standard totale, in quanto, anche per le aziende più efficienti, è difficile che i ricavi da traffico coprano più del 30% delle spese.

A differenza delle aziende pubbliche, che usufruiscono di finanziamenti aggiuntivi, i contributi costituiscono, unitamente ai ricavi, l’unica fonte di finanziamento delle aziende private e, ove non fossero stati sufficienti, sarebbe stato pregiudicato il regolare svolgimento del servizio.

La sufficienza del finanziamento continua a persistere anche in presenza del blocco al 1997 del costo economico standardizzato, infatti l’art. 70 della legge regionale n. 20 del 3 Dicembre 2003 dice: “ i costi economici standardizzati, già determinati per il 1997, sono confermati per gli anni 2003, 2004, 2004 e 2006 ”.

La misura annua dei contributi d’esercizio è determinata, sulla base del consuntivo dell’anno precedente, dal prodotto delle percorrenze chilometriche delle autolinee in concessione, effettuate in conformità ai disciplinari di concessione o agli atti autorizzativi degli enti locali, per la base di valori standard del costo e del ricavo, determinati secondo le modalità di cui agli artt.6, 8 e 9 della legge regionale n. 68/1983 e successive modifiche.

I contributi dovrebbero essere erogati a rate trimestrali anticipate, ma tale norma non viene osservata con la conseguenza che le aziende per assicurare la regolarità del servizio, ove non dispongano di rilevanti disponibilità finanziarie, sono costrette a ricorrere alle anticipazioni bancarie. Il fenomeno è particolarmente grave sia per le aziende private, onerate di un costo aggiuntivo addebitabile all’inosservanza della legge da parte dell’Amministrazione, sia per le aziende pubbliche, in quanto il costo dell’anticipazione, alla fine, va sempre a gravare sui bilanci della Regione o dei Comuni con un evidente danno erariale.

Gli stanziamenti del bilancio di competenza della Regione ormai da qualche anno non sono sufficienti a coprire il fabbisogno dell’esercizio, per cui è diventata normale la corresponsione di acconti con conguaglio nell’anno successivo.

Infine, in seguito alle difficoltà economiche in cui versa la Regione la legge o le leggi che annualmente stanziano i fondi per i contributi prevedono che il contributo per ciascuna azienda debba essere proporzionalmente ridotto ove l’ammontare complessivo dei contributi spettanti superi lo stanziamento previsto dalla legge stessa.

È di tutta evidenza l’assoluta inconciliabilità di una norma del genere con il futuro sistema fondato su contratti di servizio remunerati con un corrispettivo, ma anche nell’attuale sistema concessorio la disposizione in questione è causa di incertezze per le aziende i cui equilibri di bilancio dipendono dalle disponibilità finanziarie di una Regione, i cui bilanci sono sempre più ingessati per la crescita delle spese correnti.

Un’ultima notazione riguarda la mancata applicazione, da diversi anni, dell’art. 12 della legge regionale n. 68/83, che prevedeva l’obbligo per l’Assessore regionale di compiere annualmente, a mezzo dei propri Uffici e con la collaborazione degli enti locali e loro consorzi per i servizi di trasporto di loro competenza, la rilevazione dei costi effettivi dei servizi di trasporto beneficiari dei contributi di esercizio. Le risultanze della rilevazione dovevano essere comunicate alla Conferenza di servizio per fornire alla stessa utili elementi di raffronto in sede di determinazione del costo economico standardizzato.

L’adempimento di tale obbligo avrebbe potuto favorire il graduale superamento del sistema fondato sul tradizionale interventismo pubblico, che, in assenza di un meccanismo spontaneo di incontro tra domanda e offerta, non è in grado di determinare autonomamente se si stiano producendo servizi in quantità insufficiente o eccessiva, a livelli di qualità troppo elevati o troppo bassi.

 

2.3 I finanziamenti erogati

In mancanza di dati certi la conclusione empirica che può trarsi dalle suesposte considerazioni è che, in passato, i contributi erano ampiamente remunerativi, ora consentono la sopravvivenza delle aziende, probabilmente a scapito della qualità del servizio, ove si consideri che le aziende di trasporto della Toscana (regione comparabile con la Sicilia per dimensioni e caratteristiche del territorio, anche se con una popolazione numericamente inferiore) nel 1998 hanno percepito contributi in conto esercizio per 382,7 miliardi a fronte di percorrenze per km. 113.706.000.

A titolo meramente indicativo, nella seguente tabella viene indicato il rapporto tra lo stanziamento di bilancio ed il numero complessivo di chilometri percorsi.

 

 Figura 9

 

A seconda però del tipo di azienda considerata (pubblica o privata), e dei parametri presi a riferimento, si possono avere diversi rapporti.

