La locazione delle unità da diporto*
Michele M. Comenale Pinto**
1. L'utilizzazione
commerciale delle unità da diporto
3. La
nozione di «locazione» nel diporto e la disciplina applicabile
4.
Locazione ed esercizio nella nautica da diporto
5.
Forma e conclusione del contratto
Sono
particolarmente grato agli amici e colleghi Alessandro Zanelli e Umberto La Torre
per avermi invitato a parlare in questa importante occasione. Ad entrambi mi
lega un affetto di lunga data: il primo, un certo numero di anni fa, mi
consentì di fare proprio qui a Catanzaro con lui le mie prime esperienze fuori
dalle mura dell’Istituto di diritto della navigazione dell’Università di Roma
“La Sapienza” (e devo dire che mi colpisce e mi lascia ammirato il confronto
con le strutture di allora, in cui si operava da pionieri e missionari del
diritto della navigazione); con l’altro, mio coetaneo, il vincolo si è
consolidato nei nostri percorsi di esperienze parallele.
Il tema che mi è
stato affidato richiede una premessa sul contesto nel quale è stato adottato il
codice della nautica da diporto, che non è privo di conseguenze anche sulla disciplina
della locazione.
In effetti, il
legislatore delegato sembra aver disatteso uno dei criteri che erano emersi nel
provvedimento che gli aveva attribuito la delega. La modificazione dell'art. 1,
comma 3, della l. 11 febbraio 1971, n. 50, operata dall'art. 1, comma 1, lett. a) della l. 8 luglio 2003, n. 172, con
l'eliminazione del rinvio in via residuale al codice della navigazione,
lasciava credere che si intendesse perseguire
la prospettiva di rendere autonoma la disciplina del diporto ([1]).
A scanso di equivoci devo precisare che, pur trattandosi di una tesi non priva
di dignità, io, personalmente, non la condivido ([2]).
Senonché, a prescindere da quelli che possono essere i problemi di legittimità
relativi alla coerenza con il quadro disegnato dalla legge delega, non può fare
a meno di rilevarsi la contraddittorietà del quadro normativo di riferimento
che, dalla riforma, è scaturito per il diporto e, in particolare, per la
disciplina della locazione, una volta che non si è escluso il ricorso alla
disciplina della navigazione in generale. Nella misura in cui la disciplina del
codice della navigazione resta comunque applicabile, il codice del diporto
appare per un lato ridondante e, per l’altro, carente di quelle disposizioni
derogatorie che, forse, sarebbe stato necessario introdurre o mantenere.
Con l'art. 1, comma
3, cod. dip. è prevalso l'approccio della specialità nella specialità, con il
richiamo del codice della navigazione, per risolvere il problema delle lacune ([3]).
Nel quadro normativo offerto dal testo
originario della l. 11 febbraio 1971, n. 50, si era esclusa la configurabilità
dei contratti di utilizzazione per le unità da diporto, per la ritenuta
incompatiboilità con il «fine di lucro» ([4]).
Il presupposto era la constatazione che le unità da diporto, pur rispondenti
alla definizione di «nave», di cui
all'art. 136 c. nav., e dunque tali da
poter (e dover) essere in astratto assoggettate al codice della navigazione,
erano sottoposte ad un regime agevolato in ragione della loro particolare
destinazione non finalizzata al lucro. In effetti, il legislatore del codice
della navigazione, nel comma 1 del menzionato art. 136, aveva espressamente indicato il diporto fra
le finalità della nozione ampia di «trasporto
per acqua », al quale deve essere idonea la nave per essere qualificata
come tale.
La possibilità di utilizzare mediante
contratti di locazione o di noleggio imbarcazioni e natanti da diporto venne
espressamente prevista, come deroga alla disciplina dell'art. 1, comma 2, della
legge 11 febbraio 1971, n. 50 ([5]),
dall'art. 15, comma 1, della l. 5 maggio 1989, n. 171([6]).
L'apertura alla possibilità dell'impiego commerciale era però accompagnata
dalla previsione dell'istituzione di un registro in cui iscrivere le unità da
diporto adibite alla locazione e al noleggio
(comma 2) e di un ruolo speciale delle ditte operanti nel settore della
locazione e del noleggio di unità da diporto (comma 3). Il quarto ed ultimo
comma rinviava ad un decreto ministeriale la regolamentazione dell'attività; a
tal fine venne successivamente adottato il d.m. (trasporti e navigazione) 21
settembre 1994, n. 731, che, come è stato esattamente rilevato, trascese i
limiti della potestà regolamentare, andando ad incidere su diversi profili di
natura privatistica ([7]).
