Rivista di diritto dell’economia,
dei trasporti e dell’ambiente, III/2005
L’Agenzia
europea per la sicurezza marittima:
struttura e competenze *
Sul versante comunitario, verso la metà
degli anni ’90, era stata varata una serie di provvedimenti per una “politica
comune di sicurezza marittima” ([5])
imperniati su una applicazione più rigorosa delle convenzioni internazionali e
su specifiche disposizioni in settori in cui le norme IMO ([6]) si
erano rivelate insufficienti. I gravi disastri causati da navi cisterna hanno
recentemente indotto le istituzioni europee a rivedere gli standard di sicurezza fissati, con particolare riguardo alle navi
destinate al trasporto di idrocarburi e di altri carichi inquinanti.
A seguito del naufragio, avvenuto nel
dicembre 1999, della petroliera maltese Erika
([7]),
la Commissione Europea, a distanza di qualche mese dal sinistro, ha adottato,
il 21 marzo 2000, una “Comunicazione in materia di sicurezza marittima del
trasporto di idrocarburi”, nella quale veniva proposta una serie di azioni:
alcune di immediata applicazione; altre, a lungo termine e più complesse,
sarebbero state oggetto di successivi interventi normativi ([8]).
Il primo corpus di misure (cosiddetto pacchetto Erika I), presentato il 21 marzo del 2000 (COM (2000)142 def.),
comprende tre proposte legislative che si sono tradotte in altrettanti atti
normativi, riguardanti sia le petroliere, sia le navi adibite al trasporto di
sostanze inquinanti.
Il primo provvedimento del Pacchetto Erika I, costituito dalla Direttiva
del 19 dicembre 2001 n. 105 ([9]), ha
modificato la Direttiva 94/57 ed ha introdotto un sistema di disposizioni e
norme comuni per il riconoscimento delle società delegate dagli Stati Membri al
controllo sulle navi. Gli emendamenti apportati dalla Direttiva 2001/105/CE
hanno perfezionato il regime di riconoscimento delle società di classificazione
ed intensificato i controlli sull’attività svolta da queste, con particolare
attenzione alla materia della sicurezza e della prevenzione dall’inquinamento.
Il secondo provvedimento, la Direttiva n. 106 del 19
dicembre 2001 ([10]),
che modifica la precedente n. 95/21 relativa “all’attuazione di norme
internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e
le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti
comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri
(controllo dello Stato di approdo)”, mira a garantirne una più efficace
applicazione, rendendo obbligatoria l’ispezione per alcune categorie di navi,
considerate a rischio. Secondo l’allegato V della Direttiva 2001/106 sono
considerate tali le petroliere cui mancano cinque anni (o meno) dal disarmo, le
gasiere e le chimichiere di età superiore a 10 anni a decorrere dalla data di
costruzione, le portarinfuse di età superiore a 10 anni e talune navi
passeggeri. La Direttiva 2001/106, inoltre, vieta l’accesso nei porti
dell’Unione alle navi in stato di fermo ed iscritte in una “lista nera”
periodicamente aggiornata ([11])
dalla Commissione.
La terza ed ultima proposta si è
concretata nell’emanazione del reg. 417/2000, volto ad accelerare la
sostituzione delle vetuste petroliere monoscafo con quelle a doppio scafo,
seguendo una procedura già sperimentata dagli Stati Uniti ([12]).
Il regolamento è stato da ultimo modificato, in seguito al grave incidente della
petroliera Prestige, dal reg. 1726/2003, del 23 luglio 2003, che
accelera l’eliminazione delle monoscafo riducendone i tempi.
I successivi interventi dell’Unione
Europea sostengono le misure contenute nel primo pacchetto, attraverso
l’adozione di altre norme, racchiuse nel cosiddetto pacchetto Erika II. Questo, approvato il 6
dicembre del 2000 ([13]),
contiene tre proposte di atti normativi volti a tutelare durevolmente le acque
europee, sia con misure per il contenimento dei rischi, sia attraverso azioni mirate
alla salvaguardia dell’ecosistema, sempre più esposto ai danni provocati dallo
spandimento di sostanze nocive per l’ambiente.
Preso atto dei deludenti risultati cui
ha dato luogo la concreta attuazione della Direttiva 93/75 ([14]),
per l’impossibilità di individuare attraverso procedure standardizzate le
Autorità responsabili e le navi cariche di merci pericolose a largo delle coste
europee, la Comunità ha così adottato la Direttiva 2002/59, del 27 giugno 2002
([15]),
con la quale ha istituito un sistema comunitario
di monitoraggio ed informazione sul traffico marittimo. La Direttiva dispone
che la Comunità europea si doti di più idonei strumenti per il controllo del
traffico marittimo, estende gli obblighi già previsti nella Direttiva Hazmat ([16])
al trasporto di altre sostanze inquinanti ed introduce un più accurato sistema
di informazione, attraverso la realizzazione di una banca dati europea e di una
rete telematica tra gli Stati.
Quanto alle due restanti proposte di
regolamento, l’una mira ad integrare il sistema internazionale esistente, con
la creazione di un fondo di risarcimento supplementare per l’inquinamento da
idrocarburi nelle acque europee, l’altra prevede l’istituzione di un nuovo
organismo comunitario.
La
prima, tutt’ora allo stadio di proposta, allo scopo di aumentare il plafond dei risarcimenti ammessi
dall’attuale regime di diritto uniforme, affianca alle Convenzione CLC e FUND ([17])
un Fund for compensation, for oil pollution in European waters,
cosiddetto fondo COPE, finalizzato ad aumentare la tutela risarcitoria a
vantaggio di coloro i quali non abbiano ottenuto integrale ristoro nel quadro
della vigente disciplina uniforme. La proposta prevede un sistema originale
che, senza contrapporsi alla normativa uniforme, la integra con un risarcimento
addizionale, i cui costi devono essere sostenuti dalle imprese che operano nel
settore del trasporto marittimo di idrocarburi. Elementi condizionanti la
operatività del Fondo COPE sono: il danno da inquinamento verificatosi nel
territorio di uno Stato membro, comprese le acque territoriali e la zona
economica esclusiva e l’incapienza dei massimali previsti da CLC e FUND ([18]).
La
seconda proposta, mirata alla creazione di una struttura specialistica per
supportare la Commissione nell’applicazione della legislazione in tema di
sicurezza in mare, è sfociata nell’emanazione del Reg. Ce del 27 giugno 2002 n.
1406 istitutivo dell’Agenzia Europea per la sicurezza marittima (European
Maritime Safety Agency). Questa è un ente specializzato della
Comunità con funzioni, fra le altre, consultive e di controllo, la cui sede,
dal dicembre 2003, è stata stabilita a Lisbona.