Analizzando ad esempio il caso di un’azienda, da quanto risulta dall’indagine della Corte dei Conti nel 2001, e prendendo in considerazione solo il  “costo standard del lavoro e di trazione” si rileva l’esistenza di diversi indici £/km, a seconda se si tratta di servizi urbani per i quali ha rilievo la popolazione della città servita, oppure di servizi extraurbani per i quali viene presa in considerazione la velocità commerciale:

-servizio urbano centri fino 30.000 abitanti                              £/km. 4.625

-                                 da 30.000 a 100.000 abitanti             £/km  5.492

-                                 da 100.001 a 300.000                      £/km. 5.956

-                                 da 300.001 a 650.000                      £/km. 6.552

-                                 oltre 650.000                                    £/km. 6.850

-     “ suburbano                                                                         £/km  4.755

- servizio extraurbano con velocità fino a 45 km/h                  £/km. 3.276

-                                                  da 45 a 60 km/h                £/km. 2.948

-                                                  oltre 60 km/h                    £/km. 2.074.

 

Poiché le aziende pubbliche esercitano prevalentemente servizi urbani e le aziende private servizi extraurbani, diventano comprensibili gli scostamenti dalla media sopra evidenziati.

Sono già stati rilevati i motivi che inducono a ritenere inattendibili i livelli dei parametri finora adottati, per cui non può che ribadirsi l’assoluta necessità di un’esatta rilevazione dei costi, unitamente a quella della redditività della linea messa in gara, ai fini di un’equa determinazione dei corrispettivi per i futuri contratti di servizio.

Prima di fornire alcuni dati sull’erogazione dei contributi d’esercizio, occorre ricordare che dal 1990 la Regione siciliana è esclusa dalla ripartizione degli stanziamenti del Fondo Nazionale Trasporti e  provvede alle esigenze del settore con i propri fondi di bilancio, finanziando la spesa corrente delle Aziende di trasporto pubbliche e private.

Nella relazione del 2001 la Corte dei Conti aveva evidenziato l’esigenza dell’istituzione di un apposito Fondo regionale, con assegnazione, in sede di redazione del bilancio preventivo, di uno stanziamento adeguato alle necessità del settore; esso avrebbe costituito un elemento di certezza sia per l’Amministrazione, che per le Aziende, le quali avrebbero avuto un chiaro punto di riferimento per la pianificazione della propria attività.

L’istituzione del Fondo avrebbe anche consentito la corresponsione dei contributi nel rispetto delle modalità e dei termini previsti dalla legge ( rate trimestrali anticipate), evitando il fenomeno dei pagamenti parziali e postergati talvolta anche all’esercizio successivo a quello di riferimento, con la conseguenza dell’accollo alle Aziende della spesa per interessi connessi al ricorso alle anticipazioni bancarie per lo svolgimento della loro attività imprenditoriale.

La segnalazione della Corte è stata recepita dal Dipartimento e dal Governo ed, infatti, l’art. 32 del Disegno di legge di riforma prevede la costituzione di un F.R.T., il cui ammontare verrà determinato annualmente con la legge di bilancio, sulla base delle risorse finanziarie proprie e di quelle trasferite dallo Stato.

Il Fondo sarà articolato in capitoli di spesa per far fronte agli oneri derivanti dall’esercizio dei servizi di trasporto pubblico locale- su gomma, su ferro ed aereo-, nonché per finanziare le spese di investimento ed il funzionamento dell’Agenzia regionale per il trasporto pubblico.

Nella tabella  qui riportata viene indicata la spesa nell’ultimo decennio per contributi alle aziende pubbliche e private esercenti servizi di trasporto pubblico urbano ed extra urbano per il ripiano dei disavanzi di esercizio, con specificazione delle relative leggi di copertura finanziaria.

 

Figura 10

 

Negli ultimi anni, sia in sede politica che amministrativa, è prevalsa l’opinione che il settore dei trasporti su gomma usufruisca di finanziamenti eccessivi, in quanto le aziende percepirebbero contributi di importo notevolmente superiore a quello occorrente per il ripiano dei disavanzi di esercizio e ciò potrebbe anche essere vero per alcune che gestiscono linee particolarmente redditizie.

In linea generale, deve, invece, ritenersi che i finanziamenti consentano la mera sopravvivenza del sistema (figura 11) per le considerazioni ampiamente esposte (inattendibilità delle percentuali dal 45 al 60% con cui viene abbattuto il costo standard totale in sede di determinazione del costo economico standardizzato; blocco al 1997 del costo economico standardizzato; blocco al 1995 delle percorrenze chilometriche ammesse a contributo; onere assunto dalle imprese per la spesa di anticipazioni bancarie a causa dei ritardati pagamenti; riduzione proporzionale dell’importo dei contributi in caso di superamento degli stanziamenti di bilancio).

 

Figura 11

 

L’attività di finanziamento della regione  è ovviamente estesa ai diversi tipi di trasporto: ferroviario, marittimo, aereo.

A tal fine, si farà un cenno ai vari interventi previsti dai rispettivi Accordi di Programma Quadro.