La disciplina venne semplificata dal
d.l. 21 ottobre 1996, n. 535, convertito dalla l. 23 dicembre 1996, n. 647, il
cui art. 10, al comma 11, novellò (sia
pure in un contesto non del tutto coerente) ([8])
l'art. 15 della 5 maggio 1989, n. 171, limitandosi a prevedere, nel secondo
comma, la sola annotazione nei registri di iscrizione dell'utilizzo dell'unità
da diporto per fini di locazione e noleggio con l'indicazione dei soggetti, e
il numero di iscrizione nel registro delle imprese della competente C.C.I.A.A.;
peraltro, novellando il primo comma, aveva espressamente previsto (diversamente
dal testo originario che riguardava soltanto natanti ed imbarcazioni) la
possibilità di fare oggetto di locazione e di noleggio anche le navi da
diporto.
Nel medesimo segno sembra collocarsi
l’art. 1, comma 4, della l. 11 febbraio 1971 n. 50, che risulta dagli
emendamenti apportati dalla l. 8 luglio 2003, n. 172 ([9]).
Con tale intervento normativo, si è
prevista in generale la possibilità di utilizzare tutte le unità da diporto «mediante contratti di locazione e di
noleggio e per l'insegnamento della navigazione da diporto, nonché come unità
appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo».
Il d. lgtv. 18 luglio 2005, n. 171, «Codice della nautica da diporto ed
attuazione della direttiva 2003/44/CE, a norma dell’articolo 6 della legge 8
luglio 2003, n. 172» ([10]), non si
discosta dalla precedente disciplina, per quanto concerne il regime
amministrativo dell'utilizzazione commerciale delle unità da diporto. Sono
peraltro dettate alcune disposizioni speciali in tema di locazione finanziaria
(art.
All'art. 2, comma 2, il codice della
nautica da diporto prevede che l'utilizzazione a fini commerciali delle
imbarcazioni e navi da diporto sia annotata nei relativi registri di
iscrizione, con l'indicazione delle attività svolte e dei proprietari o
armatori delle unità, imprese individuali o società, esercenti le suddette
attività commerciali e degli estremi della loro iscrizione, nel registro delle
imprese della competente camera di commercio, industria, artigianato ed
agricoltura. È altresì richiesto che gli estremi dell'annotazione siano
riportati sulla licenza di navigazione.
Di seguito alle formalità per l'impiego
commerciale di navi ed imbarcazioni da diporto nazionali, l'art. 2 cod. dip.,
al comma 3, richiede per le unità da diporto di bandiera di altro Stato dell'Unione,
al fine di impiegarle in locazioni e noleggi, che «l'esercente» renda dichiarazione in tal senso presso «l'autorità marittima o della navigazione
interna con giurisdizione sul luogo in cui l'unità abitualmente staziona».
È da lamentare che la nozione di luogo di abituale
stazionamento, sottesa alla disposizione recata dal comma 3, relativamente
alla locazione e noleggio di unità di bandiera di altro Stato dell'Unione
europea appare piuttosto evanescente, e come tale dia luogo ad un certo margine
di incertezza. La formula legislativa è solo parzialmente corrispondente a
quella di «abituale ricovero» evocata
nella parte aeronautica del codice della navigazione per individuare la
competenza degli uffici periferici dell'ENAC (artt. 759 e 760 c. nav.), dato
che, per quest'ultima, si tratta comunque di dato che risulta univocamente dal
certificato di immatricolazione (art. 755 c. nav.).
Il quarto ed ultimo comma dell'art. 2
prevede l'esclusività della destinazione all'uso di locazione e noleggio: le
unità da diporto oggetto di contratti di locazione e noleggio non potrebbero
essere destinate ad altra finalità ([11]).
Ed è da aggiungere che tanto l'omissione delle formalità di annotazione di cui
al comma 2, o di dichiarazione per le unità di bandiera di altro Stato
dell'Unione europea, ai sensi del comma 3, che l'utilizzazione in violazione
dei richiamati limiti del comma 4 sono sanzionate nel successivo art. 55 con «la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro duemilasessantasei a
euro ottomiladuecentosessantatre».
Per quanto concerne l'utilizzazione
commerciale dei natanti, il Codice della nautica da diporto, all'art. 27, comma
6, uniformandosi a quanto già previsto dall'art. 13, comma 5, della l. 11 febbraio 1971, n. 50
([12]),
rinvia per la disciplina (anche per le modalità della condotta) alle ordinanze
della competente autorità marittima o della navigazione interna; rispetto alla
previgente normativa, è stata (correttamente) prevista l'intesa con gli enti
locali ([13]).
Il Codice della nautica da diporto ha
pure espressamente previsto, nel Titolo III, disposizioni speciali sui
contratti di utilizzazione delle unità da diporto e sulla mediazione ([14]).
