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Vol. IV/2006

 

Casella di testo:  Rivista di Diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente
	                                                                         
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L’obbligo  di concludere il procedimento amministrativo e

la legge 80/2005

 

Dott. Massimo Pellingra Contino*

 

Indice

1

1.Il ruolo svolto dalla l.80/2005 in materia di procedimento amministrativo -. 2

2.Nuova normativa e semplificazione amministrativa.-3

3.L’obbligo di concludere il procedimento.- 4

4.Termine di conclusione del procedimento.- 6

5.Spunti problematici relativi alla definizione del procedimento. 8

 

 

 

1. Il ruolo svolto dalla l.80/2005 in materia di procedimento amministrativo - Con la legge n.80 del 2005,[1]emanata dopo un complesso iter parlamentare, frutto di tre passaggi camerali, il Parlamento ha approvato la conversione del decreto legge n.35 del 14 marzo 2005, noto come decreto sulla competitività.

Il testo originario di tale decreto non è stato modificato in sede di conversione in legge sia per quanto attiene alla sua strutturazione sia al suo contenuto normativo.

Il predetto provvedimento legislativo si incentra su alcune novità che investono non soltanto l’impianto del codice di procedura civile e della legge fallimentare ma tuttavia rileva anche con riguardo  all’area della disciplina amministrativa. In primis, sono degne di nota le modifiche alla legge n.241/1990 in materia di procedimento amministrativo, quest’ultimo oggetto della citata vasta riforma ad opera della L.15/2005.[2]

E’ opportuno sottolineare che, in sede di conversione del decreto legge, sono stati presentati emendamenti e modifiche, tra cui, in particolare, quello attinente al rilevante emendamento attuato dall’Esecutivo con disegno di legge sul quale è stata posta una questione di fiducia. Contestualmente il Parlamento, con la stessa legge, ha  delegato il Governo per attuare la riforma del diritto amministrativo e del diritto fallimentare.

Su tale normativa si sono sollevate dagli studiosi giuspubblicisti diverse critiche soprattutto con riguardo all’uso nella specie dell’atto legislativo, al contempo di conversione del decreto legge 80/2005 e di conferimento della delega al Governo per la riforma del codice di procedura civile e della legge fallimentare.

Invero l’istituto della delega legislativa, si è sostenuto, è ben precisato nei suoi contorni; negli ultimi anni, tuttavia da parte della dottrina e della giurisprudenza si è lamentato un uso distorto della delega legislativa che certamente non si riflette favorevolmente sull’armonia e sull’equilibrio dell’assetto giuridico italiano. 

Trattasi pertanto di un testo di legge che rileva sotto diverse angolazioni che riguardano, come vedremo, da qui a poco, non soltanto la  materia civilistica ma coinvolgono anche la branca amministrativistica.

 

2.Nuova normativa e semplificazione amministrativa.- La legge n.80 del 2005,con il precipuo scopo di attuare la semplificazione[3] dell’azione amministrativa, ha modificato in modo rilevante la L.241/1990 in materia di procedimento.

A tal proposito, è bene ricordare che una soluzione definitiva dei problemi di carattere generale, derivanti dalla mancanza di una normativa generale sul procedimento, è stata offerta dalla riforma ad opera della L.15/2005.

Non si tratta certamente di una normativa in grado di dare una codificazione alla struttura del procedimento amministrativo ma di richiamare, secondo il disposto di cui all’art.97 Cost., tra l’altro, i principi del giusto procedimento e di semplificazione.

Il primo principio, conforme alla citata normativa, garantisce il diritto di partecipazione degli interessati, attraverso il recupero del dialogo tra interessi pubblici ed interessi privati, nell’ottica della composizione dei rapporti.[4]Inoltre il principio della trasparenza si scorge nel carattere obbligatorio della motivazione del provvedimento amministrativo nonché nell’obbligo ex lege attribuito alla P.A. di identificazione dell’ufficio e del responsabile del procedimento e non ultimo del diritto dei cittadini di accedere ai documenti amministrativi.

Il secondo principio, in conformità al dettato dell’art.97 Cost., risponde alla necessità ed opportunità di rendere celere l’azione amministrativa( alcuni esempi sono da scorgere nel silenzio-assenso, nella denuncia in luogo di autorizzazione etc.).

