Rivista di
diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente,
III/2005
La disciplina
dell’ordinamento e delle attività portuali
tra diritto della navigazione e
diritto pubblico dell’economia *
Giuseppe Vermiglio **
Sommario: 1.- Le principali posizioni
della dottrina e della giurisprudenza sulla legge di riforma portuale. 2.- La
legge n.84/94 è una legge speciale in materia di navigazione; in senso lato la
regolazione del mercato portuale rientrerebbe, quindi, nell’ambito del diritto
della navigazione. 3.- L’analisi della “regolazione del mercato”, condotta dai
cultori di diritto pubblico dell’economia amplia il campo di indagine alla
rilevazione dell’indirizzo politico e delle politiche di settore. In questo
contesto più ampio la legge speciale diretta a regolare il mercato portuale pare
segnare una disarticolazione dell’unitaria materia autonoma disciplinata dal
codice della navigazione per iscriversi in quel processo di “decodificazione”
conseguente alla nuova regolazione del mercato che il diritto comunitario va
delineando. 4.- Il processo di decodificazione e l’emergere di microsistemi
individuati da Irti quali strutture normative che regolano i nuovi mercati
emergenti, non pare che sia dovuto solo alla diversa politica economica adottata
nei paesi U.E., ma anche alle modificazioni che si cominciano ad avviare nel
nostro ordinamento e segnano il passaggio dal tradizionale modello di “governo”
a forme innovative di “governance”.
1. - “La regolazione del mercato portuale” costituirebbe, secondo
l’orientamento prevalente di studiosi di diritto pubblico, la ratio della
legge di riforma avviata dieci anni fa.
Attente ed acute analisi hanno infatti collocato la nuova disciplina
del lavoro portuale, delle attività e dei servizi, dell’organizzazione
amministrativa dei porti nel quadro della nuova costituzione economica per cui
il porto, studiato prima nel contesto dei beni pubblici; poi (con riferimento
alla disciplina pubblicistica dei modi di gestione) nel quadro dell’Azienda e
degli Enti pubblici economici; quindi come ordinamento settoriale (con
riferimento all’organizzazione amministrativa per il governo di beni, attività
imprenditoriali, servizi pubblici, funzioni); oggi, viene analizzato e studiato
anche come “mercato” oggetto di “regolazione” [1].
Autorevole dottrina ravvisa, infatti, nell’Autorità portuale – il
nuovo ente pubblico non economico istituito dalla legge n.84/94 nei principali
porti di interesse internazionale e nazionale – un’autorità amministrativa per
la regolazione del mercato portuale da ricondurre nel quadro delle autorità
amministrative indipendenti [2].
Anche la riforma dell’ordinamento e delle attività portuali si
inserirebbe pertanto nel più ampio ed articolato corpus normativo
introdotto negli anni ’90 in Europa ed in Italia per adeguare l’Amministrazione
Pubblica alle strategie ed agli indirizzi della nuova Costituzione economica
che, come vedremo, segnerebbe una inevitabile decodificazione del diritto della
navigazione analogamente a quella del diritto civile, individuata e descritta da
Irti già nel 1979, e l’emergere di micro-sistemi normativi speciali (dove
speciale designa l’estraneità al codice e tuttavia il disciplinare materie o
istituti compresi nel codice) [3].
Il processo di decodificazione implicherebbe una estensione dei
confini della materia ed una evoluzione del diritto della navigazione verso un
diritto dei trasporti. Questo processo appare, peraltro, incontestabile agli
stessi studiosi di diritto della navigazione, anche se le posizioni risultano
articolate tra coloro che sostengono che questa trasformazione si può evincere
solo in chiave prospettica [4]),
ostandovi il dato formale di un codice della navigazione che pone ancora oggi
insieme alle altre leggi in materia di navigazione una disciplina speciale dei
trasporti marittimi ed aerei; ed altri per i quali il particolarismo
(specialità) della disciplina del trasporto marittimo ed aereo non osta alla
riconduzione della navigazione nella più ampia materia ‘trasporto’ ed al
conseguente confluire del diritto della navigazione nel diritto dei trasporti
che regolerebbe il sistema del trasporto nel suo complesso fermo restando le
particolarità dei diversi modi e delle diverse tecniche (marittime, aeree e
terrestri). Vi è anche chi sostiene che è il diritto della navigazione che va
ampliando il suo oggetto al trasporto, alle infrastrutture, alla logistica
mantenendo i caratteri di disciplina autonoma e speciale [5].
La tesi che ravvisa nell’Autorità portuale un’autorità amministrativa
indipendente di regolazione del mercato non è condivisa da
tutti.
La legge di riforma dell’ordinamento portuale avrebbe sì, introdotto
sotto la spinta delle decisioni della Corte Europea, nell’ordinamento autonomo e
speciale della navigazione i principi elaborati nell’ordinamento comunitario nel
più ampio contesto dell’economia ed in particolare dell’economia dei trasporti,
ma questa riforma non è ancora compiuta e definita: una riforma infinita -
titola Righetti il capitolo sui porti nel suo trattato di diritto marittimo [6]
- sia per le innumerevoli modifiche ed integrazioni apportate (e che
prossimamente verranno apportate ancora) dal legislatore, sia anche, riteniamo,
per le tante non attuazioni di parti significative della riforma che si
registrano a dieci anni dalla emanazione della legge. Basti ricordare due punti
fondamentali: il decreto di classificazione dei porti ed il regolamento per
l’attuazione dell’art.18 che riserva la concessione di aree e banchine portuali
alle imprese portuali autorizzate ex art.16.