La disciplina (anche) della locazione
contenuta nel nuovo codice della nautica da diporto è però caratterizzata da
una serie di vincoli e di restrizioni, che non sembrano del tutto coerenti con
le finalità che il legislatore delegato era stato chiamato a perseguire con il
provvedimento di conferimento della delega, in particolare per quanto concerne
il disegno di «semplificazione e
snellimento», espressamente evocato dalla lett. b, dell'art. 6, comma 1,
della l. 8 luglio 2003, n. 172. Si respira un'aura di sospetto che, nell'ottica
del legislatore, avvolge l'intero settore del diporto e che lo induce a piegare
istituti privatistici a finalità diverse rispetto a quelle che sarebbero loro
connaturate: l'esempio più eclatante, al di là della materia dei contratti di
utilizzazione, è rinvenibile nella previsione dell'obbligo (sanzionato) di
pubblicità degli atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà o di
altri diritti reali sulle unità da diporto soggette ad iscrizione, di cui
all'art. 17 cod. dip.
Va segnalato il
rischio che l’eccesso di rigidità della normativa italiana possa allontanare lo
svolgimento delle attività commerciali legate al diporto dalle nostre coste e
ad abbandonare la nostra bandiera per le unità a tal fine impiegate, posto che
una legge italiana non può incidere su un contratto (validamente) concluso
all’estero, ancorché, per avventura, destinato a svolgersi in parte anche preponderante nelle acque
italiane.
Per di più, in tale normativa si
rinvengono alcuni punti critici, sia sotto il profilo tecnico-dogmatico, che
alla stregua di un'analisi degli effetti economici probabili o comunque
possibili, accompagnati persino da una certa trascuratezza formale, che si
traduce, fra l'altro, in scelte lessicali discontinue ed incoerenti. Sotto
quest'ultimo profilo, può registrarsi come il soggetto che acquisisce la
disponibilità dell'unità da diporto sulla base del contratto di locazione è
indifferentemente qualificato come «locatario»
(art. 40, comma 2) o come «conduttore»
(art. 42, comma 2; art. 43, comma 1 e comma 2; art 46), termine verosimilmente
impiegato negli art. 35, comma 1, e 36,
comma 1 nell’accezione del titolo professionale a suo tempo previsto dall’art.
10 del d.l. 21 ottobre 1996, n. 535, come convertito dalla l. 23 dicembre 1996, n. 647 ([15])
.
Il tema della
locazione di unità da diporto si interseca con quello più generale del rapporto
fra codice della navigazione e disciplina della nautica da diporto.
Una volta ammessa la possibilità di
fare le unità da diporto oggetto di contratti di utilizzazione, il legislatore
ha ritenuto di dover dettare norme definitorie di tali contratti. Così, l’art.
10 del d.l. 21 ottobre 1996, n. 535, convertito dalla l. 23 dicembre 1996, n.
647, al comma 8, rispettivamente alle lettere a) e b), ha introdotto
una definizione dei contratti di locazione e noleggio. In particolare, ai sensi
della lett. a) si deve intendere «per locazione, il contratto con cui una
delle parti si obbliga verso corrispettivo a far godere all'altra per un dato
periodo di tempo l'unità da diporto. L'unità passa in godimento autonomo del
conduttore il quale esercita con essa la navigazione e ne assume la
responsabilità ed i rischi».
Tale definizione ispira quella recata
dal codice della nautica da diporto, nell'art. 42, comma 1, cui segue il comma
2 (relativo all'assunzione di responsabilità).
La locazione, così come risulta
definita dalla normativa speciale del diporto, sembra rientrare nel tipo della
locazione definita dall'art. 1571 c. civ. ([16]).
Nonostante quanto si è detto sui
rapporti fra disciplina della nautica da diporto e disciplina del codice della
navigazione, permane qualche margine di dubbio circa la possibilità di
ricondurre la locazione di unità da diporto alla locazione di nave, di cui
all'art. 376 ss. c. nav. e, in caso affermativo, occorre chiedersi se ci sia
margine per l'applicazione residuale di tale disciplina ([17]).
Il problema sorge in relazione ai dubbi,
a suo tempo sollevati in dottrina, circa la ricorrenza dell'esercizio per i
natanti e per le imbarcazioni da diporto, in particolare sulla base dell'art.
46 della l. 11 febbraio 1971, n. 50 ([18])
(che sottraeva tali unità all'applicazione della disciplina degli artt. 274-277
c. nav.) ([19]),
e comunque in base a considerazioni dimensionali ([20]).
Da tale presupposto, secondo alcune voci, sarebbe stata da escludere,
quantomeno per natanti ed imbarcazioni da diporto, altresì l'applicazione della
disciplina dettata dal codice della navigazione per la locazione di nave ([21]),
che è caratterizzata proprio dal legittimare il non proprietario ad assumere
l’esercizio ([22]).
In realtà, non sembra potersi
condividere la premessa su cui è costruito il ricordato sillogismo, in quanto
la sussistenza dell'elemento dell'esercizio va riconosciuta anche rispetto ad
unità di minime dimensioni destinate al diporto, ed a prescindere dalla sua
durata ([23]).