Il fine dell’Agenzia, - come si legge
nell’art. 1 del reg.1406/2002, sotto la rubrica Obiettivi - è quello di assicurare un “livello elevato, efficace ed
uniforme di sicurezza marittima e di prevenzione dell’inquinamento causato
dalle navi nella Comunità”. L’European Maritime Safety Agency, come si
deduce dalla stessa denominazione dell’ente, è pertanto diretta a tutelare la safety,
ovvero l’attività di prevenzione da sinistri o eventi di pericolo determinati
da circostanze accidentali indipendenti da precise e volontà di offesa.
Fornisce quindi a Stati Membri e Commissione l’assistenza tecnica e scientifica
e capacità di alto livello per dare “corretta applicazione alla legislazione
comunitaria in tema di sicurezza e nel monitorare e valutare l’efficacia delle
misure in vigore” (art. 1.2).
2.
Gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e gli interventi sulla
normativa internazionale in tema di sicurezza marittima – Il quadro delineato a livello internazionale ed
europeo a tutela della sicurezza marittima è stato, però, messo in crisi dagli
attentati terroristici dell’11 settembre 2001 ([19]).
Questi avvenimenti hanno posto
all’attenzione dei governi la necessità di verificare il grado di vulnerabilità
del sistema di sicurezza e hanno messo in luce la necessità di elaborare misure
dirette non solo alla salvaguardia da incidenti tecnici, ma anche da atti di
interferenza illecita.
La Comunità internazionale ha deciso di
regolamentare in modo il più possibile organico la complessa materia,
predisponendo un insieme di nuove norme per la security. L’attenzione per il rischio di attentati, inizialmente
posta al mondo della navigazione aerea ([20]) è
stata estesa anche al campo della
navigazione per mare.
Nelle sedi internazionali che si
occupano di sicurezza marittima sono state avviate, a partire dal 2002, una
serie di attività di studio e ricerca per elaborare un corpus di misure atte a
prevenire atti di interferenza illecita contro lo shipping ([21]).
I lavori, iniziati nel febbraio del
2002 all’IMO, si sono conclusi a Londra, con la Conferenza diplomatica del 12
dicembre 2002. In questa sede sono state apportate modifiche alla Convenzione
SOLAS per la salvaguardia della vita in mare. Gli emendamenti hanno riguardato
il Capo V, rubricato Safety of navigation,
nel quale sono state predisposte adeguate misure per accelerare l’installazione
di sistemi di identificazione automatica AIS
(Automatic Information System)
sulle navi passeggeri e sulle petroliere di stazza superiore a 300 tonnellate.
Ciò per assicurare un continuo controllo affinché le autorità costiere possano
gestire utili informazioni per una più sicura navigazione. Particolare
attenzione è stata dedicata al capitolo XI, rinumerato e modificato. Il nuovo
capitolo XI-1/3 prevede l’applicazione, in posizione ben visibile, del numero
identificativo della nave (schip’s
identification numbers), diversificato a seconda che essa sia adibita o
meno al trasporto di passeggeri. La nuova disposizione XI-1/5 richiede inoltre
che la nave sia dotata di un registro, continuamente aggiornato (Continuous Synopsis Record), contenente
tutti i dati relativi alla sua “storia”: nome, Stato di bandiera, data e porto
di registrazione, nominativo dei proprietari, etc., tale da consentire alle
autorità competenti un monitoraggio della nave immediato e semplificato.
Importante, ai fini della sicurezza, risulta l’introduzione del nuovo capitolo
XI – 2 rubricato Special measures to enhance
maritime security, che contiene una
disciplina di dettaglio assai rigorosa per meglio tutelare le navi
potenzialmente più esposte al rischio di attentati: essa infatti si applica
alle navi passeggeri, a quelle di stazza lorda pari o superiore a 500
tonnellate, alle piattaforme mobili di perforazioni off-shore ed agli impianti portuali utilizzati per il traffico
internazionale.
La Conferenza ha infine adottato una
raccolta organica di norme internazionali per la sicurezza delle navi e degli
impianti portuali, il cosiddetto codice ISPS (acronimo di International Ship and Port Facilities Security Code), suddiviso in
due parti: la prima contiene una serie di norme di natura cogente,
indispensabili per la protezione del trasporto marittimo, la seconda le raccomandazioni
per orientare gli Stati nell’attuazione delle disposizioni obbligatorie ([22]).
Giova infine precisare che nonostante gli sforzi profusi sul piano
internazionale dall’IMO e dalla Comunità verso l’obiettivo della uniformità,
questa rischia di essere compromessa per l’atteggiamento assunto dagli USA.
Infatti, il Congresso, preoccupato per il possibile ripetersi di un altro 11
settembre ha promulgato, il 25 novembre 2002, il Maritime Security Act of 2002, unitamente all’istituzione di un Department of Homeland Security, al cui
interno confluiscono oltre venti enti statali specializzati. Questi
provvedimenti, insieme ad altre disposizioni unilaterali ([23])
possono distorcere i delicati equilibri su cui si regge il comparto del
trasporto. L’orientamento degli USA appare improntato alla massima
intransigenza per allontanare il più possibile dai confini nazionali il
pericolo di nuovi attentati, anche attraverso l’imposizione di norme
restrittive al resto del mondo. Infatti, in sede IMO, gli States hanno ribadito
che, a far data dal primo luglio 2004, è vietato l’accesso nei porti
statunitensi alle navi non in regola con le misure previste dalle due parti del
codice ISPS. Negli anni a venire potremmo assistere ad una sorta di frattura
nel mondo dello shipping: da una parte navi e porti già “omologati”
secondo le nuove procedure, e, come tali, ammesse al vantaggioso commercio con
l’America; dall’altro gli esclusi.
Sul versante comunitario, la
Commissione avrebbe comunque preferito, che gli USA, anziché emanare una
legislazione varata sull’onda emotiva della distruzione delle Torri Gemelle, si
fossero mossi su un più meditato approccio pluridisciplinare, approdando a
soluzioni uniformi e valide per tutti. In un contesto economico globale sembra
avere prevalso un sistema in cui la sicurezza dell’Unione Europea può essere
minacciata - si legge polemicamente nella Comunicazione 2003/229 supra cit. - non “soltanto in grandi
porti” o attraverso “il trasporto di contenitori” ma da pericoli provenienti
“sia da Paesi terzi, sia dagli Stati Uniti”.
3. Le conseguenze sul fronte
comunitario: le modifiche apportate all’Agenzia Europea dal Regolamento 31
marzo 2004 n. 724 – L’Unione
Europea, allertata dalla necessità di salvaguardare risorse non riproducibili,
nel solco già tracciato nel Libro Verde
del 1995, nel successivo Libro bianco dei
trasporti ([24])
del 2001 aveva offerto il proprio sostegno all’IMO, incoraggiando tutti gli
sforzi sul piano internazionale per la sicurezza delle navi e delle
infrastrutture. In quest’ultimo documento la security figura per la tutela di passeggeri ed equipaggi imbarcati
su navi da crociera, ma in posizione per così dire di “retroguardia” rispetto
ad altre contingenze (congestione e circolazione veicolare, riparto del
traffico tra modalità di trasporto meno inquinanti etc.), la cui soluzione
appariva allora più urgente ed alle quali è dedicato ben altro spazio.