Se allora si legge la riforma dei porti non in chiave prospettica,
ma, più realisticamente in chiave di continuità con il precedente regime di
gestione a mezzo di enti pubblici economici, è possibile evidenziare non solo
che l’ordinamento si adegua ai nuovi principi in modo lento e graduale ma anche
che la novità della nuova figura preposta alla gestione dei principali porti del
paese – l’Autorità portuale – sostanzialmente rimane quella dell’ente pubblico
(anche se non più economico, perché non può più svolgere attività di impresa di
operazioni e servizi portuali, ma solo attività di pianificazione e gestione
della infrastruttura).
L’Autorità portuale viene così ricondotta da alcuni al tradizionale
modello di pubblica amministrazione indiretta, da altri ad un organismo di
diritto pubblico che pianifica gli interventi infrastrutturali necessari alla
modernizzazione dei porti e gestisce le aree e le banchine portuali
autorizzandone (o concedendone l’uso esclusivo) alle imprese portuali [7].
In ordine alla qualificazione dell’Autorità portuale si registrano
diversità di posizioni anche tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e
quella delle supreme magistrature amministrative.
Corte dei Conti e Consiglio di Stato affermano la natura di ente
pubblico dell’Autorità portuale; la Corte di Cassazione sostiene invece la
natura di ente pubblico economico dell’Autorità portuale per la natura
sostanzialmente economica della gestione del bene demaniale: posizione,
peraltro, affermata, con riferimento agli aeroporti, dalla Corte di giustizia
europea [8].
In estrema sintesi è questo il quadro che schematizza le principali
posizioni della dottrina e della giurisprudenza in merito alla riforma
dell’ordinamento e delle attività portuali; posizioni non univoche che
accentuano le incertezze di una legge che disegna una riforma non perfettamente
definita e non ancora compiutamente attuata.
2.- Tuttavia, la legge stessa, all’art. 1, si prefigge la finalità
amplissima di disciplinare l’ordinamento e le attività portuali per adeguarli
agli obiettivi del piano generale dei trasporti, dettando contestualmente
principi direttivi in ordine all’aggiornamento ed alla definizione degli
strumenti attuativi del piano stesso, nonché all’adozione e modifica dei piani
regionali dei trasporti.
Apparirebbe, quindi, incontestabile, stando alla lettera del testo di
legge, tanto il riferimento al porto ‘mercato’ (la norma individua infatti
l’ordinamento e le attività portuali quale oggetto della disciplina)
quanto alla ‘regolazione’ (la disciplina giuridica è diretta ad adeguare gli
obiettivi del mercato portuale a quelli del piano generale dei trasporti, a
definire strumenti attuativi del piano stesso ed a dettare principi e criteri
direttivi per l’adozione e la modifica dei piani regionali dei
trasporti).
Una legge di riforma dunque che a regime dovrebbe ricondurre la
materia delle infrastrutture marittime alla più generale disciplina statale e
regionale del mercato del trasporto.
La legge di riforma del titolo V della Costituzione che per certi
versi ha aggiunto incertezza ad incertezza [9],
sembra muoversi in questa nuova linea.
Come è noto la materia porti è compresa con gli aeroporti e le grandi
reti di trasporto e di navigazione tra le materie di competenza concorrente per
cui allo Stato spetterebbe solo stabilire i principi in generale in materie di
infrastrutture che non sono più distinte in base all’interesse nazionale o
regionale; rientra invece tra le materie di competenza esclusiva dello Stato,
tra le altre, la tutela della concorrenza sulla quale si impernia il nuovo ruolo
di ‘regolatore del mercato’ riconosciuto alle Amministrazioni
Pubbliche.
Rinviando alla copiosa letteratura in materia di trasformazione in
senso neo-federale del nostro ordinamento per i necessari approfondimenti [10]),
pare sufficiente rilevare, ai nostri fini, che il porto visto come
infrastruttura sarebbe materia di competenza legislativa concorrente;
considerato invece come ‘mercato’ sarebbe materia di competenza legislativa
statale esclusiva.
Il porto rileverebbe giuridicamente come infrastruttura e come
mercato: come infrastruttura è una cosa oggetto di diritti e quindi un bene
(pubblico), come mercato (assumendo la nozione di mercato dalla scienza
economica) è l’insieme dei rapporti di produzione e di scambio, insieme di
rapporti economici scaturenti dal libero incontro della domanda e dell’offerta,
che si individuano e definiscono in base a categorie logiche (lo spazio, la
materia, i beni, la valuta ecc.) [11].
Il singolo mercato, individuato e definito secondo criteri spaziali
(il luogo: porto) e secondo criteri di materia (tutte le attività economiche che
si svolgono in quel luogo utilizzando aree e banchine portuali), però, nella
concretezza dei suoi svolgimenti – scrive Lipari – non si esprime
semplicemente come complesso di rapporti ma, a sua volta, come sistema di
regole. … Questo sistema di regole visto peraltro attraverso il filtro di
quel diverso sistema di norme che caratterizza l’ordinamento giuridico, … appare
anche come organizzazione di rapporti che, quale che ne sia la sua fonte, esige
di essere valutato in funzione appunto di tale ordinamento [12].
In questa accezione economica di ‘mercato portuale’, rientra anche
l’infrastruttura perché è un bene economico produttivo di utilità per cui la
gestione del porto (aree e banchine) non può escludersi dal contesto del
‘mercato portuale’ che si vuole analizzare sotto il profilo
giuridico.
La distribuzione della potestà legislativa tra Stato e Regione,
tracciata dalla riforma del titolo V della Costituzione, in corso di revisione
anche questa, non opererebbe dunque una rigida separazione di competenza per
materia: il regime del bene ed il mercato perché l’infrastruttura costituisce
certamente un elemento essenziale per individuare il mercato che, sotto il
profilo economico si definisce come insieme di rapporti economici ordinati a
sistema dalle regole proprie del mercato stesso.