 

TRASPORTO FERROVIARIO

Ai sensi degli artt. 8 e 9 del D. Lgs. n. 422/97 sono state delegate alle Regioni le funzioni ed i compiti di programmazione ed amministrazione inerenti: le ferrovie in gestione commissariale governativa, le ferrovie in concessione a soggetti diversi dalle Ferrovie dello Stato, i servizi ferroviari in concessione alle Ferrovie dello Stato S.p.A. di interesse regionale e locale. Il subentro delle Regioni in tali rapporti è stato regolato da appositi accordi di programma.

Al fine di realizzare il potenziamento del trasporto ferroviario nella Regione, ritenuto un elemento indispensabile per accrescere la competitività del sistema produttivo regionale e per contribuire al riequilibrio territoriale, tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, la Regione siciliana, la Ferrovie dello Stato s.p.a. e la Gestione governativa Ferrovia Circumetnea, in data 5-10-2001, è stato stipulato un Accordo di Programma Quadro.

L’impegno delle parti si riferisce alla programmazione, progettazione e realizzazione degli interventi nelle varie città.

L’importo complessivo dei finanziamenti ammonta a 3.592,950 mld. di lire. Dopo decenni di disinteresse, in cui la rete ferroviaria della Regione ha raggiunto una condizione di assoluto degrado per la qualità dei tracciati e del materiale fisso e rotabile, gli interventi programmati e parzialmente in corso di esecuzione rappresentano soltanto un modesto avvio dell’opera di ammodernamento necessaria per rendere efficiente il servizio di trasporto ferroviario.

 

TRASPORTO MARITTIMO

Nel sistema del trasporto pubblico locale riveste una particolare rilevanza sociale ed economica il collegamento marittimo con le Isole minori, da esercitarsi in armonia con gli orientamenti comunitari sul cabotaggio marittimo, il quale vieta l’intervento oneroso dello Stato nei trasporti marittimi, che, in linea di principio, devono svolgersi in regime di concorrenza tra tutti gli armatori appartenenti agli Stati membri.

In passato era prevista la concessione di un contributo regionale ai vettori privati, che svolgevano i collegamenti marittimi con le Isole minori, fissato nella misura massima del 50% del costo complessivo del servizio.

Attesa la discordanza tra tale sistema di intervento ed i principi comunitari, il Dipartimento Regionale Trasporti ha redatto un disegno di legge di adeguamento comunitario.

La nuova legge n. 12 del 9-8-2002, recante “Nuove norme sui collegamenti marittimi con le Isole minori della Sicilia”, recepisce i principi comunitari ed ha assicurato la copertura finanziaria per l’affidamento dei servizi marittimi a partire dall’esercizio finanziario 2003.

L’APQ stipulato  tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, la Regione siciliana e le Autorità portuali di Palermo, Catania e Messina, prevede interventi per un importo di 1.449,902 miliardi di lire, così finanziati:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 12

 

 

TRASPORTO AEREO

Lo Stato, con la legge 388/2000, ha dettato i principi per la continuità territoriale della Sicilia, disciplinando tutte le fasi per l’imposizione degli oneri del servizio pubblico.

Questa legge, ha previsto un cofinanziamento regionale alle agevolazioni, non inferiore al 50% del contributo statale; in tal senso la Regione Siciliana con la L. R. n° 6/2001 è intervenuta partecipando all’onere finanziario richiesto dalla norma statale.

L’Accordo di Programma Quadro, prevede la realizzazione di interventi nei vari aeroporti per un costo complessivo di 667,698 miliardi di lire così finanziati:

 

Figura 13

 

 

2.4 Comparazione con altre Regioni

Il raffronto con le altre Regioni induce a delle considerazioni negative sia in ordine allo stato di efficienza del sistema siciliano sia in ordine al grado di sviluppo economico .

Nel seguente prospetto viene fornito un quadro della spesa corrente nelle varie Regioni per la gestione ordinaria dei servizi di trasporto pubblico locale.

 

Figura 14

 

La Sicilia spende per spese correnti un terzo rispetto alla Lombardia ed al Lazio, la metà rispetto al Piemonte ed alla Campania ed esce perdente dal confronto con quasi tutte le altre Regioni (anche con quelle ad essa non paragonabili sia per estensione, che per popolazione), in quanto il rapporto £/km (importo degli stanziamenti / totale dei Km. ammessi a contributo) è uno dei più bassi d’Italia.

Nella seguente tabella è mostrato il rapporto £/Km ( entità della spesa corrente regionale / totale dei chilometri ammessi a contributo), riferito all’anno 2001.

 

Figura 15

 

 

Considerato che la maggiore componente dei costi è rappresentata dalla spesa per il personale, disciplinata dai contratti collettivi di categoria, non esistono ragioni plausibili per poter ritenere che le aziende siciliane sopportino costi minori rispetto alle aziende del resto d’Italia, per cui la differenza sopra evidenziata può trovare giustificazione solo nel mancato soddisfacimento della domanda di mobilità e/o nella deficienza qualitativa dei servizi offerti.