Non sembra possibile escludere la ricorrenza dell'esercizio sulla base di una regola
derogatoria che imputa la responsabilità in maniera difforme rispetto alla
regola generale ([24]):
a seguire fino in fondo una tale ottica, bisognerebbe pervenire alla davvero
poco condivisibile conclusione di escludere l'esercizio per quanto concerne le
navi che trasportano idorcarburi alla rinfusa, nella misura in cui si assuma la
rilevanza al riguardo dell'imputazione al proprietario in quanto tale dei danni
da spandimento in mare di idrocarburi, ai sensi della Convenzione di Bruxelles
del 29 novembre 1969 (c.d. C.L.C.
1969) e successive modificazioni ([25]).
Al di là della valutazione
sull'opportunità della soluzione a suo tempo adottata dal legislatore (di cui
fortemente si dubita), è da segnalare che, persino nel codice della
navigazione, a seguito della recente novella della parte aeronautica, è venuto
meno il collegamento fra posizione di conduttore ed assunzione dell'esercizio:
infatti, l'art. 939-ter c. nav., come introdotto dall'art. 17 del d. lgtv. 9
maggio 2005, n. 96, mantiene al locatore la posizione di esercente per il caso
delle locazioni di durata non superiore a quattordici giorni ([26]).
Non sembra del resto poco significativo
lo stesso imbarazzo che è dato riscontrare nei formulari di locazione di nave
da diporto che contrappongono, con apparente contraddizione, la figura
dell’armatore-locatore a quella del conduttore ([27]).
D’altronde, anche nel codice della nautica da diporto, la locazione viene
regolamentata nell’ambito e come estrinsecazione di un’attività imprenditoriale
organizzata, in cui il profilo della costituzione e dello svolgimento del
rapporto contrattuale non appare certo preminente ([28]).
Peraltro, nel codice della nautica da
diporto non è dato rinvenire una norma d'eccezione formulata in maniera analoga
a quella dell'art. 46 della l. 11 febbraio 1971, n. 50, con una serie di
conseguenze certamente rilevanti, fra cui (nella misura in cui sia
riconoscibile la ricorrenza dell'esercizio) va richiamata quantomeno l'apertura
all'applicazione della disciplina in tema di limitazione del debito ex art. 275
c. nav.; d'altra parte, la nozione di «armatore»
(riferita a navi ed imbarcazioni da diporto) è esplicitamente evocata una volta
sola nel codice della nautica da diporto, nel comma 2 dell'art. 2, di seguito
al comma 1, che elenca le possibili utilizzazioni commerciali delle unità da
diporto, fra le quali, alla lett. a) menziona
espressamente locazione e noleggio.
Il richiamo, nell'art. 2 cod. dip.,
alla figura dell'armatore appare comunque operato in maniera alquanto
contraddittoria, dato che sembrerebbe essere individuata in tale figura, oltre
che in quella del proprietario, il soggetto che può esercitare una della
attività commerciali (di locazione e di noleggio) con le unità da diporto;
attività che va annotata nel registro di iscrizione e trascritta sulla licenza.
Sennonché, se si potesse dare una lettura della norma in questione nel senso di
riconoscimento legislativo della sussistenza dell'esercizio nel diporto, ci si
troverebbe di fronte ad una nozione di locazione antitetica rispetto a quella
del codice della navigazione. D'altronde, nel determinare gli effetti del
contratto di locazione di unità da diporto, l'art. 42, comma 2, del codice
della nautica da diporto semplicemente afferma che il conduttore «esercita la
navigazione e ne assume la responsabilità ed i rischi».
L’estraneità del locatore alle obbligazioni e
responsabilità derivanti dall’impiego del veicolo (se non indirettamente,
attraverso la garanzia che il veicolo assume per i crediti ([29]),
e salvo le conseguenze dell'omessa dichiarazione di esercizio, ai sensi
dell'art.. 272 o dell’art. 876 c. nav.) ([30])
ha costituito uno dei punti di arrivo della disciplina della locazione
nell'ambito del diritto della navigazione, dal cui alveo si è tuttavia
parzialmente allontanato, come si è avuto modo di accennare, il legislatore
della recente riforma della parte aeronautica del codice della navigazione.
Rispetto a tale regola, giuoca il ruolo di eccezione la
previsione, in tema di nautica da diporto, della responsabilità comunque del
proprietario per i danni subiti dai terzi, alla stregua della disciplina di
diritto comune, attraverso il richiamo dell’art. 2054 c. civ. ([31]) (ma la questione si ricollega alle difficoltà
in ordine all’individuazione del fenomeno dell’esercizio rispetto alla
navigazione lusoria).
Ai fini dell’applicazione delle
norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate
alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate,
se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso,
anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro
metri: il codice della navigazione che pure richiede per locazione e noleggio
la forma scritta (soltanto ad probationem)
agli artt. 377 e 385, prevede per
entrambi i contratti in questione una deroga rispetto a tali navi ([32]). Tuttavia, con disposizione evidentemente finalizzata a ragioni di
carattere fiscale, ma in generale non coerente con la ricordata generale
equiparazione delle imbarcazioni da diporto alle «navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci
tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni
altro caso», l’art. 42, comma 3, del
codice della nautica da diporto impone la forma scritta a pena di nullità per
le locazioni di imbarcazioni e navi da diporto ([33]) e richiede (con norma che non rileva
evidentemente sulla validità della formazione del vincolo contrattuale) la
presenza a bordo dell’originale del documento o di una sua copia conforme
(previsione estesa alla sublocazione dal comma successivo).