Il mercato portuale rileva dunque giuridicamente come ordinamento ed
attività, secondo il puntuale e preciso riferimento contenuto nell’art.1 della
legge 84/94.
Ma ammesso che possa agevolmente
desumersi dall’art.1 della legge di riforma n.84/94 un esplicito riferimento
alla regolazione del mercato portuale non mi pare che da questo generico
riferimento possano discendere, sul piano giuridico, conseguenze di altro tipo
di quelle che potrebbero trarsi da un altro generico riferimento letterale della
norma alla disciplina dei porti o alla disciplina della materia navigazione, per
esempio.
L’ambito di riferimento oggettivo di una materia non è mai dal
legislatore definito e circoscritto in modo rigido: per cui se al termine porto
o a quello navigazione sostituiamo quello di mercato portuale o mercato
marittimo il riferimento serve ad individuare oggettivamente la stessa materia;
così se in luogo del termine disciplina si adopera il termine regolazione il
riferimento è sempre al sistema di norme giuridiche che regola quella materia
porto (o mercato portuale che dir si voglia).
Né pare che il riferimento al mercato implichi che la nuova
disciplina esuli dalla materia ‘navigazione’ così come comunemente e
tradizionalmente individuata e definita, per confluire in altro settore
disciplinare.
L’oggetto della riforma resta l’organizzazione amministrativa dei
porti, la gestione delle infrastrutture, il lavoro portuale, le imprese che
operano nel porto e così via, settori già integralmente disciplinati dal codice
della navigazione e dalla leggi in materia per cui la legge 84/94 riforma questa
disciplina posta dal codice e dalle leggi in materia di navigazione con le quali
si integra e completa.
La regolazione del mercato portuale, intesa in senso lato,
sembra, dunque, coincidere con la disciplina giuridica dei porti e quindi con
l’insieme di norme giuridiche che, regolando un settore della più ampia materia
‘navigazione’, finirebbe con l’acquisire i caratteri dell’autonomia della
specialità propri delle norme del diritto della navigazione [13].
3.- Occorre rilevare, però, che la ‘regolazione del mercato’ è
studiata dai cultori di diritto pubblico dell’economia in una prospettiva
diversa da quella dei cultori di altri settori disciplinari che studiano la
disciplina di argomenti a connotazione economica tradizionalmente appartenenti a
ciascuna materia.
Il diritto dell’economia è inteso prevalentemente come “studio
panoramico della regolamentazione di determinati fenomeni economici” [14])
per cui, in questa diversa prospettiva, l’analisi della disciplina di un
fenomeno economico è diretta a cogliere le innovazioni e le modifiche che genera
nel rapporto Stato – mercato attraverso una puntuale disamina dell’indirizzo
politico ed anche delle politiche di settore [15].
La considerazione che la legge n. 84/94 costituisce un corpus
che si pone come lex specialis nei confronti del codice della navigazione
che disciplina i porti, comparto a connotazione economica tradizionalmente
afferente al diritto della navigazione, non può ritenersi esaustiva né
precludere un’ulteriore analisi diretta a cogliere come la nuova disciplina dei
porti nel suo complesso si collochi nel quadro dei rapporti Stato – mercato
definiti dalla Costituzione economica.
In particolare, preme evidenziare come incida la trasformazione della
Costituzione economica, che segna il passaggio dallo Stato imprenditore allo
Stato regolatore, nel particolare ordinamento autonomo e speciale costruito sul
codice della navigazione.
È stato da tempo rilevato, infatti, con riferimento al codice civile,
che i trattati istitutivi della Unione europea enunciano principi di
concorrenza, di libertà del mercato dai quali discendono flussi di leggi
speciali (dove speciale – scrive Irti [16]
– designa l’estraneità al codice, e
tuttavia il disciplinare materie ed istituti compresi nel codice) talvolta
consolidati in testi unici che provvedono alla disciplina uniforme. Il codice civile non basta più:
appare come semplice custode di parti generali o estremo soccorritore per il
caso di lacune di leggi speciali.
Questo processo di decodificazione che ha investito il codice civile,
riteniamo che possa avere riguardato e continui a riguardare anche il codice
della navigazione.
Se, come afferma Irti, la pluralità giuridica dei mercati discende
non esclusivamente da caratteristiche economiche o naturali, ma dalla
specificità del regime normativo, e la “decodificazione” segna l’emergere di
statuti normativi speciali di una pluralità di mercati nei quali si articola in
concreto il mercato astrattamente e genericamente inteso, la “decodificazione”
del codice della navigazione dovrebbe segnare l’emergere di una pluralità di
mercati retti da statuti speciali nei quali si articola in concreto il mercato
della navigazione marittima, interna ed aerea genericamente individuato e
definito da una disciplina codicistica autonoma e speciale
Così, circoscrivendo l’indagine al tema dei porti, una volta
intervenuta con legge (speciale in materia di navigazione quale potrebbe anche
essere considerata la legge 84/94) un adeguamento della disciplina del porto
agli obiettivi di politica comunitaria dei trasporti politica che, come è noto,
si prefigge di disciplinare (regolare) le infrastrutture (il mercato delle)
secondo criteri generali uniformi, fatte salve le particolarità ineliminabili
nelle singole fattispecie, su quali basi si può continuare ad affermare che la
disciplina portuale continua ad essere un settore della materia navigazione
marittima, mentre la disciplina degli altri nodi e reti infrastrutturali che pur
presentano particolarità da regolare in modo specifico, costituiscono settori di
materie regolate dal diritto comune?
L’interrogativo rinvia ad un’altra più generale questione: come si
individuano i contenuti di una materia ‘speciale’? e, con riferimento alla
navigazione, quali sono oggi le fonti e la gerarchia rispetto alle indicazioni
dell’art. 1 del codice della navigazione che regolano una materia speciale? Ma
che senso ha oggi, o meglio in che senso si può parlare oggi di diritto
speciale?