Soltanto dopo che entrerà a regime la prevista riforma del settore con la completa individuazione delle esigenze, la revisione delle linee, l’apertura alla concorrenza e la sostituzione dei contributi con corrispettivi, la Regione avrà gli elementi certi per determinare il livello di efficienza e di qualità del servizio che intende fornire ai cittadini ed il livello di rilevanza da assegnare al trasporto rispetto agli altri settori di intervento, in sede di ripartizione delle risorse disponibili.

 

Parte terza - raffronto fra disposizioni normative e teoria economica

3.1 Condizione di monopolio del settore e sua regolazione

La teoria economica afferma che un sistema economico caratterizzato da mercati perfettamente concorrenziali ed assenza di esternalità raggiunge spontaneamente un equilibrio che configura un ottimo paretiano (primo teorema dell’economia del benessere). Qualora le ipotesi a fondamento del precedente teorema non ricorrano, il mercato “fallisce” nel compito di condurre all’ottimo.

Per quanto concerne il settore dei trasporti, si esamineranno nel prosieguo le fondamentali cause di fallimento del mercato, ossia la presenza di monopoli naturali e quella di esternalità.

Il monopolio naturale, in quanto naturale è ineliminabile, in quanto monopolio è inefficiente dal punto di vista paretiano, per cui, può essere considerato un caso di fallimento del mercato, che chiama in causa il dibattito sull’opportunità e l’efficacia di un intervento regolatore del soggetto pubblico.

In molti servizi infrastrutturali, il monopolio è inevitabile, per motivi in genere tecnologici.

La presenza di una condizione di monopolio comporta rilevanti perdite di benessere per la collettività. Il monopolio, infatti, da un lato riduce la quantità prodotta e aumenta i prezzi, diminuendo il benessere dei consumatori; dall’altro riduce il livello qualitativo dei servizi offerti.

Più in generale il monopolio ha effetti negativi sul benessere che derivano da inefficienze statiche e dinamiche, che possono così riassumersi:

 

 

Organigramma

 

Figura 16

 

 

§         Di tipo produttivo: è conseguenza dei maggiori costi di produzione sostenuti dal monopolista rispetto all’impresa concorrenziale. Il possesso di potere di mercato consente al monopolista di non doversi preoccupare di produrre nel modo più efficiente:egli può massimizzare i profitti senza curarsi della minimizzazione dei costi, infatti non sceglie necessariamente l’impianto più efficiente. Per contro l’impresa concorrenziale, che ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, sarà incentivata a minimizzare i costi, perché se sostenesse costi superiori a quelli dei concorrenti sarebbe costretta a uscire dal mercato

§         Di tipo allocativo: deriva dai costi sostenuti dal monopolista per acquisire e mantenere la posizione di monopolio. Poiché il potere di mercato è connesso all’esistenza di barriere all’entrata che impediscono l’ingresso di nuove imprese, il monopolista è fortemente incentivato a investire parte delle proprie risorse per mantenerle o rafforzarle. Inoltre, al fine di acquisire o mantenere la propria posizione, il monopolista sarà incentivato a porre in essere una serie di scelte che accrescono i costi dell’impresa (investimenti pubblicitari, protezione legale o tariffaria). Le imprese che operano in un contesto competitivo non avranno nessun incentivo a realizzare tali attività in quanto potranno mantenere la propria posizione esclusivamente minimizzando i costi.

§         Di tipo dinamico: è connessa alla minore innovatività delle imprese che operano in condizioni di monopolio. Un’impresa in concorrenza ha molto di più da guadagnare introducendo un’innovazione di processo che riduca il costo marginale di quanto non si verifichi per un’impresa monopolista.

Se un monopolio è, in qualche misura, <<naturale>> e dunque non può essere evitato, non ci si può semplicemente rassegnare. Esso non può essere tollerato, ma deve essere regolato, poiché è inefficiente sia in senso statico che in senso dinamico.

La regolazione serve ad eliminare (o a limitare) i costi che la collettività sopporta quando vi sia un fallimento di mercato; a promuovere l’offerta di beni o servizi meritori; a conseguire obiettivi di carattere redistributivo.

La regolamentazione pubblica del monopolio naturale può essere realizzata scegliendo tra politiche di intervento diverse.

A.    Innanzitutto si possono riconoscere all’impresa dei sussidi per lo stesso ammontare delle perdite subite.

Tuttavia il programma di intervento può essere molto costoso, poiché nel calcolo dei costi complessivi che la collettività sostiene, si deve tenere conto anche delle possibili perdite di benessere derivanti dalle distorsioni causate sugli altri mercati dalla tassazione indispensabile per sussidiare l’impresa che produce in perdita. Inoltre poiché è molto difficile conoscere i costi dell’impresa regolata per l’esistenza di asimmetrie informative, e dunque capire quali perdite riflettano le scelte di pricing e quali invece le inefficienze e gli errori del management d’azienda, è possibile che le perdite crescano in modo inarrestabile.

B.    Alternativamente, si può consentire all’impresa di praticare prezzi diversi a utenti diversi (discriminazione dei prezzi) o prezzi diversi per unità diverse di servizio. In questo modo è possibile raggiungere una posizione di ottimo (first best) senza che l’impresa subisca delle perdite.