Si richiama sul punto che il capo II della legge 80/2005 è rubricato “Semplificazione amministrativa”; l’articolo di riferimento è formato da sei commi che concernono le tematiche della dichiarazione di inizio di attività, di conclusione del procedimento, diritto di accesso ai documenti amministrativi e silenzio assenso.[5]

In particolare, con riferimento alla materia che ci riguarda, la normativa de qua attiene  agli artt.2, 18, 19, 20 e 25.

Pertanto chiara è stata l’intenzione del legislatore di semplificare il procedimento amministrativo, stante il tentativo, con la legge 80/2005, di dare un assetto normativo all’azione amministrativa.

Difatti, non stupisce la circostanza che la legge 15/2005 sia il risultato di un iter parlamentare di una certa complessità, caratterizzato da vari passaggi tra Senato e Camera dei deputati né tampoco stupiscono le ragioni per cui alla L.15/2005 sia seguita immediatamente una modifica della legge 241/1990.[6]

 

3.L’obbligo di concludere il procedimento.- L’art. 2 della L.241/1990 è stato sostituito dall’art.3, comma 6-bis della legge 80/2005 in materia di conclusione del procedimento amministrativo.[7]

Il principio ricavabile dal disposto di cui all’art. 2 della L.241/1990 si incentra nel dovere della P.A. di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento finale, sia nell’ipotesi in cui il procedimento sia conseguente ad un’istanza del privato cittadino, sia nel caso in cui detto procedimento debba essere iniziato d’ufficio.

Nell’ipotesi in cui il procedimento inizi su proposta di un soggetto pubblico, il termine decorre dalla data di ricevimento della proposta, ovviamente purchè la proposta o richiesta sia completa e regolare[8].

L’art.3 della nuova legge 80/2005 ha modificato l’art.2 della precedente legge del 1990 statuendo che “l’art.2 della legge 7 agosto 1990 n.24, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la Pubblica Amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.

In verità, la nuova disposizione di legge non modifica del tutto il disposto della legge precedente per quanto attiene alla parte precettiva della norma.

Va osservato che, prima dell’entrata in vigore della legge n.241 del 1990, non sussisteva nel nostro ordinamento giuridico una disposizione di legge che imponesse alla P.A. l’obbligo di concludere i procedimenti amministrativi.

L’individuazione del momento in cui il procedimento amministrativo ha inizio è basilare in quanto, con riferimento ad esso, è possibile stabilire il termine entro il quale il procedimento deve essere concluso.

Tale obbligo poggia su un principio fondamentale che caratterizza l’assetto dell’apparato della P.A., con riguardo ai rapporti tra l’Amministrazione pubblica e i privati; per lungo tempo, tuttavia, prima della detta regolamentazione del procedimento amministrativo, la dottrina e la giurisprudenza si sono imbattute in difficoltà di ordine interpretativo, non sussistendo una norma esplicita che imponesse alla P.A. la definizione del procedimento.

La dottrina maggioritaria, in realtà, si riferiva al predetto obbligo di conclusione del procedimento desumibile dall’art.97 della Costituzione che stabilisce il principio del buon andamento della P.A.[9]

Ciò tuttavia non contribuiva di certo ad una chiara ed univoca definizione della conclusione del procedimento amministrativo, riflettendosi sulla mancata tutela dei diritti della collettività nonché sul mancato rispetto del principio della certezza del diritto.[10]

 

4. Termine di conclusione del procedimento

Con l’entrata in vigore della legge 241/1990, con l’art. 2 si disponeva che la P.A. determinasse per ciascun tipo di procedimento non stabilito per legge o per regolamento il termine entro il quale dovesse concludersi; diversamente il termine fissato per legge era di 30 gg. decorrente dall’inizio ex officio del procedimento o dal ricevimento dell’istanza di parte.

Con il decreto sulla competitività del 2005 con l’art.3 comma 6-bis si modificava integralmente l’art.2 della legge così testualmente: “con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’art.17 comma 1 della L.23/8/1988 n.400 su proposta del ministro competente, di concerto con il Ministro della Funzione Pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle Amministrazioni statali devono concludersi ove non siano previsti per legge”.

Stabiliva, tra l’altro, che gli enti pubblici fossero abilitati ad osservare comunque i termini entro i quali detti procedimenti si dovessero concludere, termini stabiliti tenendo conto della organizzazione amministrativa e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrenti dall’inizio ex officio del procedimento o dal ricevimento della domanda di parte. Diversamente il termine finale era di 90 giorni.