Sono questioni complesse ampiamente dibattute in dottrina e non solo
tra i cultori di diritto della navigazione [17].
Pare sufficiente, ai nostri fini, rilevare con riferimento al
rapporto diritto comune – diritto speciale ed alla conseguente gerarchia delle
fonti fissata dal codice della navigazione che tale rapporto risulta essere
necessariamente diverso: a) in un ordinamento giuridico statale a Costituzione
flessibile; b) in un ordinamento giuridico statale a Costituzione rigida; c) in
un ordinamento giuridico che va oltre lo Stato [18].
Scrive Cassese che il codice civile del 1942 può essere considerato
come una sorta di costituzione economica perché è stato concepito come una
norma generale contenente le ‘teste di capitolo’ delle discipline di settore
[19].
Nel ’42 si trattava, però, è
necessario sottolinearlo, della costituzione economica di uno Stato corporativo,
nazionalista ed autarchico, inidonea a disciplinare anche diversi e speciali
processi produttivi che si svolgevano sul mare e nell’aria, spazi non
riconducibili né assoggettabili integralmente al regime del territorio e del
suolo considerato come bene e mezzo di produzione, e che richiedevano una
apertura al mercato internazionale.
Il codice della navigazione, possiamo ritenere, è stato concepito
allora, alla stessa stregua del codice civile, come una norma generale
contenente le teste di capitolo delle discipline di settore di un comparto
dell’economia – la navigazione marittima ed aerea – non gestibile con gli stessi
criteri propri di un mercato autarchico, nazionale, chiuso anche se rigidamente
diretto dallo Stato.
Non è inutile sottolineare, dunque, che nello Stato corporativo
l’art.1 del c.n., sanciva una autonomia effettiva e reale del diritto della
navigazione che si poneva come ordinamento giuridico a fini speciali non
derivato (e quindi autonomo) dall’ordinamento giuridico statale a fini generali,
ma pur sempre ad esso collegato nell’unità della
Nazione/Stato.
In questa prospettiva è stato assolutamente originale e coerente
impostare il codice della navigazione sull’esercizio della nave e
dell’aeromobile e sull’armonico articolarsi di norme di diritto pubblico,
internazionale, commerciale, privato, compendiate nello stesso testo di legge.
In questo contesto storico-politico
dell’ordinamento giuridico italiano, l’art.1 del codice della navigazione è la
norma fondante dell’ordinamento giuridico della gente di mare (e del sistema
normativo del diritto della navigazione) che è speciale perché circoscritto
nell’ambito degli interessi e dei fini di navigazione e non costituito per
interessi e fini generali come lo Stato; è anche autonomo perché ha un sistema
normativo non derivato da altro ordinamento, compiuto come sistema di norme e di
fonti ma non indipendente, non separato, diviso dall’ordinamento a fini generali
al quale si collega appunto non in posizione di subordinazione, ma in posizione
paritaria di integrazione / esclusione per l’identità dell’istituzione
(Stato/Nazione) che regge i sistemi di diritto comune e di diritto
speciale.
Appare questa una plausibile
lettura di una impostazione del rapporto diritto comune diritto della
navigazione autonomo e speciale che non ha avuto il tempo di consolidarsi per le
note vicende belliche e che, con l’avvento nel 1948 di un nuovo ordinamento a
costituzione rigida si configura subito in modo diverso.
In un ordinamento a costituzione flessibile, infatti, i sistemi
normativi settoriali rilevano sul piano della forza e del valore delle fonti
come un’articolazione appunto autonoma e speciale del sistema unitario al quale
si collegano in posizione di equiordinazione e dal quale differiscono in un
rapporto reciproco di esclusione / integrazione di norme.
In un sistema a costituzione rigida, invece, l’unitarietà
dell’ordinamento è assicurata da un sistema di norme costituzionali
sovraordinate ai singoli settori disciplinari, sicché non si può più parlare in
senso proprio di autonomia di ordinamenti settoriali speciali equiordinati
all’ordinamento a fini generali perché le fonti di produzione di diritto
speciale risultano limitate dalle norme costituzionali che non consentono deroga
alcuna al dettato costituzionale e dal parametro di ragionevolezza della scelta
normativa, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale quale limite
costituzionale della discrezionalità del legislatore nell’emanare norme tanto di
diritto comune che speciale.
Il codice della navigazione e le altre leggi in materia sono, oggi,
gerarchicamente subordinati alla Costituzione così come gli altri codici e le
altre leggi che regolano materie di diritto comune o di diritto speciale, sicché
la distinzione comune / speciale si può cogliere con l’autonomo emergere di
interessi connessi con la disciplina di certe materie (non costituzionali) che
si stacca dal tronco originario del diritto privato e pubblico e, pur non
essendo totalmente separabile, tuttavia resta genericamente identificabile;
fenomeno magistralmente descritto da Pugliatti il quale ha rilevato che “la
caratteristica naturale degli istituti di diritto della navigazione, derivante
dalla peculiarità di un fattore tecnico che impone una disciplina
complessa, attingente le norme specifiche al diritto pubblico ed al diritto
privato, induce a superare lo schematismo della gerarchia delle fonti e la
considerazione del diritto civile come di un complesso di norme che tutte
insieme e senza distinzione si debbono applicare al diritto della navigazione in
via sussidiaria” [20].
La dottrina ha dunque posto bene in evidenza che autonomia e
specialità non sono concetti rigidi che dividono un sistema di norme speciali da
un sistema di norme generali, ma sono concetti che servono ad identificare un
complesso di norme articolato che rileva unitariamente (autonomamente) nel
sistema di norme a fini generali, come un sub-sistema di norme a fini
particolari (speciali).