C.    Infine, se la scelta di attribuire dei sussidi non è possibile o è inopportuna, o non si possono discriminare i prezzi, si può spingere l’impresa a fissare dei prezzi che le consentano restare vitale e di massimizzare il beneficio netto, anche se ad un livello inferiore a quello associato all’allocazione ottima (second best).

La regolazione, però, come ogni altra attività ha un costo che deve essere valutato e confrontato con i benefici che da essa possono conseguire.

Essa comporta dei costi operativi, quali quelli legati alle indagini sull’industria da regolare, la gestione di flussi informativi complessi, costi legali e spese amministrative; comporta dei costi anche alle aziende regolate, che devono affrontare investimenti nei sistemi informativi e contabili per fornire tutte le informazioni richieste; comporta dei costi per la collettività, nel caso si commettano errori che possono avere effetto sui futuri investimenti o sui processi di entrata di altre aziende nel settore regolato.

L’intervento regolatorio, dunque, può essere inefficiente e i fallimenti del marcato devono fare i conti anche con i fallimenti della regolazione.

 

3.2 Regolazione o concorrenza?

Viste le complessità della regolazione, è il caso di considerare una soluzione radicalmente diversa al problema di come gestire, preservando il pubblico interesse, un settore nel quale non sia possibile realizzare un assetto concorrenziale.

In realtà i nuovi contributi teorici tendono a sottolineare sempre di più l’opportunità di introdurre la concorrenza anche nelle situazioni caratterizzate dalla presenza di un monopolio naturale, ritenendo che l’importanza attribuita a quest’ultimo in passato per motivare gli interventi regolatori sia stata sovrastimata.

Ciò non solo perché l’aumento della domanda, l’introduzione delle innovazioni tecnologiche e l’emergere di nuove tecnologie, tra loro concorrenti, tendono ad eliminare situazioni monopolistiche, rendendo possibile la concorrenza nei servizi e nelle infrastrutture, ma anche perché si sono sviluppati nuovi approcci al problema del monopolio naturale, che collocano la regolazione in un ruolo diverso. La regolazione infatti non è più ritenuta l’unico strumento di intervento per affrontare i problemi connessi con la presenza del monopolio naturale e garantire risultati socialmente accettabili, ma uno dei modi possibili per perseguire questi risultati, dal momento che esistono diversi approcci in termini di concorrenza.

Due sono i percorsi principali che possiamo individuare:

 

§         CONCORRENZA PER IL MERCATO

§         CONTENDIBILITA’ DEL MERCATO

 

Figura 17

 

 

1)    Nel primo caso si tratta di fare emergere una concorrenza per il mercato, nella quale le imprese competano tra di loro per ottenere il diritto di servire il mercato stesso.

Applicando i meccanismi di asta o di appalto alla concessione per la gestione di servizi pubblici si possono realizzare ex-ante - attraverso il confronto competitivo per l’accesso al mercato - alcuni degli effetti in termini di efficienza garantiti dalla concorrenza (si aggiudica il diritto a produrre il servizio considerato quell’azienda, tra le varie partecipanti alla gara, che offre il più basso prezzo per la vendita del servizio medesimo).

2)    Nel secondo caso, se vi è libertà di ingresso e di uscita senza costi dal mercato, vale a dire se trovano applicazione le condizioni per la contendibilità del mercato, un monopolio naturale sostenibile non richiede interventi regolatori. È la possibilità, o la minaccia, di entrata di altre imprese, cioè la concorrenza potenziale, che spinge l’impresa monopolista ad adottare comportamenti efficienti fissando prezzi che sono uguali ai costi medi di produzione e che non comportano sussidi.

Si può concludere dicendo che la diffusione dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione non ha solo evidenziato il ruolo della concorrenza nell’evoluzione dei meccanismi regolatori, ma ha anche sottolineato l’importanza e la delicatezza della fase di transizione verso la concorrenza dei monopoli istituzionali, mostrando come sia necessario un progressivo arretramento dell’attività regolatoria al diffondersi di comportamenti concorrenziali.

È proprio questo il fondamentale principio ispiratore della politica comunitaria:  la realizzazione della libertà di concorrenza, con l’eliminazione di qualsiasi discriminazione o disparità di trattamento tra gli operatori, nazionali e stranieri al fine di abbattere l’attuale sistema monopolistico e sostituire la concessione con un contratto di servizio pubblico, che preveda la corresponsione di un corrispettivo per gli oneri derivanti dagli obblighi di servizio pubblico.