Con l’11 settembre questo scenario è
andato in frantumi e da questo momento la preoccupazione dei governi di tutto
il mondo civile è orientata a prevenire
altri possibili atti di guerra contro la popolazione civile inerme.
Prova ne sia che la Comunicazione del 2 maggio 2003 (COM (2003) 229 def.),
contenente la proposta di regolamento relativa al miglioramento della sicurezza
delle navi e degli impianti portuali, si apre con una ben precisa ed allarmante
presa di posizione: “non esiste paese al mondo [...] al riparo da atti di terrorismo” poiché questi “possono essere
perpetrati in qualsiasi momento senza risparmiare i trasporti marittimi”.
Inoltre, la natura di certi carichi di sostanze pericolose potrebbe indurre i
terroristi a fare esplodere le navi in zone portuali, “con conseguenze umane ed
ambientali che è facile immaginare”. E poiché gli attentati terroristici “sono
fra le minacce più gravi per gli ideali di democrazia e libertà che
rappresentano l’essenza dell’UE”, è indispensabile “garantire in permanenza la
sicurezza dei trasporti marittimi [...] e quella dei cittadini che ne fanno
uso”. Pertanto è divenuta indifferibile l’adozione – a livello comunitario – di
provvedimenti ad hoc ispirati alle
stesse finalità che hanno determinato le modifiche alla Convenzione SOLAS, cui
abbiamo fatto cenno nei precedenti paragrafi.
La
sicurezza, secondo la Commissione, deve essere potenziata sia sulle navi
adibite al traffico internazionale, sia negli impianti portuali ad esse
destinate, con particolare attenzione alle navi passeggeri in servizio di linea
in ambito comunitario a motivo dell’elevato numero di vite umane esposte a
rischio, sia a bordo, sia in ambito portuale. Per raggiungere l’auspicato
obiettivo del rafforzamento della sicurezza, ormai divenuto un problema
“globale”, appare indispensabile assicurarne l’uniformità attraverso il
recepimento del diritto comunitario nell’alveo delle misure internazionali
contro azioni illecite intenzionali.
A
tal fine le istituzioni europee avrebbero potuto o creare una nuova struttura
con specifiche competenze e poteri in tema di security, ovvero affidarsi ad una già esistente, potenziandola. E
poiché l’Agenzia aveva già maturato collaudate conoscenze in tema di
salvaguardia dell’ambiente marino, la scelta, per certi aspetti, era obbligata.
L’Agenzia europea per la sicurezza marittima, già dal 2002, sostiene la
Commissione in tutte le azioni mirate a garantire la safety per la protezione delle attività marittime e dei porti
comunitari, dei passeggeri e degli equipaggi. È un organo dotato di alta
professionalità, già formato ed in grado di fornire, se adeguatamente
supportato, un importante contributo di competenza anche ai fini della
salvaguardia da “atti di interferenza illecita”.
In questo quadro, il 31 marzo 2004, è
stato approvato il regolamento CE 724/2004 che modifica il precedente reg. n.
1406/2002 ed introduce importanti novità in tema di security e di safety ([25]) innovando
la disciplina dell’Agenzia, della quale pare opportuno analizzare struttura,
funzioni e compiti.
La parte centrale del reg. 1406/2002 ([27])
delinea la struttura ed il funzionamento interno dell’Agenzia, che è guidata da
un Direttore esecutivo e dal Consiglio di amministrazione.
Il Direttore esecutivo ([28])
rappresenta l’Agenzia ed è nominato, per
riconosciuta capacità ed esperienza in materia di sicurezza marittima,
dal Consiglio di amministrazione, ai sensi dell’art. 16 del Reg. 1406 supra cit. Svolge le proprie funzioni in piena indipendenza, elabora
il programma di lavoro e lo presenta al Consiglio, decide sull’esecuzione delle
visite, adotta i provvedimenti necessari per assicurare il corretto
funzionamento dell’Agenzia e risponde alle richieste di assistenza degli Stati
membri. Il Direttore eletto da una maggioranza rappresentata dai quattro quinti
di tutti i membri del Consiglio, ricopre un mandato quinquennale, rinnovabile
una sola volta.
Il Consiglio di Amministrazione, i cui
membri durano in carica cinque anni, è composto da un rappresentante per
ciascuno degli Stati membri, da quattro rappresentanti della Commissione e da
quattro professionisti dei settori maggiormente interessati, designati dalla
Commissione. Il Consiglio nomina il Direttore esecutivo, adotta ogni anno la
relazione generale dell’Agenzia sull’attività svolta e la trasmette ai Paesi
membri, esamina le richieste di assistenza da parte di questi, delinea il
programma di lavoro ([29]),
approva il bilancio definitivo e determina l’orientamento circa le visite da
effettuare, ai sensi dell’art. 3. Infatti, per raggiungere gli obiettivi del
regolamento, l’Agenzia, tramite i suoi funzionari, svolge ispezioni presso gli
Stati membri al fine di verificare il rispetto degli obblighi di controllo
dello Stato di approdo e l’attuazione della legislazione comunitaria. In tal
modo l’Ente prende diretta conoscenza circa il regolare funzionamento delle
amministrazioni marittime degli Stati Membri e individua le “migliori pratiche”
ed eventuali lacune: il tutto per la realizzazione del superiore valore della
sicurezza di cui l’organismo è portatore. E poiché questo non può e non deve
essere circoscritto ad un ambito geografico limitato, l’Agenzia, per il
concreto raggiungimento dei suoi fini, è aperta alla partecipazione dei paesi
terzi. Questi, ai sensi dell’art 17 del Reg., possono prendervi parte, a
condizione che abbiano “concluso con la Comunità europea accordi in virtù dei
quali hanno adottato ed applicano il diritto comunitario nel settore della
sicurezza marittima e della prevenzione dell’inquinamento causato da navi”: è
il caso della Norvegia e dell’Islanda, Paesi di grande cultura marinaresca.
Dal maggio del 2004, con le procedure
di allargamento dell’U.E., dieci nuovi Paesi sono entrati a far parte
dell’Agenzia, e ciò dovrebbe contribuire a migliorare la sicurezza delle loro
navi, delle infrastrutture e del personale impiegato.
5. Funzioni e compiti
dell’Agenzia – L’art. 2, per assicurare gli obiettivi indicati dall’art. 1 ([30])
del Reg. CE 724/2004, elenca i compiti di assistenza e consulenza dell’Agenzia ([31]),
diretti non solo a garantire la safety e la prevenzione
dell’inquinamento, ma anche la “protezione marittima” e gli “interventi contro
l’inquinamento causato da navi”.