Sotto questo profilo l’autonomia e la specialità del diritto della
navigazione si svincola dall’ordine gerarchico delle fonti previsto dall’art.1
del c. n. che, come è stato rilevato già negli anni cinquanta del secolo scorso,
appare inopportuno e comunque fa intendere chiaramente che il testo
legislativo non suggerisce un preciso criterio che ne assicuri l’applicazione
[21].
Lo schematismo
della gerarchia delle fonti del diritto della navigazione tracciato dall’art. 1
c. nav. si può quindi ritenere già superato nell’ordinamento repubblicano a
costituzione rigida, per cui lo studio della dottrina sui requisiti di autonomia
e specialità del diritto della navigazione si è spostato, così, per individuare
e definire i confini della materia speciale navigazione il cui oggetto sarebbe
da ricondurre, secondo alcuni al diritto marittimo dal quale sarebbe stato
staccato con il codice del 1942; per altri i confini della navigazione si
dilatano oggi fino a comprendere tutta la materia del
trasporto.
Con la riforma del titolo V della Costituzione, però, appare superato
non solo lo schematismo della gerarchia delle fonti tracciato dall’art.1 c.nav.,
ma anche lo schematismo della materia “navigazione” individuata nei contenuti e
definita nell’ambito dallo stesso codice della
navigazione.
Come è noto, infatti, la navigazione (e/o il trasporto) non risultano
incluse nell’elencazione delle materie riservate alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato dall’art.117 Cost.
Né pare che l’indicazione della
materia porti, aeroporti e grandi reti di trasporto e di navigazione, tra quelle
per le quali è riconosciuta allo Stato una potestà legislativa concorrente possa
essere interpretata in modo talmente ampio da comprendere la più vasta materia
‘navigazione marittima, interna ed aerea’ secondo l’impostazione del codice
della navigazione, né il riferimento alla grandi reti di trasporto e di
navigazione può ampliarsi tanto da abbracciare la più complessa materia del
trasporto nella quale confluirebbero le diverse modalità marittima, aerea e
terrestre ed altri settori di materie strettamente connessi come ambiente e
territorio.
L’oggetto
della materia rimesso alla potestà legislativa concorrente pare
inequivocabilmente riferirsi alle infrastrutture che si collega alla più ampia
materia governo del territorio, anche essa rimessa alla potestà legislativa
concorrente.
Non può sottacersi, allora, che, probabilmente, l’omessa indicazione
della materia navigazione (e del trasporto) nell’elenco delle materie riservate
alla potestà legislativa esclusiva e concorrente dello Stato possa essere
conseguenza di una diversa scelta in ordine alla configurazione della materia
‘navigazione’ e di una diversa allocazione del potere di regolare i diversi
settori del più complesso comparto economico del trasporto nell’ordinamento
comunitario e nell’ordinamento neo-federale che la legge Bassanini prima e la
legge di riforma costituzionale poi hanno cominciato a delineare [22]).
Appare molto plausibile, infatti che l’omessa indicazione della
materia navigazione/trasporto tra le materie rimesse alla potestà legislativa
esclusiva o concorrente dello Stato sia frutto di una scelta che sottolinea il
progressivo trasferimento, anche nel comparto del trasporto, della sovranità
statale alle istituzioni comunitarie da un lato e dall’altro alle Regioni per
l’attuazione ed integrazione della normativa comunitaria ed internazionale. In
ogni caso, però, nella tradizionale materia definita dal codice e dalle leggi
statali speciali come navigazione la disciplina del codice non è più centrale e
la stessa legislazione statale in materia è destinata a cedere nei confronti
della normativa comunitaria che tendenzialmente assorbirà, come per la moneta,
l’intera sovranità degli Stati in materia di (regolazione del mercato)
trasporto, e nei confronti delle Regioni nei restanti residuali settori
particolari (speciali) di mercato dei trasporti regionali e
locali.
Se, allora, in base al nuovo testo del titolo V della Costituzione,
alla legge statale ed al codice della navigazione, subentra il diritto
internazionale e comunitario [23]
integrato dalla legge statale e regionale, dai regolamenti ed agli usi, sono
mutate le fonti del diritto della navigazione, i criteri di gerarchia posti
dall’art.1 del c.nav., i criteri per l’analogia legis e iuris, ma
anche gli stessi contenuti e l’ambito della materia che andrebbe individuato non
più con riferimento al codice, ma alla normativa comunitaria ed internazionale
che, in base al disposto dell’art.117 Cost., vincola oggi la potestà legislativa
dello Stato e delle Regioni.
A livello comunitario ed internazionale la materia della navigazione
marittima ed aerea, unitariamente considerata dal codice della navigazione,
risulta distinta negli autonomi settori disciplinari della navigazione marittima
(diritto marittimo) e del diritto aeronautico con ripercussioni inevitabili
nella sistemazione del diritto della navigazione nel nostro ordinamento statale.
Dall’unitaria disciplina codicistica dell’esercizio del mezzo nautico
ed aereo non si stacca, però, solo la disciplina di un settore autonomo ed
organico come la cosiddetta navigazione aerea (oggi diritto aeronautico), ma
anche ulteriori segmenti tendono ad aggregarsi in altri microsistemi normativi:
la pesca ad esempio che a livello comunitario rientra nella disciplina del
mercato agricolo, il diporto, il controllo del volo, l’aeroporto, il porto
ecc.:
Assistiamo dunque anche nell’ambito della materia regolata dal codice
della navigazione ad un processo di decodificazione analogo a quello
magistralmente descritto da Irti (in L’età della decodificazione, Milano 1999)
che ha sottolineato l’emergere di micro-sistemi normativi che disciplinano
settori di diritto privato che si rendono autonomi e speciali [24].