I Regolamenti 1191/69 e 1893/91, nel riconoscere l’inadeguatezza del vecchio quadro normativo, per affrontare il nuovo e mutevole contesto economico, si propongono le seguenti finalità:

-garantire una migliore qualità del servizio ed un miglior rapporto costo/qualità nel settore dei trasporti pubblici;

-garantire che gli operatori che esercitano il diritto di stabilimento possano effettivamente accedere al mercato mediante procedure eque, aperte e non discriminatorie per la concessione di compensazioni finanziarie e di diritti esclusivi;

-armonizzare gli aspetti fondamentali delle procedure di aggiudicazione esistenti nei vari Stati membri;

-promuovere la certezza del diritto con riguardo agli obblighi e ai diritti degli operatori e delle autorità in relazione alla normativa comunitaria in tema di aiuti di Stato e di diritti esclusivi nel settore dei trasporti.

Purtroppo in Sicilia queste norme non hanno avuto attuazione.

Le norme contenute nel capo VI del disegno di legge di riforma prevedono “la obbligatorietà della privatizzazione delle imprese pubbliche di trasporto per il ramo di azienda strettamente connesso all’esercizio dei servizi, al fine di pervenire ad una reale concorrenza tra le imprese e per assicurare economicità, capacità imprenditoriale e qualità ai servizi di TPL”.

Nel capo IV, invece, stabilisce che “la Regione, le Province ed i Comuni, ciascuno secondo le proprie competenze, dovranno procedere all’affidamento dei servizi attraverso procedure concorsuali, e procedendo all’aggiudicazione mediante l’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base di elementi di valutazione prestabiliti dall’Ente appaltante in sede di bando di gara”.

Al fine di evitare futuri assetti monopolistici, il disegno di legge prevede un’apposita norma antitrust, secondo la quale ciascun soggetto o società non può essere aggiudicatario, rispettivamente per i servizi urbani ed extraurbani, di una quota di servizi minimi di trasporto pubblico locale superiore al 30% di quelli programmati, in termini di chilometri di servizi, nella Regione.

Non esiste una data certa per l’apertura alla concorrenza.

Il termine previsto dal disegno di legge è di tre anni dalla sua approvazione, ma per la complessità degli adempimenti previsti (determinazione dei servizi minimi, approvazione dei programmi triennali regionali, provinciali e comunali, determinazione dei corrispettivi, predisposizione degli schemi di contratto di servizio e dei bandi di gara), non è pessimistico ipotizzare il prolungato ricorso all’affidamento provvisorio delle attuali società concessionarie.

 

3.3 Regolazione incentivante

Un sistema di trasporto pubblico locale efficiente costituisce una condizione essenziale per rendere sostenibile la mobilità di massa all’interno dei sistemi urbani.

La condizione di monopolio naturale di questo settore e le forti esternalità negative del trasporto individuale rendono necessaria una regolamentazione pubblica, nonché una politica di finanziamento pubblico, per limitare le diseconomie della gestione privata e per rendere questo servizio accessibile a tutti gli strati sociali della popolazione.

Nel trasporto collettivo la politica tariffaria ha una valenza sociale e ciò, insieme ai fallimenti del mercato, determina il duplice rischio dello scadimento della qualità del servizio e dell’accumularsi dei disavanzi di bilancio anche in presenza di trasferimenti pubblici.

Le risorse pubbliche destinate al settore dei trasporti locali sono cresciute fino ai primi anni ’90, quando le esigenze di risanamento della finanza pubblica hanno spinto lo Stato a ridurre la dotazione del Fondo nazionale trasporti. In assenza di appropriati meccanismi di incentivazione dell’efficienza e di sufficiente credibilità del vincolo di bilancio, regioni ed enti locali avevano lasciato crescere i disavanzi della aziende, nella speranza di ottenere, prima o poi, un intervento straordinario dello Stato. Intervento che si è in effetti più volte concretizzato, contribuendo a ridurre ulteriormente la credibilità dei vincoli di bilancio imposti a livello nazionale.

Da questa situazione è nata la riforma, che ha cercato di mettere un freno al grave dissesto finanziario del mercato, imponendo un obbligo minimo di copertura per ciascun operatore e la fissazione di un limite massimo al sussidio erogato.

Più in dettaglio, i contratti di servizio devono assicurare un rapporto di almeno il 35% tra ricavi da traffico e costi operativi, al netto dei costi di infrastruttura; inoltre i corrispettivi stabiliti nei contratti – cioè i sussidi pubblici – “possono essere soggetti a revisione annuale con modalità determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti di efficienza  con un incremento annuo massimo pari al tasso di inflazione programmata” ( D.lgs 422/97 art.19 ).

In sostanza il legislatore si è preoccupato di fissare un limite superiore ai trasferimenti ( in rapporto ai costi ), erogabili da parte di regioni ed enti locali e di delineare un meccanismo di adeguamento dei trasferimenti medesimi assai simile, nella logica, al price cap[10] e che possiamo definire subsidy cup.

L’obiettivo del disposto normativo è quindi quello di definire un metodo per erogare i sussidi pubblici in modo da incentivare l’impresa ad un comportamento più efficiente, ad aumentare il proprio grado di copertura  e a limitare quanto possibile la pressione fiscale in ambito locale.

Dal punto di visto operativo,però, i problemi di applicazione pratica di un tale meccanismo non sono irrilevanti.