I compiti di assistenza alla
Commissione sono analiticamente individuati nell’art. 2 (lett. a-b) e spaziano dall’ausilio
nell’aggiornamento e nello sviluppo della normativa al supporto nella sua
efficace attuazione in tutto il territorio comunitario. L’Agenzia, pertanto,
coadiuva la Commissione nei lavori preparatori della legislazione in materia di
safety, avendo particolare riguardo
all’evoluzione della normativa internazionale di settore e tale attività si
estende sino all’analisi dei progetti di ricerca realizzati in materia di
sicurezza e prevenzione dell’inquinamento prodotto da navi ([32]).
Ai fini della corretta applicazione
della normativa su tutto il territorio della comunità l’Agenzia deve accertare
il “funzionamento del regime comunitario di controllo dello Stato di approdo”
(art.2, lett.b, i), anche mediante visite presso gli uffici competenti
degli Stati Membri, secondo l’orientamento del Consiglio di amministrazione; a
tale scopo l’Agenzia ispeziona le società di classificazione riconosciute a
livello europeo, a norma della Direttiva del 22 novembre 1994 n. 57, e ne
verifica la qualità delle prestazioni, garantisce l’applicazione delle
disposizioni comunitarie in materia di sicurezza sulle navi passeggeri e
provvede altresì “alla formazione, al rilascio di brevetti ed alla tutela degli
equipaggi imbarcati” (art. 2, lett. b,
iii).
Assai
interessante la lettera e) dell’art.
2, secondo cui l’Agenzia, pur nel rispetto dei singoli ordinamenti nazionali,
svolge un’attività volta a facilitare la cooperazione tra Stati Membri e
Commissione, “nell’elaborazione di una metodologia comune di indagine sugli
incidenti marittimi” e “nel sostegno” agli Stati membri sia in quest’ultima
attività, sia nell’analisi dei rapporti esistenti circa gli “accertamenti”
relativi ai sinistri. L’attività dell’Agenzia “nel rispetto dei princìpi di
diritto internazionale riconosciuti” (come testualmente si legge nell’art. 2 supra cit.) appare mirata ad imporre
(più che a “suggerire”, nonostante il tenore letterale della norma) una
metodologia tendenzialmente vincolante ed omogenea, tale da ridurre l’eventuale
potere discrezionale del singolo Stato quanto all’approfondimento circa le
reali cause dell’incidente.
Inoltre,
in forza di un’attenta attività di rilevazione, registrazione e valutazione dei
dati tecnici sulla sicurezza, sull’utilizzazione delle banche dati e sul loro
continuo aggiornamento, l’European Maritime Safety Agency fornisce alla
Commissione e agli Stati Membri informazioni attendibili per l’adozione di più
appropriate misure per la tutela della sicurezza marittima. In tal quadro
l’Agenzia assiste la Commissione nella pubblicazione semestrale delle navi cui
è stato rifiutato l’accesso nei porti comunitari, in applicazione della
Direttiva 95/21/CE, e coadiuva gli Stati nelle iniziative volte ad identificare
le navi che scaricano illecitamente sostanze inquinanti in acqua e
nell’applicazione delle relative sanzioni.
L’attività
di collaborazione è assai ampia e si estende tanto agli Stati Membri, con
attività di formazione nelle materie di competenza dello Stato di approdo o di
quello di bandiera, tanto agli Stati candidati. Nei confronti di questi ultimi,
nel corso dei negoziati di adesione per l’ingresso nella U.E., l’Agenzia può
fornire assistenza tecnica per l’attuazione della legislazione comunitaria in
materia di sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento, organizzando attività
di formazione, considerata elemento chiave per l’armonizzazione del “sistema”
comunitario.
Dalla
lettura dei considerando del
regolamento 725/2004, in cui si fa riferimento ad “azioni illecite
intenzionali”, alla salvaguardia da “atti di terrorismo e di pirateria” e agli
strumenti adottati in ambito internazionale per migliorare la sicurezza
(Convenzione SOLAS e Codice ISPS) sembra che la ratio legis sia
orientata verso la tutela della maritime
security sulle navi e sugli impianti portuali. Ed in questo senso l’art. 2,
rubricato “definizioni”, sgombra il campo da ogni dubbio interpretativo circa
l’ambito di applicazione: “ai fini del regolamento”, per sicurezza marittima si
intende la “combinazione delle misure preventive dirette a proteggere il
trasporto marittimo e gli impianti portuali contro le minacce di azioni
illecite intenzionali”.
Il
regolamento 725/04 predispone una complessa serie di misure per garantire la security, senza in alcun punto far cenno
alle competenze dell’Agenzia, ampiamente disciplinate nel cit. reg. 724/2004.
Quest’ultimo, all’art. 2, tra le nuove funzioni di assistenza alla Commissione
svolte dall’Agenzia, individua le attività ispettive previste dall’art. 9,
paragrafo 4, del Reg. 725/2004, ossia il controllo delle navi, delle compagnie
e degli organismi di sicurezza riconosciuti ed all’uopo autorizzati.
La lettura del combinato disposto
dell’art. 2 lett. b) punto IV del reg. 724/2004, e dell’art. 9 del reg.
725/2004 merita particolare attenzione. Infatti l’art. 9 del reg. 725/2004,
sotto la rubrica “Attuazione e controllo della conformità ”, prevede che gli
Stati Membri sono tenuti ad assolvere i compiti di amministrazione e controllo
previsti dalle misure speciali della Convenzione SOLAS e del codice ISPS “to enhance maritime security” (nel testo
italiano si legge per “migliorare la
sicurezza marittima”). A tal fine (art. 9, n. 2) essi designano, entro il primo
luglio 2004, “a focal point for maritime
security” ossia un “punto di contatto” ([34]):
questo, ai sensi dell’art. 2 n. 6 reg. 725/2004, rubricato “definizioni”, è un
organismo individuato da ogni Stato della Comunità quale raccordo “for the Commission and other Member States”
(ossia, “punto di contatto per la Commissione e gli altri Stati Membri”).
Ciascuno di essi adotta “un programma
nazionale per la sicurezza” (art. 9 n. 3) e designa (art. 2, n.7) “un’autorità
competente” cui spetta il compito di “coordinare, attuare” e controllarne
l’applicazione “in relazione alle navi e ad uno o più impianti portuali”.
Tuttavia, stante l’esistenza di una pluralità di soggetti competenti per
l’applicazione delle misure di sicurezza, ciascuno Stato Membro dovrebbe
designare “un’unica Autorità competente responsabile, a livello nazionale,
dell’applicazione delle misure di sicurezza del trasporto marittimo”: così si
legge nel considerando 14 del Reg. 725 cit.