4.- Preme tuttavia sottolineare che in questo nuovo contesto l’unità
della materia non può più individuarsi in base al dato formale della specialità
della disciplina legislativa contenuta nel codice della navigazione rispetto
alla generalità di quella del trasporto terrestre contenuta nel codice civile,
ma piuttosto vada individuata con riferimento a parametri oggettivi del fatto, o
meglio del complesso di fatti che economicamente rilevano come comparti autonomi
di uno dei settori particolari del mercato in cui si articola il complesso
sistema economico.
La disciplina giuridica degli interessi evidenziati dai fatti
economici dei singoli mercati non è più rimessa esclusivamente alla legislazione
comune o speciale dello Stato, né la cura degli interessi pubblici connessi con
quella materia legislativamente regolata è integralmente affidata esclusivamente
ad appositi apparati dell’amministrazione statale, diretta o indiretta.
La materia (mercato) è disciplinata da norme non solo generali e
speciali, ma desunte anche da ordinamenti diversi e in autoregolazione
dall’organizzazione propria del mercato stesso, complesso di norme che curano
fini molteplici e organizzano l’azione di governo ai diversi
livelli.
Se questa analisi è corretta ne discende che il fatto (il porto,
l’ordinamento e le attività portuali, cioè, il mercato portuale) non è
disciplinato da una legge speciale in materia di navigazione, che in quanto
legge speciale prevale sul diritto comune ai sensi della gerarchia delle fonti
del diritto della navigazione posta dall’art. 1 del c. nav.
La legge 84/94 si connette, si integra non solo con leggi di diritto
comune che regolano l’economia in generale, ma con tutte le norme poste dal
diritto comunitario che sono immediatamente applicabili nell’ordinamento interno
escludendo sia norme di diritto comune che speciale, con le norme di legge
regionale, ormai equiordinata alla legge statale nelle materie non riservate
allo Stato, con le norme di autoregolazione che completano il quadro complessivo
della disciplina del mercato.
Non può essere un caso che la legge 84/94, come è noto, è stata
emanata non in seguito a pressanti esigenze di modernizzazione conseguenti allo
sviluppo tecnologico ed alle spinte del mercato monopolistico portuale italiano,
ma perché con la nota sentenza della Corte di Giustizia europea [25], il mercato
portuale italiano andava adeguato alle regole comunitarie.
È quindi la scelta politica che ha determinato il nuovo assetto del
mercato attraverso nuove regole giuridiche che disciplinano in modo diverso il
precedente ordine del mercato stesso fissando nuovi obiettivi e organizzando
l’azione di governo che, in parallelo con la disciplina normativa, risulta
essere anche essa multilivello.
Non pare dunque che la ratio della nuova disciplina portuale
possa essere letta con riferimento esclusivo al mutamento della politica
economica prima dirigista oggi moderatamente liberista e quindi alla nuova
Costituzione economica del nostro paese.
Il processo di trasformazione è più vasto e complesso e investe
l’intero ordinamento e la forma stesso dello Stato in
Europa.
Si è verificato – scrive F. Larat – uno spostamento delle
politiche pubbliche basate sullo Stato verso un sistema maggiormente
pluralistico e policentrico, in cui gli attori pubblici e privati prendono parte
al processo delle politiche … in ciascuna area di policy ci sono più
attori in gioco … In questo scenario i gruppi di interesse privati sono membri
attivi ed egualmente partecipanti, così come i funzionari degli apparati
europei, nazionali e sub nazionali.
Il passaggio dal concetto di governo a quello di governance
designa in maniera generale il complesso dei meccanismi alternativi di
negoziazione tra differenti gruppi, reti e sottosistemi suscettibili di rendere
possibile l’azione di governo [26].
In letteratura si sostiene che la governace sia un fenomeno
più ampio del governo. Esso ingloba l’attività delle istituzioni governative ma
anche una serie di meccanismi informali, non governativi o governamentali,
attraverso cui queste persone e organizzazioni agiscono nell’ambito della
politica internazionale. In termini generali, la distinzione in vigore tra
governo e governance è particolarmente adatta al caso dell’UE, dato che
non esistono né uno Stato, né un governo europeo in senso proprio l’Unione offre
un buon esempio di spazio di governance e di reti d’azione pubblica con
una molteplicità di attori, pubblici e privati, partecipanti alla formulazione
ed alla messa in opera delle politiche pubbliche. La governace
comunitaria deve dunque venire intesa come la coordinazione non gerarchica di
numerosi attori (non unicamente statali) all’interno di un sistema complesso di
relazioni di mutua dipendenza [27].
Questo
rapidissimo cenno alle complesse tematiche delle trasformazioni che si
registrano in atto nell’azione di governo negli stati dell’UE, mi sembra
necessario per tentare di capire come i tradizionali modelli debbono essere
rimessi in causa.
Anche gli stessi
più moderni modelli di regolazione del mercato attraverso autorità di
regolazione più o meno indipendenti, possono risultare non
esaustivi.
Se si esce dall’ortus
conclusus delle singole discipline oggettuali (diritto della navigazione,
diritto pubblico dell’economia, diritto comunitario) e si allarga lo sguardo al
sistema normativo che risulta sempre più complesso, ma sempre più unitario,
perché si avvia ad essere superata anche la tradizionale distinzione diritto
pubblico diritto privato, forse, quella Autorità portuale che da alcuni è vista
come ente pubblico di gestione (pubblico o pubblico economico), da altri come
autorità di regolazione di un mercato, potrebbe rappresentare un prototipo di un
organismo pubblico innovativo, composto da autorità pubbliche statali, regionali
e da operatori privati e lavoratori che partecipano alla formulazione di
politiche pubbliche di sviluppo portuale e del territorio in attuazione degli
obiettivi dei piani generali dei trasporti nazionali ed europei, e costituire un
modello interessante di governance
per l’esercizio di quella azione di governo multilivello che richiede una forte
capacità di innovazione [28].