Dal punto di vista economico la regolazione con price cap consiste nel porre un tetto (cap) alla crescita annua dei prezzi dei servizi prodotti dall’impresa, per un periodo prefissato, vincolandola alle variazioni dell’indice dei prezzi di un paniere di beni e di una grandezza che esprime l’efficienza produttiva (X).

La regolazione con price cup viene applicata in quei settori che mantengono le caratteristiche di monopolio naturale, nell’ambito, tuttavia, di un sistema regolatorio che prevede anche interventi per garantire l’accesso non discriminatorio a tali settori, in modo da favorirne l’apertura alla concorrenza.

Le caratteristiche principali dei modelli con price cap sono le seguenti:

§   il Regolatore fissa un tetto o vincolo ai prezzi, entro il quale l’impresa regolata può definire i prezzi dei propri servizi. Il vincolo induce l’impresa a produrre in modo efficiente, riducendo i costi, perché sa di potere trattenere, come profitti, tali riduzioni;

§   il vincolo, che può essere espresso come indice dei prezzi, viene definito con riferimento a un paniere di servizi. L’applicazione del vincolo a un paniere che include più servizi consente all’impresa di modificarne i prezzi,purchè la loro media, cioè l’indice, non aumenti. I modelli consentono pertanto alle imprese di influenzare la struttura dei prezzi;

§   gli indici vengono modificati periodicamente in base ad un fattore di adeguamento. Tale fattore, che esprime i guadagni di produttività che il Regolatore prevede che l’impresa potrà conseguire, viene reso noto in precedenza ed è esogeno all’impresa. Lo schema consente così anche ai consumatori di partecipare immediatamente ai guadagni previsti di produttività;

§   i fattori di adeguamento, i panieri e il sistema dei pesi, usati per costruire l’indice dei prezzi, vengono riesaminati ed eventualmente cambiati dopo un intervallo di tempo predeterminato. Le mutate condizioni dell’impresa e del contesto in cui essa opera rendono necessari interventi per ridefinire il vincolo. È anche attraverso questi interventi che il Regolatore consente una maggiore partecipazione dei consumatori alle riduzioni di costo ottenute dall’impresa.

In ogni caso, la determinazione del vincolo da porre alla crescita dei prezzi richiede un’attenta valutazione da parte del regolatore.

Un vincolo troppo stretto può infatti condizionare la redditività presente e le prospettive di crescita futura dell’impresa regolata. Un vincolo meno stretto rischia di lasciare all’impresa eccessivi profitti  e di vanificare gli obiettivi della regolazione.

Inoltre come per il price cup si pone il problema della definizione del vettore dei prezzi base su cui applicare il cup, così per il subsidy cup si pone il problema di definire il valore del trasferimento iniziale, su cui poi verrà applicato il cup, in modo che sia ridotta al minimo la manipolabilità da parte dell’impresa regolata.

Si supponga ad esempio che un’impresa venga sottoposta ad un subsidy cup: il regolatore potrebbe dire all’impresa che al tempo zero eroga in suo favore un sussidio che copre interamente le sue perdite, mentre, al tempo uno il sussidio, adeguato all’inflazione, si riduce di una percentuale X. Con un contratto di questo tipo è evidente che l’impresa ha l’incentivo a far lievitare quanto più possibile la perdita al tempo zero in modo da avere una base del cup più elevata negli anni successivi.

Quando infatti si ha un trasferimento che copre interamente il divario tra costi e ricavi da traffico, il livello di sforzo dell’impresa regolata non coincide con il massimo dell’efficienza. Nel periodo iniziale, infatti, l’impresa ha un incentivo a esibire costi elevati al fine di ingigantire il trasferimento su cui verrà applicato il cap.

È così necessario basare il cup su dati non manipolabili in modo da indurre l’impresa a sostenere effettivamente un maggiore sforzo e quindi a raggiungere una maggiore efficienza.

La normativa italiana nulla dice su tutte queste argomentazioni lasciando quindi agli amministratori locali il compito di definire le modalità di fissazione dei trasferimenti e dei relativi vincoli.

Nel caso della Regione siciliana, non si è addirittura tenuto conto del dettato dell’art. 18 del D.L.vo 422/97 secondo cui dovrebbe essere garantita, ove possibile, l’applicazione del criterio del “price cap” ( limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale).

I parametri indicati dal D.L.vo 422/97 sono:

a) tasso di variazione medio annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, ancorato all’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevato dall’ISTAT;

b) obiettivo di variazione del tasso annuale di produttività, prefissato per un periodo almeno triennale.

Il disegno di legge di riforma prevede solo che, nella determinazione delle tariffe, la Regione farà uso dei seguenti criteri:

- sistema tariffario elaborato su una tariffa chilometrica crescente secondo classi di distanza ed in base al tempo di validità del titolo di viaggio;

- sistema tariffario a zone, ovvero forme di integrazione tariffaria tra servizi di trasporto interurbani ed urbani e tra modalità diverse, garantendo una tipologia di titoli di viaggio e tariffe omogenee.