Quanto all’applicazione pratica
relativa alle misure comuni per migliorare la sicurezza marittima, come
predisposto dalla Convenzione SOLAS e dal codice ISPS (richiamate dall’art. 3,
reg. 725/2004), l’art. 9, numeri 4 e 5 di quest’ultimo, stabilisce che la
Commissione, in collaborazione con il “punto di contatto”, svolge ispezioni
anche a campione volte “a controllare l’attuazione del presente regolamento da
parte degli Stati Membri” servendosi di “agenti” da essa incaricati, e muniti
di “autorizzazione scritta rilasciata dai servizi della Commissione” con
indicazione della “natura e scopo dell’ispezione”.
Se
il campo di applicazione del reg. 725/2004 è circoscritto esclusivamente alla
salvaguardia della maritime security
e se l’attività di protezione marittima dell’Agenzia deve essere svolta, ai sensi
dell’art.1 del reg. 724/2004 “entro i limiti delle funzioni di cui all’art. 2,
lettera b) punto IV” che rinvia a
sua volta all’art. 9, paragrafo 4 del regolamento 725, ne discende che
l’Agenzia agisce a salvaguardia della maritime
security. Ciò appare in linea con
le finalità della complessa normativa e trova conferma in una più attenta
interpretazione delle disposizioni supra cit., nonostante qualche difficoltà esegetica determinata dall’infelice
formulazione delle norme contenute all’interno dei due regolamenti che si
richiamano vicendevolmente.
Sembra suffragare quest’ultima
soluzione l’analisi letterale dell’art. 1 del regolamento 724/2004, il quale,
ai paragrafi 1 e 2, delinea le funzioni dell’Agenzia. Tuttavia una più attenta
interpretazione della normativa può portare a differenti conclusioni. Infatti,
secondo l’art. 2, reg. 724/2004 l’Agenzia “assiste la Commissione nei lavori di
preparazione [...] della legislazione in materia di [...] protezione marittima”
(lettera a), “nell’efficace attuazione della legislazione in materia di
protezione” (lettera b); fornisce dati oggettivi, attendibili e comparabili
sulla protezione marittima (lettera f). Ed ancora gli articoli 11 e 15
dispongono che i membri del Consiglio di amministrazione e il Direttore
esecutivo devono avere provate capacità ed esperienza in materia di “protezione
marittima”. Ecco perché, l’Agenzia sembra rivestire compiti di protezione
marittima, latu sensu, senza limitazioni, in ogni fase della sua
attività, con la possibilità di un notevole ampliamento di poteri rispetto al
passato. Oggi, la maritime security è divenuta una componente
fondamentale accanto alla maritime safety dell’azione dell’EMSA.
5.2.
I compiti in tema di safety – Le modifiche apportate dal Reg.
724/2004 non hanno scalfito le originarie competenze dell’ente in tema di safety,
anzi le hanno estese anche agli “interventi contro l’inquinamento causato dalle
navi nella Comunità” (art.1). Il naufragio della Prestige ([35]) al
largo della Galizia nel novembre del 2002 ed il disastro ecologico che ha
colpito le acque europee hanno rivelato una preoccupante impreparazione da
parte delle competenti autorità marittime. Queste non sono riuscite a far
fronte ad una emergenza purtroppo ricorrente in un ampio tratto di mare, teatro,
di rovinosi sinistri della navigazione: basti ricordare, oltre al citato
affondamento della Erika, il
naufragio della Amoco Cadiz del 1978
e la drammatica scomparsa della Tito
Campanella nel 1984, solo per ricordare i casi più eclatanti ([36]).
A ciò si deve aggiungere la quasi assoluta assenza di coordinamento tra le
amministrazioni dei singoli Stati interessati (Spagna e Francia in testa),
preoccupati, per lo più, di allontanare la nave dalla costa e incapaci di
accordarsi per pianificare un programma di intervento che avrebbe quantomeno
arginato un fenomeno i cui danni si concentrano immediatamente nella zona del
sinistro per poi propagarsi, a causa delle correnti, per centinaia di miglia.
In questo contesto la Comunità, che
aveva già predisposto appropriate misure con il pacchetto Erika I e con il cit. regolamento 1406/2002, ha elaborato nuove e
più incisivi provvedimenti indirizzati sia sul versante della prevenzione, sia
su quello antinquinamento. Nel reg.
724/2004, al considerando n. 5 è
evidente la volontà della Commissione di intervenire anche a livello di
“reazione in caso in inquinamento”.
Pertanto all’Agenzia, in aggiunta alle
funzioni già attribuitile dal regolamento istitutivo, spettano ora compiti di
intervento contro l’inquinamento causato dalle navi (art.1 lett. a)
ultimo inciso); il nuovo paragrafo 3 dell’art. 1 prevede che l’ente fornisca
agli Stati Membri e alla Commissione “assistenza tecnica e scientifica” sia per
l’inquinamento accidentale, sia per quello intenzionale, elaborando misure, in
linea con le politiche volte a rafforzare il quadro comunitario di cooperazione
in tale settore e con gli accordi e le Convenzioni internazionali ([37]).
Gli strumenti comunitari esistenti in materia sono la Decisione n. 2850/2000
del Parlamento europeo e del Consiglio e la Decisione del 2001/792 Ce/Euratom ([38]).
Queste misure puntano ad incrementare le attività degli Stati Membri in caso di
incidente, a promuovere e rafforzare la cooperazione e l’assistenza reciproca.
L’attività dell’agenzia secondo il nuovo
par. 3, dell’art. 1 non si limita solo a fornire assistenza, ma anche sostenere
i meccanismi d’intervento antinquinamento con
mezzi supplementari, ferma restando la responsabilità degli stati
costieri. L’Agenzia potrebbe pertanto intervenire e disporre di mezzi pratici,
quali navi specializzate e attrezzature per la raccolta di rifiuti e di altre
sostanze nocive versate in mare. Per svolgere tali attività impiegando in modo
ottimale le risorse di cui dispone deve dotarsi di un programma di lavoro e di
un piano dettagliato per le attività di prevenzione e di intervento
antinquinamento, previa consultazione della Commissione.
L’attività di supporto e di assistenza
dell’EMSA alla Commissione, con le nuove modifiche apportate dal reg. 724/2004,
è estesa quindi a tutti le misure dirette alla tutela della safety e
della security. Se pertanto in capo ad un ente specializzato sono
concentrate le competenze di questi due settori, e se le persone che in essa
operano devono avere ampie conoscenze di entrambi - come si può dedurre
dall’art. 16 del testo inglese del regolamento modificato, secondo cui il
Direttore esecutivo deve avere comprovata esperienza in materia di maritime
security, maritime safety, prevention of pollution e response to pollution -
forse la linea di demarcazione tra queste due nozioni utilizzate dal
legislatore comunitario non può essere considerata in modo rigido e netto.