Le
ricordate previsioni in tema di forma non ostano di per loro alla conclusione del
contratto per via telematica, quantomeno nella misura in cui le parti
contraenti ricorrano alla firma qualificata ai sensi dell'art. 11, comma 1, del
d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, fermo restando che, come avverte il successivo
comma 2 del medesimo articolo, dovrà farsi applicazione delle disposizioni in
materia di contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali ([34]).
Dovranno peraltro essere rispettate le disposizioni in tema di contratti a
distanza ([35])
e le prescrizioni in tema di commercio elettronico di cui al d. lgs. 9 aprile
2003, n. 70 ([36]).
Va, peraltro, avvertito che sembra ricorrere una delle ipotesi di esclusione
del diritto di recesso previsto dalla disciplina dei contratti a distanza,
trattandosi di «ai
contratti di fornitura di servizi relativi …. ai trasporti, … al tempo libero, quando all’atto della
conclusione del contratto il professionista si impegna a fornire tali
prestazioni ad una data determinata o in un periodo prestabilito» ([37]).
Né l'aventuale conclusione del
contratto a mezzo telematico osta a che poi possa essere formata una copia
cartacea conforme, per soddisfare la previsione della presenza a bordo del
documento.
Superato in astratto il problema
dell'applicabilità in via residuale della disciplina del contratto di locazione
nel codice della navigazione, deve tuttavia constatarsi che il margine che
operare in tal senso non è particolarmente ampio. La disciplina di tale contratto
nel codice del 1942 si risolve in otto articoli, dall'art. 376 all'art. 383
compreso.
L'art. 376 c. nav. detta la definizione
di «locazione di nave», che, però,
nel diporto è oggetto della menzionata specifica previsione nell'art. 42, comma
1 e comma 2, cod. dip.
L'art. 377 c. nav. riguarda la forma
del contratto, ed è derogato, come si è visto, dall'art. 42, comma 3, che
prevede la forma scritta a pena di nullità per imbarcazioni e navi da diporto.
L'art. 378 c. nav. riguarda la
sublocazione e la cessione del contratto: nel codice del diporto è disciplinata
solo la forma di tali negozi (che deve essere la medesima del contratto di
locazione, ai sensi dell'art. 42, comma 4. Nella misura in cui non si ritenga
il divieto di sublocazione e di cessione non autorizzata dal locatore una
conseguenza dell'obbligo del conduttore di «l'unità
da diporto secondo le caratteristiche tecniche risultanti dalla licenza di
navigazione e in conformità alle finalità di diporto», sarebbe da
applicarsi il corrispondente divieto dell'art. 381 c. nav., che, peraltro,
contempla in generale l'obbligo del conduttore di utilizzare la nave «in conformità dell'impiego convenuto».
L'art. 379 c. nav. prevede gli obblighi
del locatore in maniera speculare rispetto all'art. 45 cod. dip.; in più,
rispetto a quest'ultima norma afferma l'obbligo del locatore di «provvedere a
tutte le riparazioni dovute a forza maggiore o a logorio per l'uso normale
della nave secondo l'impiego convenuto», disposizione che sembra
applicabile al diporto, così come la quella dell'art. 380 c. nav., in tema di
responsabilità del locatore per difetto di navigabilità (salvo il caso del
vizio occulto non accertabile con la normale diligenza).
La disciplina della scadenza del
contratto, di cui all'art. 382 c. nav., e quella della prescrizione, trovano
due norme speculari negli artt. 43 e 44 cod. dip. Deve segnalarsi come il
principio delll’art. 382 c. nav. sia stato ritenuto lontano dalla prevalente
prassi commerciale dei contratti del settore mercantile, che prevede criteri
più favorevoli al conduttore ([38]).
È da dire, però, che la tendenziale
limitata durata temporale delle locazioni delle unità da diporto rende però
verosimilmente ragionevole in tali rapporti il criterio della maggiorazione del
nolo nella misura del doppio, più di quanto non lo sia nella navigazione
commerciale tradizionale.
* Lo scritto riproduce il testo
della relazione svolta al convegno “Il codice della nautica da diporto”,
svoltosi presso
**Ordinario di diritto della
navigazione presso l'Università degli studi di Sassari.