* Scritto destinato agli Scritti in Memoria del Prof. Elio FANARA
** Ordinario di Diritto della navigazione presso la Facoltà di economia dell’Università degli studi di Messina
[1]
Tra gli studi monografici più recenti dei pubblicisti si veda: Romagnoli, Autorità portuale:
profili strutturali e funzionali, Bologna, 2003; Citrigno, Autorità portuale: profili
organizzativi e gestionali, Milano, 2003; Maresca, La regolazione dei porti
tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 2001; Taccogna, Le operazioni portuali nel
nuovo diritto pubblico dell’economia, Milano, 2000; Minale Costa, Il diritto del lavoro
nei porti: il lavoro portuale tra regolamentazione legale e contrattuale,
Torino, 2000; Falzea
G., Porto e funzione portuale, Milano, 1998. Restano fondamentali,
prima della legge di riforma, gli scritti di Siriani, L’ordinamento portuale,
Milano, 1981 e di Pericu, voce Porto, in
Enciclopedia del diritto, vol. XXXIV, Milano 1985, 424 e ss.
Per una panoramica più esauriente degli scritti in tema di riforma dei porti si rinvia a Vermiglio, voce Autorità portuale, in Enciclopedia del diritto, VI aggiornamento, Milano 2002; Xerri Salomone, L’Ordinamento giuridico dei porti italiani, Milano, 1998.
[2]
Scrive Maresca, op. cit,
36: I compiti dell’A.P. sono così
vasti “che solo una Autorità … autonoma ed indipendente potrà assolverli con
la necessaria serenità ed imparzialità”.
[3] Intere discipline ed istituti si vanno, infatti,
costruendo sul terreno di leggi esterne al codice della navigazione. Anche il
codice della navigazione, così come rilevato da irti per il codice civile già nel
1979, “ non basta più; appare
semplice custode di parti generali o estremo soccorritore per il caso di lacune
di leggi speciali”. Irti,
L’età della decodificazione, (quarta edizione) Milano, 1999, 10 e
ss. La
diagnosi … che le leggi speciali, esprimendo ed attuando principi della
Costituzione, si lasciassero ricondurre, insieme con il codice civile, entro la
pluralità di micro sistemi - scrive oggi Irti, Nichilismo giuridico,
Bari, 2004, 7 e 8 - … non
coglieva, o forse taceva, l’essenza nichilistica del fenomeno: quel negare ogni
criterio d’unità, quel consegnarsi al volere umano ed alla causalità del
divenire, che getta le norme in un indefinito movimento, in un quotidiano
nascere e morire. Questa non è la consueta e banale critica al legislatore
nazionale o europeo; ma – oserei dire – il destino del diritto nel nostro
tempo.
[4] Per una rassegna aggiornata delle diverse posizioni della dottrina si veda Tullio, Dal diritto marittimo e aeronautico al diritto della navigazione e dei trasporti, in Diritto dei trasporti, 2004, 1-10.
[5] Xerri, Il trasporto nel diritto marittimo, nel diritto della navigazione, nel diritto dei trasporti e sua evoluzione verso l’integrazione del sistema, in (a cura di) Xerri, Trasporti e globalizzazione, materiali per una ricerca, Cagliari, 2004, 51-55.
[6] Righetti, Trattato di diritto marittimo, V, Milano, 2001, 5 e ss.
[7] Per una rassegna delle posizioni della dottrina cfr. Vermiglio, voce Autorità portuale, cit., 206 -209.
[8] Con sentenza del 24 luglio 2001 n.1097, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha ritento che i canoni di concessioni demaniali marittimi riscossi dalle Autorità portuali siano soggetti ad IVA, riconfermando la natura di ente pubblico economico riconosciuta nella precedente sentenza a sezioni unite del 28 ottobre 1998 n.1027.
Il Consiglio di Stato, sez. III°, adunanza del 9 luglio 2002, ha al riguardo formulato un parere che perviene a conclusioni diverse circa la qualificazione di ente pubblico economico dell’Autorità portuale, per cui l’IVA sui canoni di concessione sembrerebbe non dovuta.
La Corte di giustizia delle Comunità europee, sez.VI, 24 ottobre 2002, nella causa c - 82\01 Aéreoports de Paris contro Commissione ha ritenuto, però, che è qualificabile come impresa un ente pubblico che oltre alle attività puramente amministrative, in particolare compiti di polizia, svolge attività di gestione e di esercizio di aeroporti. Cfr. la sentenza annotata da Cirielli, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 2, 175-184.
[9]
Irti, Nichilismo giuridico,
cit., 11, nota 1: “l’art. 114 della Costituzione italiana, nel testo
deliberato il 2001, dice esser la ‘ Repubblica … costituita dai Comuni, dalle
Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato’ ; così la
Repubblica, da forma e sinonimo di Stato, si eleva a contenitore; e lo Stato, da
soggetto che gli altri abbracciava e raccoglieva in sé, decade a elemento di un
insieme. L’antica unità è sgretolata; la nuova si affida soltanto alla sintassi
di una proposizione normativa. E come poi invocare o esigere il senso dello
Stato quando lo Stato ha perduto ogni senso?”.
[10]
Si rinvia alle indicazioni bibliografiche citate da Vermiglio, Porti e reti di trasporto e di navigazione
tra Stato e Regioni (dopo la modifica del titolo V della Costituzione), in
Diritto dei trasporti, 2003, 449 e
ss.