Il comma 6-quater prevedeva che i termini di durata del procedimento fossero non più di 180 gg dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e il successivo comma 6-quinquies prevedeva che, nel frattempo, si applicassero le disposizioni vigenti alla data dell’entrata in vigore della legge di conversione emanate secondo il vecchio testo.

Le richiamate disposizioni, ovviamente non contemplando per alcune amministrazioni, in specie quelle locali, un determinato termine, sembrano del tutto carenti.

Poiché le disposizioni ex lege 241/90, che riguardano l’attività provvedimentale della Pubblica Amministrazione, hanno risvolti anche per tutte le Amministrazioni Pubbliche, non sembra possano riferirsi alle Regioni.

Basta leggere l’art.29 della legge 241 modificato dalla legge n.15 del 2005 per rendersi conto che le disposizioni in esso contenute si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle Amministrazioni statali e degli enti pubblici.

Peraltro la disciplina dei termini di conclusione del procedimento ha indubbiamente riflessi su tutte le Amministrazioni statali né tampoco sembra possa applicarsi tale disciplina nei casi di silenzio – inadempimento che sono regolati dalla normativa sulla giustizia amministrativa.

Nel caso in cui i termini sopra indicati vengano sospesi per acquisizione di valutazioni tecniche, il termine di 90 gg non sembra sia applicabile.

Tale termine previsto dall’art.17 della legge 241 del 1990 non appare perentorio.

Una particolare trattazione si impone sul problema del silenzio della P.A. in ordine ai termini sopra indicati.

Su tale tematica, trattandosi di un silenzio – rifiuto della P.A., il termine per la conclusione del procedimento rimane fissato a non oltre l’anno dalla scadenza di cui ai commi 2 e 3 della legge predetta senza che occorra diffida da parte dell’interessato, esclusi i casi di silenzio–assenso[11].

Va comunque rilevato che, ove si rendesse impossibile la prefissione di un termine di conclusione di un procedimento nella ipotesi di inerzia della P.A., questa ha l’obbligo di prolungare il termine. Se a ciò non si dovesse provvedere, l’interessato può, previa diffida a provvedere, proporre ricorso, nel caso di silenzio o di esplicito diniego, alla giurisdizione amministrativa e cioè al TAR ed, in caso di rigetto da parte del TAR, in appello al Consiglio di Stato.

 

5. Spunti problematici relativi alla definizione del procedimento

La legge n.35 del marzo del 2005 stabilisce “ che il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza o meno della istanza[12] o richiesta di conclusione del procedimento nell’ipotesi di silenzio – rigetto di quest’ultima.

Si instaura in tal caso un contenzioso innanzi alla autorità giurisdizionale amministrativa volto ad accertare i motivi della mancata statuizione in ordine al contenuto ed al termine del procedimento relativo al silenzio rifiuto.

Va richiamata all’uopo la legge istitutiva dei TAR 1034/71 che demanda al giudice amministrativo, su ricorso di parte, l’accertamento sul rifiuto, tenendo conto che si tratta di un’attività vincolata della P.A.

Peraltro il giudice amministrativo ha l’obbligo di accertare la fondatezza o meno della pretesa azionata e trarne le conseguenze giuridiche inerenti anche ad un eventuale responsabilità della P.A.

L’analisi della dottrina sull’argomento ha dato luogo a diversi indirizzi, riassumibili in due orientamenti. La tutela processuale avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione è stata oggetto dunque di due diverse interpretazioni.

Secondo la prima accezione, di carattere senza dubbio estensivo, con il disposto di cui all’art.21-bis, si introdurrebbe un giudizio in ordine alla fondatezza della pretesa azionata, potendosi anche da parte del giudice statuire sul contenuto del provvedimento di cui trattasi.[13]

Ciò è da valutare in riferimento all’attività della P.A., potendo il giudice indicare i motivi della fondatezza della pretesa del ricorrente e le modalità dell’azione amministrativa in merito.

Secondo un’altra opinione dottrinaria, il giudizio sul silenzio - rifiuto tenderebbe al mero accertamento dell’illegittimità del comportamento[14]della Ammi nistrazione in merito all’istanza del ricorrente,  secondo i dettami dell’art.2 della legge 241/90 oggi riformata[15].