Sia la safety che la security
sono infatti predisposte a tutela della
sicurezza, un valore fondamentale da tutelare a livello internazionale,
comunitario e nazionale indipendentemente dal fatto che a metterla a rischio
siano incidenti tecnici o atti di interferenza illecita. Forse potrebbe essere
più opportuno parlare di un ente specializzato che salvaguardi la sicurezza ([39]),
intendendola secondo la valenza data dalla lingua italiana come insieme di
misure per la salvaguardia da situazioni pregiudizievoli per l’incolumità delle persone trasportate, dei loro beni e
della salvezza della nave.
* Scritto
destinato agli atti in memoria del prof. Elio FANARA.
** Dottoressa di
ricerca in diritto della navigazione, Università degli studi di Messina.
[1] Si tratta
dell’incidente della petroliera Erika spezzatasi in due il 12 dicembre
1999. Per una descrizione più dettagliata vedi infra nota 7.
[2] La Torrey
Canyon, petroliera di 120.000 tonnellate di stazza lorda di bandiera
liberiana si incagliò il 18 marzo 1967 e fu bombardata e distrutta dalla Royal Air Force su ordine del governo
britannico per incendiare il carico ed evitare ulteriori danni all’ambiente
marino. In dottrina, fra gli altri cfr. DU PONTAVICE, La pollution des mers par les hydrocarbures, Paris, 1968; SPINEDI, Problemi di diritto internazionale sollevati
dal naufragio della Torrey Canyon, in Riv.
Dir. Int. 1967, 565 ss.; v. pure IVALDI, Inquinamento marino e regole
internazionali di responsabilità, Padova, 1996, 3 ss. ove ulteriori
approfondimenti su altri grandi sinistri della navigazione. Una raccolta sugli
incidenti marittimi verificatisi in tutto il mondo durante gli ultimi
quarant’anni, con indicazione del nome della nave, della bandiera, della
tipologia del carico trasportato, ed altri dati, completata da un breve
riassunto dei fatti, può leggersi in HOOKE, Maritime Casualities, second
Edition, 1963-1996, LLP, London, Hong Kong, 1997, cui si rinvia
anche per altri sinistri della navigazione.
[3] La prima, acronimo di Civil Liability Convention è l’International
Convention on civil Liability for oil Pollution Damage del 29 novembre
1969, in vigore dal 19 giugno 1975; la seconda acronimo di Fund for
Compensation for oil Pollution Damage, del 18 dicembre 1971, in vigore dal
16 ottobre 1978.
[4] La MARPOL è stata modificata dal protocollo di
Londra del 17 febbraio 1978. Numerosi emendamenti successivi sono in vigore per
accettazione tacita (così LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE, TULLIO, Manuale di
Diritto della navigazione, Milano, 2004, 32); un ulteriore Protocollo è
stato aggiornato il 26 settembre 1997. Gli emendamenti ed annessi possono leggersi nel sito
www.imo.org/Conventions/contents. In dottrina v. amplius GRIGOLI, Il
problema della sicurezza nella sfera nautica, t. I, Milano, 1989, 9 ss.
[5] Comunicazione della Commissione del 24 febbraio 1993, COM (93) 66 def.
[6] Acronimo
di International Maritime Organization,
è un istituto delle Nazioni Unite specializzato in questioni marittime il cui
obiettivo è quello di facilitare la cooperazione tra i governi di tutto il
mondo al fine di ottenere più elevati standard di sicurezza e di efficienza
nella navigazione marittima. Sulle funzioni dell’IMO cfr.: EVANS, Organizzazione marittima internazionale
(IMO), in Enc. Giur. Treccani, Roma, XXII, 1990. Secondo LIBRANDO, Le misure adottate
dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) sulla sicurezza delle
infrastrutture portuali, in AA.VV. (a cura di Fanara), Le grandi opere
infrastrutturali, il territorio e lo sviluppo sostenibile: Il Ponte
sullo Stretto di Messina, Atti del Convegno di Acireale (CT), 25-29 agosto
2003, in Collana delle ricerche
del Cust, Vol. 22, Messina, 2004,
310, è impossibile che una nave in attività commerciale su rotte internazionali
non osservi gli standard dell’IMO sotto i cui auspici “sono state adottate
oltre 40 convenzioni, quasi tutte in vigore [...] costantemente aggiornate
e selezionate”. Sull’attività dell’IMO in particolare, ID, I primi trent’anni dell’attività dell’IMO, in
Dir. Trasp. II/1990, 127; ZUNARELLI, Il Legal Committee dell'IMO e i lavori per l'unificazione del diritto
marittimo, in Dir. Mar., 1999, 252-259. Per approfondimenti ed
aggiornamenti sulle varie iniziative e sui lavori in corso in sede IMO è
possibile consultare il sito internet www.imo.org.
[7] Nave
monoscafo di 25 anni, noleggiata dalla Total
- Fina, con un carico di 30.000 tonnellate di olio combustibile pesante,
era partita da Dunkerque e diretta a Livorno quando, il 10 dicembre 1999, in
prossimità della zona di separazione del traffico di Ushant, cominciava ad
inclinarsi (probabilmente a causa di una fuoriuscita di greggio nella cisterna
di zavorra), al punto da indurre il comandante a cambiare rotta per rifugiarsi
nel porto petrolifero francese di Donges. Il giorno successivo, nel ponte
principale, cominciavano ad apparire varie fenditure nella carena che facevano
aumentare lo sbandamento, aggravato dalle pessime condizioni meteomarine. Il 12
dicembre la situazione era disperata e, alle prime luci dell’alba, iniziavano
le operazioni di evacuazione dell’equipaggio. A distanza di poche ore la nave
si spezzava in due tronconi, inabissandosi, il 14 dicembre, 40 miglia a sud
della punta della Bretagna, riversavando in mare più di 10.000 tonnellate di
olio pesante lungo centinaia di chilometri su un litorale di rinomato valore
naturalistico, con conseguenze catastrofiche per l’economia e per l’ambiente
rivierasco. Le fasi del naufragio possono leggersi nell’allegato 1-A della
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 21
marzo 2000 (COM (2000) 142 def.).
[8] I
provvedimenti contenuti all’interno del Pacchetto Erika I tendono a
regolamentare in modo più aderente alle esigenze di salvaguardia dell’ambiente
la complessa materia, e in genere, sono analizzati dalla dottrina insieme alle
proposte contenute nel Pacchetto Erika II. Per la bibliografia sia
sull’uno che sull’altro Pacchetto Erika si rinvia infra alla nota 13.