[11] Cfr. Ricossa, voce Mercato, in Dizionario di economia, Torino, 2004, 305-310.
[12] Lipari, Diritto e mercato della concorrenza, in (a cura di) Lipari e Musu, La concorrenza tra economia e diritto, Bari, 2000, 28 e ss.
[13]
Le disposizioni della legge n. 84/94 costituiscono un corpus che si aggiunge alla normativa
codicistica con un rapporto – rileva Carbone, Il diritto marittimo, Torino, 2002, 135
– di lex specialis a lex
generalis.
[14] Giusti, Diritto pubblico dell’economia, Padova, 1994, 3.
[15] Cassese, La nuova Costituzione economica, Bari, 2004, 5 e ss.
[16]
Irti, op.cit., 39e ss.
[17] Per gli approfondimenti non si può prescindere dagli
scritti fondamentali di Pescatore, Diritto della navigazione e principi
generali, in Studi in onore di
Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 971 e ss.; di Pugliatti, Codice della navigazione e codice
civile, oggi in Diritto civile,
1951, 135 - 165 e sulla
tematica generale della legge speciale dallo studio di Irti, L’età della
decodificazione, cit..
[18] Oggi, appare, infatti, già consolidato il processo di
trasferimento di quote sempre più ampie di sovranità statale ad organismi
sopranazionali per il governo dell’economia in un mercato unico europeo
(iniziato con i trattati CEE negli anni cinquanta del secolo scorso) e avviata
da qualche anno la riforma in senso neo-federale del nostro ordinamento, con la
legge costituzionale n.3/2001 che riconosce alle Regioni una potestà legislativa
generale residuale nelle materie non espressamente inserite nell’elenco di
quelle riservate alla potestà legislativa esclusiva o concorrente dello
Stato.
[19] Cassese, La Costituzione economica, cit., 15 e ss.
[20] Pugliatti, op. cit., 155.
[21] Pugliatti, op. cit., 156.
[22] Anche se il processo di
trasformazione in senso neofederale del nostro ordinamento anticipato dalla
Bassanini ed avviato dalla legge di riforma costituzionale, risulta oggi
costantemente monitorato dalla Giurisprudenza della Corte costituzionale che
accerta il rispetto del fondamentale principio costituzionale dell’unità
dell’ordinamento nelle numerosissime questioni di legittimità costituzionale e
nei tanti conflitti di attribuzione Stato – Regione seguiti alla riforma, e
ripensato dai disegni di legge costituzionale di riforma della riforma, proposti
dal Governo, per cui sarebbe doveroso fermarsi ed approfondire – e mi sembra
impossibile farlo in questa sede e per la vastità delle tematiche e la
complessità delle problematiche –
tuttavia non sembra inutile ai limitati fini del nostro tema individuare
a grandi linee quale diverso assetto di rapporti Unione europea, Stati,
Autonomie locali, anticipano le leggi di riforma delle autonomie locali, anche
riguardo alla navigazione/trasporto. Il Trattato che adotta una Costituzione per
l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, al titolo III° art. I-14 alle
lettere g) e h) indica i trasporti e le reti transeuropee tra le materie
di competenza legislativa concorrente tra l’U.E. e gli Stati. Tuttavia, ai sensi
del precedente articolo I-12 comma 2, quando la Costituzione europea attribuisce
all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un
determinato settore, gli stati membri esercitano la loro competenza nella
misura in cui l’Unione non ha esercitatola propria o ha deciso di cessare di
esercitarla.
[23]
Ai sensi dell’art. III-245, comma 2 del Trattato che adotta la Costituzione
europea, infatti, La legge o la legge quadro europea può stabilire le
opportune misure per la navigazione marittima e aerea. E’ adottata previa
consultazione del Comitato delle Regioni e del Comitato economico
sociale.
[24]
Irti, op. cit., 11 e ss. Lo stesso autore
scrive oggi - Nichilismo giuridico, cit., 8 - che quel fenomeno non
coglieva o forse taceva l’essenza nichilistica del diritto nel nostro tempo.
Stabilità di metodo e organicità di sistema esigono che le norme, in luogo di
disperdersi nel fortuito occasionalismo, rispondano ad un’istanza di unità. Ora
non restano che incessante produzione e consumo di norme. Le quali perseguono
bensì singoli scopi (e non potrebbero non avere) specifici sensi, ma rifiutano
l’appello dell’unità.
[25] Corte di Giustizia Europea 10 dicembre 1991, causa C.179/90 tra Spa Merci convenzionali Porto di Genova contro Spa Siderurgia Gabrielli, in Racc. giur. C. giust., 1991, I-5889.
[26]
Larat, Le Regioni nel sistema del multilevel governance, in Le istituzioni del federalismo, 2004, 93.
[27] Larat, op. cit., 95. La Commissione ha deciso di presentare all’inizio del 2000 la riforma della governance europea come uno dei suoi obiettivi strategici. Il concetto di governance – si legge nel libro bianco sulla governance europea – designa le norme, i processi ed i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Cfr. il sito http://europa.eu.int/comm/governance/index _fr.htm
[28] Questa spinta innovativa
può essere ritardata dai tanti tentativi di restaurazione, frenata da pronunzie
giurisprudenziali contrastanti, non condivisa a seconda degli orientamenti dei
diversi settori disciplinari di analisi. È innegabile tuttavia che
l’unificazione del mercato europeo, il processo di allargamento e di unione
politica ed istituzionale dei paesi dell’Europa, la Costituzione europea in
corso di approvazione, il processo di integrazione culturale e sociale, stanno
producendo negli ordinamenti dei singoli paesi radicali e profonde
trasformazioni del sistema normativo e, otri vecchie non potranno più contenere
il vino nuovo.
Data di pubblicazione: 18
ottobre 2005