Per concludere, il legislatore ha inteso sancire il principio che il giudice amministrativo possa avere cognizione della fondatezza o meno della pretesa azionata; trattandosi di attività vincolata e non meramente discrezionale, il giudice amministrativo potrebbe, a nostro avviso, pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa azionata in quanto non giudicherebbe su una scelta discrezionale da parte dell’Amministrazione.

 



* Dottorando di ricerca in diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, cultore di diritto pubblico.

 

[1] Cfr. G.U.R.I., Serie Generale, n.111 del 14 maggio 2005, suppl. ord. n.91. 

[2] Vari sono gli aspetti interessati dalla riforma, che è intervenuta in vari settori del diritto amministrativo. Sul punto v. G. Corso – G. Fares, Il nuovo procedimento amministrativo dopo la L.11 febbraio 2005, n.15:i punti salienti della riforma, in Studium Iuris, 2005, 6, pp.675 ss.  

[3]  Cfr. G. Corso, Elementi di giustizia amministrativa, Palermo, Giappichelli 1998, pp.72 ss.

[4] Cfr. Il nuovo art.10bis della L.241/1990 inserito nella legge 15/2005 e rubricato “Comunicazione dei motivi ostativi all’ampliamento dell’istanza”.

[5] Sul punto cfr. F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, vol. II, 2005; V. Cerulli Irelli, Corso di Diritto Amministrativo,2002; G.Corso, Manuale di diritto amministrativo,2005;M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo,2000.

[6] Cfr. F. Caringella, Il diritto amministrativo, 2003; E.Casetta, Manuale di diritto amministrativo,2004,  P. Virga, Il diritto amministrativo,2003.

[7] In materia si segnala una vasta produzione dottrinaria. Cfr. AA.VV., La disciplina generale del procedimento amministrativo. Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione di Varenna, 18-20 settembre 1986,Milano, 1989; I. Franco, Il nuovo procedimento amministrativo, Bologna, 1995;G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto Amministrativo, a cura di L. Mazzarolli,  G. Pericu, A. Romano. F.A. Roversi Monaco, F. G. Scoca, Bologna, 1998, pag 1187 ss. 

[8] Cfr. d.p.r. 352/1992, in materia di diritto di accesso.

[9] La letteratura giuridica, in realtà, al riguardo è copiosa. Basti richiamare C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico,pp.180 ss; F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. dir. pubbl.,1952, 118 ss; F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi.Profili sostanziali e processuali,Milano,Giuffrè, 1999;   S.Cassese,La disciplina legislativa del procedimento amministrativo. Una analisi comparata, in Foro It.1993, V, pp. 27;V.Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino,2000; G. Corso, F. Teresi, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti. Commento alla legge 7 agosto 1990, n.241, Rimini,1991.

[10] Per una ampia analisi della problematica inerente al rispetto dei principi generali di legalità, buon andamento, efficienza della P.A. cfr. G. Corso, Amministrazione di risultati. Relazione al Convegno organizzato dall’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo sul tema “ Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione”, Roma, 22 marzo 2002,in Annuario 2002 dell’Associazione. Milano, 2003, 133 ss.  

[11] Cfr. M. A. Sandulli, Riflessioni sulla tutela del cittadino contro il silenzio della Pubblica Amministrazione, in Giust. Civ. 1994, II, 485 ss.  F. G. Scoca, Il silenzio della P.A. alla luce del nuovo trattamento processuale amministrativo,n.2, 2001 pp. 239 ss.

[12] Sul tema cfr. A. M. Sandulli, Il silenzio della Pubblica Amministrazione oggi: aspetti sostanziali e processuali, in Dir. e società,1982, 732 ss; Parisio, I silenzi della Pubblica Amministrazione, Milano, Giuffrè, 1996; B. E. Tonoletti,voce “Silenzio della Pubblica Amministrazione” in Dig. Disc. Pubbl., XIV, Torino,1999,156 ss.

[13] Cfr. P. Virga, Relazione al Convegno su Il processo amministrativo dopo la riforma, Palermo 23/9/2000 in www.giust.it.

[14] N.Saitta, I ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio? in www.giust.it.

[15] Cfr. decisione 9/1/2002 n.1 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo la quale il giudice amministrativo ha il compito di accertare la mera illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non il merito della pretesa azionata neanche nelle ipotesi di attività vincolata.

 

Data di pubblicazione: 10 aprile 2006.