[9] Direttiva
2001/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001 che
modifica la direttiva 94/57/CE del Consiglio, del 22 novembre 1994, relativa
alle “disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano ispezioni
e visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle
amministrazioni marittime”. É interessante ricordare che la Erika era già stata
certificata con esito positivo dal RINA (in dottrina ampiamente OYA ÖZÇAYIR, Port
State control, LLP, London, Hong Kong, 2001, 240-265) che non era stato
informato sui gravi difetti strutturali “riscontrati dalle altre società di
classificazione [...] su navi gemelle”: così COMENALE PINTO, La
responsabilità delle società di classificazione delle navi, in Dir. Mar.
2003, 4-41 (spec. 11 s., testo e note), cui si rinvia per
approfondimenti ed aggiornamenti di dottrina e giurisprudenza.
[10] Direttiva
2001/106/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001 che
modifica la Direttiva 95/21 del Consiglio relativa all’attuazione di norme
internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e
le condizioni di vita e di lavoro a
bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle
acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo).
[11] Le navi
più volte fermate nei porti europei perché ritenute substandard ed inserite nella “black list” sono 66 (di cui ben 26
turche) per 13 diverse bandiere. Lo scopo è quello di scoraggiare gli operatori
del trasporto a servirsi di navi il cui potenziale distruttivo non può essere
ignorato. L’iniziativa è quanto mai opportuna: infatti il trasporto cisterniero
nei mari della Comunità è in forte espansione per la crescita della domanda di
greggio ed altri derivati del petrolio indispensabili fonti di energia per le
industrie e veicoli di ogni tipo, ma altamente inquinanti. La tabella, completa
con nome, età, tipologia, parametri di rischio delle navi, è pubblicata in COM
2002/681 def., e può leggersi anche in AA.VV. (a cura di Ciciriello), La protezione del mare Mediterraneo
dall’inquinamento, in Atti della
Tavola Rotonda di Napoli, del 23 gennaio 2003, Napoli (editoriale
scientifica), 2003, 281.
[12] Nelle
petroliere monoscafo una lamiera sul fondo e sui fianchi della nave separa il
greggio dall’acqua; se durante la navigazione la placca viene danneggiata il
contenuto della cisterna si sversa direttamente in mare. Al fine di ridurre il
rischio da inquinamento, la Convenzione Marpol ha imposto, a partire dal luglio
1996, la costruzione di più sicure petroliere a doppio scafo: in dottrina v.
GRIGOLI, Profili di diritto dei trasporti
alla luce dell’attuale realtà
normativa, Bologna, 2003, 173 ss. In queste navi è applicato, intorno alla
cisterna di carico, un secondo rivestimento esterno: la fuoriuscita di liquidi
si potrà verificare solo in caso di rottura di entrambe le lastre. Le doppio
scafo sono certamente più sicure ma non immuni da rischi, come ha dimostrato il
caso della nave greca Aegen Sea,
incagliatasi il 3 dicembre 2002 nel porto di La Coruňa con un carico di
circa 80 mila tonnellate di greggio finito in mare a seguito dell’urto che
faceva incendiare il liquido infiammabile provocando l’esplosione della
petroliera. Per un breve resoconto dell’incidente e per i dettagli tecnici
(completi di sezioni trasversali delle petroliere di nuova concezione) v.,
rispettivamente, allegato 1-A e 1-B della Comunicazione
della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio in materia di sicurezza
marittima del trasporto di idrocarburi, COM (2000) 142 def. del 21 marzo
2000. Dopo l’incidente della Exxon
Valdez, naufragata in Alaska nel 1989, gli Stati Uniti hanno adottato, nel
1990 l’Oil Pollution Act. La legge
statunitense prevede una disciplina più rigorosa rispetto a quella dettata
dalle convenzioni internazionali e, attraverso disposizioni vincolanti, ha
imposto il più affidabile doppio scafo sia alle petroliere di nuova costruzione
sia a quelle già esistenti. Poiché la spesa per la trasformazione di una
monoscafo supera il costo di una nave nuova, gli USA hanno sostanzialmente
bandito dalle loro acque le petroliere di vecchia concezione. Per una più
efficace salvaguardia del mare e delle coste e per evitare che le navi
“scacciate” dai porti americani si riversino in quelli europei, l’U.E. ha
accelerato le procedure per la sostituzione delle monoscafo. Secondo la
Commissione, infatti, l’utilizzo delle doppio scafo “sarà obbligatorio nella
maggior parte delle classi petroliere dal 2010” (COM (2000) 802 def.).
Sull’evoluzione della disciplina v. BERLINGIERI, Accelerazione del programma di “phasing out” delle navi cisterna a
scafo singolo e limitazioni all’accesso ai porti delle navi a scafo singolo che
trasportano idrocarburi pesanti, in
Dir. Mar. 2004, 1183 ss.; COMENALE PINTO, Contro il rischio da
inquinamento da idrocarburi: il doppio scafo, in Giust. Civ., II,
2005, 161 ss.
[13] V. la
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio del 6
dicembre 2000 (COM (2000) 802 def.). Sui pacchetti Erika I ed Erika II, la
bibliografia è particolarmente ampia. In materia v., tra gli altri, FANARA, Relazione introduttiva, in AA.VV.,
Atti del convegno di Acireale, (27-31 agosto 2001), Mare, porti e reti infrastrutturali: per una nuova politica dei
trasporti, in Collana ricerche del
CUST, vol. 20, Messina, 2001, 9-16; AA.VV. (a cura di Ciciriello), La protezione del mare Mediterraneo,
cit., 281-285; TURCO BULGHERINI, L’integrazione
nel sistema dei trasporti: tendenze evolutive e servizi coinvolti. Aspetti
della navigazione marittima ed aerea, in AA.VV. (a cura di Xerri), Trasporti e globalizzazione: materiali per
una ricerca, Cagliari (ISDT), 2004, 99 ss., spec. 118-122.
[14] Cfr. la
Dir. 93/75/CEE, cosiddetta Hazmat (da Hazardous Materials), del
13 settembre 1993 “Relativa alle condizioni minime necessarie per le navi
dirette ai porti marittimi della Comunità o che ne escono e che trasportano
merci pericolose o inquinanti”. In dottrina cfr. GRIGOLI, La nuova realtà del diritto della navigazione, Bologna, 1999, 631
ss.
[15] Relativa
all’istituzione di un sistema di monitoraggio del traffico navale e
d’informazione, che abroga la direttiva 93/75 CEE del Consiglio, cit. nella
nota precedente.
[16] Vedi retro
la nota 14.