[1] Su tale prospettiva, M. Grigoli, La disciplina del diporto e turismo nautico, Bari, 2005, 223 ss.; con riferimento alla l. 172 del 2003, v. A. Antonini, Riflessioni sulla navigazione da diporto, in Dir. mar., 2005, 663, 664; E. Romagnoli, Il regime giuridico del diporto nautico alla luce dei recenti mutamenti
normativi operati dalla l. 172/03, in Dir.
mar., 2003, 1522, 1525; cfr. R. Abbate, Alcune osservazioni sulla legge 8 luglio 2003, n. 172, “disposizioni
per il riordino ed il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”,
in Dir. mar., 2004, 1130, 1133.
[2] E su questo punto sono confortato
dalla riserve a suo tempo espresse da G.
Camarda, Brevi note sui danni del
trasportato di cortesia nell'unità da diporto, in Dir. trasp., 2004, 751, 752. Vale il suo avvertimento (ibidem), secondo cui tale impostazione
del legislatore poteva «essere criticata ma non ignorata, sia perché investe
quei principi generali che la legge sul diporto aveva semplicemente codificato
(non creato ex novo), sia perché
continuo a credere che le leggi non siano grida di manzoniana memoria».
[3] Cfr. M. Grigoli, La
disciplina del diporto e turismo nautico, cit., 21. Rispetto alla disciplina previgente della l. 11 febbraio
1971, n. 50, cfr. G. Camarda, La responsabilità per danni a terzi nel
corso dell’attività nautica ricreativa e sportiva, in atti del Convegno di
Trieste del 27 marzo
[4] Sulla base di tale disciplina, si
era posto in dubbio che l'unità impiegata in contratti di utilizzazione a fine
di lucro potesse essere considerata da diporto: v. F. Berlingieri, Impiego
di unità da diporto a scopo di lucro, in Dir. mar., 1981, 13. Nel senso, tuttavia, dell'applicabilità della
disciplina dei contratti di utilizzazione alle unità da diporto, v. G. Pescatore, Codice della navigazione e disciplina speciale del diporto, cit.,
791. Secondo D. Gaeta, Il nuovo ordinamento della navigazione da
diporto, in Dir. mar., 1992, 339,
372 nella legge speciale sulla nautica da diporto (al cui testo originario l'A.
in questione si riferiva) non sarebbe esistito «alcun divieto di locare o
noleggiare le unità da diporto».
[5] Deroga di cui, secondo D. Gaeta, Il nuovo ordinamento della navigazione da diporto, cit. (tenuto
conto dei presupposti precisati nella nota precedente), 372, non vi sarebbe
stata peraltro necessità; conf. A.
Antonini, Profili privatistici
della navigazione da diporto, ne Il
cinquantenario del codice della navigazione, a cura di L. Tullio e M. Deiana,
Cagliari, 1993, 125, 127. Che la possibilità di farne oggetto di contratti di
utilizzazione non potesse ritenersi esclusa (nonostante la formulazione
dell’art. 15 della l. 5 maggio 1989, n. 171, che si riferiva solo ad
imbarcazioni e natanti) è sembrato pacifico: A.
Antonini, Rilievi critici sulla
nuova disciplina della nautica da diporto, in Dir. mar., 1991, 181, 183.
[6] Cfr. in proposito M. Grigoli, In merito alla locazione ed al noleggio delle imbarcazioni e dei
natanti da diporto, in Giust. civ.,
1990, II, 75 (in senso critico rispetto alla previsione dell’ammissibilità di
locazione e noleggio di unità da diporto, introdotta dalla l. 5 maggio 1989, n.
171); Id., Notazioni negative e positive sul regolamento recante norme per
l’esercizio della locazione e del noleggio delle unità da diporto, ivi,
1995, II, 581; M. Riguzzi, La locazione e il noleggio di unità da
diporto, ne La navigazione da
diporto, atti del Convegno di Trieste del 27 marzo
[7] A.
Antonini, Rilievi critici sulla nuova disciplina della
nautica da diporto, cit, 186; Id., Profili privatistici della navigazione da diporto, cit. 126 (con riferimento ad uno schema di
regolamento nella cui scia si è poi inserito il provvedimento ministeriale); M. Riguzzi, La locazione e il noleggio di unità da diporto, cit., 72; A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, Napoli, 2003, 122, sub nota
270.
[8] Il decreto legge in questione era
intestato «disposizioni urgenti per i
settori portuale, marittimo, nonché interventi per assicurare taluni
collegamenti aerei».
[9] Peraltro, l'art. 3 della medesima
legge (segnando un ulteriore progresso per quella che potremmo definire la commercializzazione dell'impiego delle unità
da diporto) ha previsto la possibilità di iscrivere nel registro
internazionale di cui al d.l. 30 dicembre 1997, n. 457, come convertito dalla
l. 27 febbraio 1998, n. 30 (su cui v. in generale F. Berlingieri, Istituzione
del registro internazionale e nuove norme in tema di requisiti di nazionalità e
dismissione della bandiera, in Dir.
mar., 1998, 529), e successive modificazioni, le navi le navi con scafo di
lunghezza superiore a
[10] Pubblicato sulla G. U. del 31
agosto 2005, n. 202.