I suddetti criteri sono molto generici e lasciano ampia discrezionalità all’Amministrazione.

 

3.4 Considerazioni conclusive

Le conclusioni che si possono trarre dall’avere evidenziato un processo di riforma verso cui tende il nostro paese e, in particolare la regione Sicilia, sono che nella maggior parte d’Italia, (con l’eccezione di alcuni casi, prevalentemente al Nord) le aziende stentano a conseguire una struttura idonea ad un immediato confronto con il mercato, a causa delle rigidità ereditate dalla gestione tradizionale del settore pubblico.

Occorre ancora del tempo per realizzare la piena apertura alla concorrenza, vista come principio ispiratore della politica comunitaria nel settore del trasporto pubblico.

Le preoccupazioni che emergono per i futuro sono dovute all’incertezza circa la dimensione che assumerà il settore.

Il buon esito della riforma dipenderà, in larga misura, dalle scelte che faranno le amministrazioni comunali (per i trasporti urbani), quelle provinciali e regionali (per i trasporti extra-urbani, specialmente quelli ferroviari) e lo Stato.

Non è difficile capire come il modello emergente dalla normativa di riforma prefiguri il superamento della proprietà pubblica delle aziende di trasporto collettivo. Un superamento richiesto tanto dal tramonto degli affidamenti diretti e dal passaggio alle gare, quanto dall’affermarsi di una logica “industriale” e di separazione tra funzioni di programmazione-regolazione da un lato e di produzione del servizio dall’altro. Un superamento richiesto anche dall’esigenza di rendere più credibili i meccanismi di regolazione e i vincoli di bilancio degli operatori. Per il successo della riforma è necessario che Comuni, Province, Regioni e lo stesso Stato muovano con decisione nella direzione di nuovo assetto liberalizzato.

 

 

Riferimenti bibliografici

- G. MARZI, L. PROSPERETTI, E. PUTZU: “La regolazione dei servizi infrastrutturali”, Il Mulino.

- CORTE DEI CONTI, Sezione di controllo per la Regione siciliana : “Relazione sull’indagine relativa al sistema del trasporto pubblico locale in Sicilia” , giugno 2003.

-  Disegno di legge “Riforma del trasporto pubblico locale in Sicilia”.

- Decreto Legislativo 19 novembre 1997, n. 422 "Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59".

- Decreto Legislativo 20 settembre 1999, n. 400 "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di  funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale".

- Legge 10 aprile 1981, n. 151 “Legge quadro per l'ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti pubblici locali. Istituzione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli investimenti nel settore”.

- Legge 14 giugno 1983, n. 68 “Norme per la predisposizione del piano regionale dei trasporti, per la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti pubblici locali nel territorio siciliano e per il collegamento con le isole minor”.

- Decreto Legislativo 11 settembre 2000, n. 296 "Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti".

 



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* Docente di economia dei trasporti, facoltà di Economia, Università di Palermo.

[1] Legge 10 aprile 1981 n. 151 – “Legge quadro per l’ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti pubblici locali. Istituzione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli investimenti nel settore”.

[2] D. Lgs. 19 novembre 1997 n. 422 – “Conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’art. 4 della legge 15 marzo 1997 n. 59 (così come modificato dal D. Lgs. 20 settembre 1999 n. 400, “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422.

 

[3] Possono essere considerati minimi tutti i servizi assicurati dalle Regioni attraverso il Fondo   Trasporti. Gli Enti Locali hanno la possibilità di mettere in esercizio servizi aggiuntivi, rispetto a quelli minimi, ma il loro costo è a carico del bilancio degli enti stessi. I servizi minimi devono essere definiti tenendo conto:

a. dell’integrazione tra le reti di trasporto;

b. del pendolarismo scolastico e lavorativo;

c. della fruibilità dei servizi da parte degli utenti per l’accesso ai vari servizi amministrativi, sociosanitari e culturali;

d. delle esigenze di riduzione della congestione e dell’inquinamento.

[4] Anche  la gestione governativa per la navigazione di laghi e fiumi è trasferita alle regioni territorialmente competenti.

[5]  Le Città metropolitane hanno funzioni amministrative analoghe a quelle di competenza provinciale ed in particolare in materia di viabilità, traffico e trasporti.

[6] Tale trasferimento è avvenuto nel 1996, ma per la Sicilia risale al 1990.

[7] "Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti".

[8] Approvato dalla Giunta di Governo Regionale con delibera n. 265 del 7.8.2002.

[9] Approvato dalla Giunta di Governo regionale previo parere favorevole della IV Commissione legislativa dell’Assemblea Regionale siciliana e adottato con D.A. n. 237 del 16 dicembre 2002.

[10] Il meccanismo di adeguamento di tipo price cap viene indicato nell’art. 2 (comma 18) della Legge n. 481 del 1995 e richiamato nell’art. 18 (comma 2, lettera g) del D. Lgs n. 422 del 1997.

 

Data di pubblicazione: 10 marzo 2007.