[11] L'art. 5, comma 1, del d.m.
(trasporti e navigazione) 21 luglio 1994, n. 731, cit., disponeva che ditte e
le società ammesse ad operare nel settore potessero utilizzare per la locazione
ed il noleggio soltanto le unità da diporto iscritte nei registri (R.U.D.L.N.),
istituiti ai sensi del comma 2 dell'art. 15 della legge n. 171/1988, presso le
autorità marittime e della navigazione interna. L'ultima parte aggiungeva il
principio dell'esclusività dell'impiego di tali unità.
[12] Ma v. anche d.m. (trasporti e
navigazione) 21 luglio 1994, n. 731, cit., art. 1, comma 2.
[13] La previsione appare coerente con
il ruolo degli enti locali nel turismo, come affermato dalla legge-quadro sul settore, 29 marzo 2001, n.
135, all'art. 2.
[14] Sulla problematica, v. in
generale M. Grigoli, La disciplina del diporto e turismo nautico, Bari, 2005, 223 ss.
[15] Il regolamento dei titoli
professionali per la nautica da diporto è oggi dettato dal d.m. 10 maggio 2005,
n. 121. L’art. 14 di tale d.m. fa salva la valità dei titoli di conduttore di
imbarcazioni da diporto adibite al noleggio, conseguiti sulla base della
disciplina dell’art. 10 del d.l. 21 ottobre 1996, n. 535.
[16] E su tale presupposto si è
esattamente ritenuta l’applicabilità dell’art. 1588 c. civ., in tema di danni
cagionati al bene locato, durante la sua detenzione da parte del conduttore: M. Riguzzi, La locazione e il noleggio di unità da diporto, cit., 83.
[17] Nella breve nota di
commento alla l. 8 luglio 2003, n.
[18] Previsione che sarebbe stata
giustificata dalla ritenuta sufficienza della copertura assicurativa
obbligatoria ad ovviare alle conseguenze della mancata estensione del regime di
limitazione: così E. Fanara, La disciplina della navigazione da diporto e
la riforma del codice della navigazione, cit., 105.
[19] D. Gaeta, L’impresa di
navigazione, in Dir. mar., 1981,
511, 526, pur partendo dall'(esatta) premessa che l'esercizio sarebbe di per sé
riscontrabile, a prescindere dall'aspetto dimensionale e, quindi, anche
rispetto ad una «modesta imbarcazione a remi o a vela» (ivi, 525), perviene
alla considerazione che il detto art. 46 della l. 11 febbraio 1971, n. 50
«verrebbe ad escludere la presenza» dell'armatore nel diporto. A tale
conclusione si affianca la considerazione (ibidem)
che si tratterebbe «di quelle costruzioni di dimensioni ridotte destinate al
diporto, che navigano per conto proprio (per diletto) dello stesso conducente,
sì da rendere superflua la normativa che presuppone la scissione tra la figura
dell'armatore e quella del comandante o conducente». È appena il caso di
avvertire che il quadro normativo su cui si basava tale ragionamento è stato
ormai sovvertito con la ricordata introduzione della possibilità di una
utilizzazione non in proprio dell'unità da diporto, attraverso la previsione,
appunto, della locazione, già con la ricordata previsione di cui all'art. 15,
comma 1, della l. 5 maggio 1989, n. 171.
[20] M.
Grigoli, La disciplina del
diporto, cit., 178; G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 303. Contra:
M. M. Comenale Pinto – G. Romanelli,
Impresa di navigazione, in Enc. dir., Aggiornamento, VI Milano,
2002, 494, 498 s.
[21] G.
Righetti, Trattato di diritto
marittimo, II, cit., 303. Contra: G. Pescatore, Codice della navigazione e disciplina speciale del diporto, cit.,
791.
[22] V., nell'ampia letteratura sul
punto, G. Romanelli, La locazione di nave e di aeromobile, Milano,
1965, 174; G. Righetti, Trattato
di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 302; L. Tullio, I contratti
di charter party – Funzione e natura, Padova, 1981, 199.
[23] G.
Pescatore, Codice della
navigazione e disciplina speciale del diporto nautico, 790; C. Angelone, Il nuovo regime giuridico della navigazione da diporto, Milano, s.d.
(ma 1987), 9. V. tuttavia in senso diverso (con riferimento al comodato di
unità da diporto) E. Spasiano, I contratti di utilizzazione della nave:
note per la revisione della disciplina attuale, in Giur. it., 1977, IV, 49, 51.
[24] Esattamente l’art. 46 della l. 11
febbraio 1971, n. 50 è stato indicato come norma volta introdurre null’altro
che un regime amministrativo più snello, in ragione delle ridotte dimensioni
del mezzo: C. Angelone, Il nuovo regime giuridico, cit., 12.
[25] Sul sistema della convenzione CLC
1969, v. G. Camarda, Convenzione “Salvage
[26] Rimedio legislativo di dubbia
opportunità rispetto ai (non condivisibili) dubbi a suo tempo proposti (con
riferimento fra l'altro all'impiego di aeromobile da parte di socio di aeroclub) da una parte della dottrina
(cfr. M. Grigoli, La nautica da diporto. Analisi e risposte
normative, Bologna, 1997, 144; Id.,
Diporto e turismo nautico, Padova,
2004, 134; G. Righetti, Trattato
di diritto marittimo, I,
Milano, 1987, 1469) circa l'assumibilità dell'esercizio per periodi
brevi o brevissimi. Nell'ottica che sembra preferibile, v. invece: G. Romanelli, I danni da aeromobile sulla superficie, Milano, 1970, 105. V. anche
E. Fanara, Le assicurazioni aeronautiche, I, Reggio Calabria, 1976, 442; Id., La disciplina della navigazione da diporto e la riforma del codice
della navigazione, in Dir. trasp., I-1989, 100, 107.
[27] Cfr. il recente formulario ISYBA
– YLoc. Ed. 2005.
[28] Si tratta di un’impostazione
certamente divergente rispetto alla pur non condivisibile lettura (su cui A. Scialoja,
Corso di diritto della
navigazione, I, Roma, 1943, 343 s.) del ruolo del contratto di locazione di
nave (armata ed equipaggiata) nel codice della navigazione all’impresa di armamento,
così come il noleggio sarebbe collegato all’impresa di navigazione ed il
trasporto all’impresa di trasporto (contra:
M. M. Comenale Pinto – G. Romanelli,
Impresa di navigazione, cit., 497, sub nota 23.
[29] G.
Romanelli, La locazione, cit., 194 ss.; G. Ferrarini, La locazione finanziaria di nave e di aeromobile, cit., 52.
[30] Cfr. G. Romanelli – G. Silingardi, Locazione, III, Locazione di
nave e di aeromobile, in Enc. Giur., XIX,
Roma, 1990, 2.. Sull’art. 644, comma 2, c. nav., che. consente l’esecuzione
sull’intera nave in un procedimento contro il debitore caratista maggioritario,
v. C. Lobietti, Note sul sequestro e l’espropriazione
forzata di carati di nave , in Dir.
mar., 2003, 715, 719.
[31] Sul punto, v. in generale G. Camarda, La responsabilità per danni a terzi, cit., 112 ss.
[32] E, d’altronde, la norma dello
stesso codice, che pur richiede in via di principio la forma scritta ad substantiam per gli atti relativi
alla proprietà delle navi (art. 249 c. nav.) non è stata ritenuta applicabile alla compravendita
di una nave di stazza inferiore a dieci tonnellate: Cass., 23 dicembre 1999, n.
[33] Il d.m. (trasporti e navigazione)
21 settembre 1994, n. 731, all'art. 7, per la locazione richiedeva (con
disposizione che sembra eccedere l'ambito delle disposizioni regolamentari che
avrebbero potuto essere adottate alla stregua dell'art. 15, comma 4, della l. 5
maggio 1989, n. 171), all'art. 1, la forma scritta ad probationem.
[34] Disciplina originariamente
introdotta nel nostro ordinamento, in attuazione della direttiva n. 85/577/CEE
del Consiglio del 20 dicembre 1985, dal d. lgs. 15 gennaio 1992, n. 50; la
materia è oggi disciplinata dal codice del consumo, di cui al d. lgs. 6
settembre 2005, n. 206, art. 45 ss.
[35] Disciplina originariamente
introdotta nel nostro ordinamento, in attuazione della direttiva 97/7/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997, dal d. lgs. 22 maggio
1999, n. 185; la materia è oggi disciplinata dal codice del consumo, di cui al
d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 50 ss.
[36] Adottato in attuazione della
direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato
interno.
[37] Ipotesi di esclusione così
formulata dall'art. 55, comma 1, lett. b del
codice del consumo.
[38] Nonostante il disposto dell’art. 382
c. nav. abbia ispirato tutti i formulari editi dalla Camera di Commercio di
Genova (ed anche nel recente formulario ISYBA – YLoc. Ed. 2005, clausola 6),
esso sarebbe non coincidente con la prassi commerciale, in cui prevarrebbero
clausole che prevedono conseguenze meno gravose per il conduttore in caso di
ritardo alla riconsegna: così il Barecon 2001 prevede un aumento della rata del
10% ovvero il pagamento della rata di mercato (cfr. il commento anonimo in Dir. mar., 2006, 1168-1169).
Nell'Italscafo Diporto, alla clausola 12, si prevede che la liquidazione
forfettaria nella misura (solo) del doppio del nolo si operi per i soli ritardi
che non eccedano le ventiquattro ore; oltre rimarrebbe la possibilità della
prova del maggior danno (in effetti anche tale clausola è meno favorevole al
conduttore della corrispondente clausola 11 dell'Italscafo per locazione di
unità mercantili).
Data di pubblicazione: 19 giugno 2006.