[17] La
Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 CLC regola la responsabilità per
inquinamento marino da idrocarburi e si applica ai danni arrecati sul
territorio di uno Stato contraente, da sversamenti provocati da navi, escluse
quelle da guerra e di Stato utilizzate per servizi non commerciali. Secondo
ARROYO, Problemi giuridici relativi alla
sicurezza della navigazione marittima (con particolare riferimento al caso Prestige), in Dir. Mar. 2003, 1198 s., l’attuale sistema risarcitorio si dimostra
insoddisfacente per il fatto che la responsabilità, oggettiva, grava sul
proprietario e non sul soggetto (armatore, noleggiatore) che crea il rischio e
si avvantaggia dell’utilizzo della nave. Ecco perché, in una diversa
prospettiva più aderente alle attuali esigenze della protezione dell’ambiente,
è auspicabile, da un lato un sistema di incentivi “premiante” per gli operatori
del trasporto dimostratisi capaci di migliorare le condizioni di sicurezza,
dall’altro il “ritorno” al tradizionale e più incisivo criterio della colpa. Sul tema vedi pure VIALARD, Faut-il réformer le régime d’indemnisation des dommages de pollution
par hydrocarbures, in D. M. F. 2003,
435 ss. Si è inoltre osservato come non vengano adeguatamente
tutelate le aspettative dei danneggiati dalle “maree nere” di grandi
dimensioni, risarciti più tardi e meno delle vittime di un incidente di minore
portata, a cagione della complessità del meccanismo procedurale e della
esiguità del plafond previsto dalla legge uniforme (CLC e FUND).
Infatti, se il danno non è risarcibile o l’entità supera il limite massimo
stabilito, ovvero l’assicurazione o altra garanzia finanziaria si rivelino
incapienti, interviene la Convenzione di Bruxelles FUND del 18 dicembre 1971
(cosiddetta IFC, FC, o IOPC) istitutiva di un Fondo internazionale per il
risarcimento dei danni da inquinamento causato da idrocarburi. Si tratta di un plafond finanziato con contributi degli
interessati ai carichi: in dottrina v. COMENALE PINTO, La responsabilità per inquinamento da idrocarburi nel sistema della
C.L.C. 1969, Padova, 1993, passim.; CAMARDA,
Convenzione “Salvage 1989” e ambiente
marino, Milano, 1992, 58-71. Tuttavia, poiché i massimali della CLC e FUND
possono rivelarsi insufficienti (infatti i danni della Prestige si aggirano, secondo quanto riferito da ARROYO, Problemi, cit., 1217, intorno a mille
milioni di euro) la Commissione ha previsto, nel Pacchetto Erika II, la
creazione di un Fondo di indennizzo supplementare per risarcimenti ulteriori,
sfociato nella proposta di decisione del Consiglio COM (2003) 534 def.; v. infra, nel testo e la nota successiva.
Sulla petroliera Prestige cfr. la nota 35.
[18] Sui rapporti
tra queste due Convenzioni e il COPE, in dottrina v. COMENALE PINTO, Il meccanismo dei fondi e la proposta di
istituzione di un fondo europeo di terzo livello, in AA.VV. (a cura di Zanelli), Inquinamento
del mare e sicurezza della navigazione, Atti del Convegno di Santa
Severina, 14-15 giugno 2002, Napoli, 2004, 125 ss. Quanto all’importo
complessivo del COPE, questo è limitato per ogni singolo incidente e non può
superare il tetto di un miliardo di euro; se le domande di risarcimento accolte
superano questa cifra, essa verrà suddivisa, proporzionalmente, in parti
uguali. Il risarcimento addizionale del nuovo Fondo ha un precedente nel campo
della navigazione aerea: infatti l’art. 35A della Convenzione di Varsavia,
introdotto con l’art. XIV del Protocollo di Guatemala dell’08 marzo 1971 (cfr.
FANARA, Le assicurazioni aeronautiche, Reggio
Calabria, 1976, 366) prevedeva la possibilità di istituire un sistema di
risarcimento complementare. Questo, senza modificare i criteri di
responsabilità previsti dalla legge uniforme, offriva l’opportunità ai
passeggeri che avessero pagato un sovrapprezzo sul costo del biglietto, di
avvantaggiarsi di un più elevato tetto risarcitorio rispetto ai massimali
previsti dall’art. 22 della Convenzione di Varsavia. Negli USA è stato proposto
il Supplemental Compensation Plan che non è mai entrato in vigore per
l’opposizione della potente lobby degli
avvocati americani; in dottrina v. LA TORRE, Il risarcimento “complementare” nel trasporto aereo di persone: il
piano statunitense del 1990, in Dir.
Trasp. 1992, 70 ss. Per “dissuadere l’iniziativa unilaterale dell’Unione
Europea”, ossia il Fondo COPE, in sede IMO si è proposta la costituzione di un
Fondo integrativo complementare a CLC e FUND: COMENALE PINTO, op.ult. cit.,
134.
[19] L’attacco
al World Trade Center non ha precedenti nella storia dell’umanità ed ha
aperto un nuovo scenario sia per la tipologia utilizzata, aeromobili civili
trasformati in ordigni di distruzione di massa, sia per le dimensioni globali
dell’accaduto, di portata tale, da incidere sulle infrastrutture del trasporto
del mondo intero. Gli attentati terroristici vengono perpetrati da
organizzazioni politiche e/o criminali che talvolta si servono di comuni mezzi
di trasporto come contenitori di esplosivo: tipico il caso dell’autovettura
parcheggiata sul luogo del delitto e fatta scoppiare con un comando a distanza;
altre volte il veicolo viene utilizzato come proiettile scagliato contro il
bersaglio da attentatori suicidi. Assai diversi rispetto agli attentati con autobomba
sono i sequestri di aeromobili. Le organizzazioni terroristiche, infatti, hanno
ritenuto il dirottamento del mezzo aereo generalmente accompagnato da
rivendicazioni politiche, come ad esempio il rilascio di territori occupati,
richieste di liberazione di prigionieri in cambio della vita dei passeggeri
ecc., più destabilizzante sotto il profilo sociale, soprattutto quando si
conclude con la distruzione del mezzo e con la morte di tutte le persone a
bordo. A differenza dell’autobomba, che ha già prodotto il suo effetto quando
la notizia viene diffusa, il dirottamento aereo si pone su un piano mediatico
diverso poiché crea uno stato di apprensione prolungato nel tempo e dilatato
nello spazio, in considerazione della capacità dell’aeromobile di ospitare al
suo interno persone (equipaggio, passeggeri) talvolta di diversa nazionalità e
di spostarsi in tempi brevi coprendo grandi distanze. Il fine del dirottamento
è quello di mettere in luce “l’impotenza delle autorità governative ed alienare
a queste il consenso della popolazione”: (PANZERA, Terrorismo (Dir. Intern.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 371, cui si rinvia per ulteriori
approfondimenti e richiami di dottrina). L’11 settembre non ha nulla a che
vedere con il terrorismo eversivo “classico” dei movimenti di liberazione
nazionale. Si tratta di un vero e proprio atto di guerra che vede, quali parti
contrapposte, “non più Stati contro Stati, eserciti regolari […] contro altri
eserciti o […] contro guerriglieri”, ma una rete internazionale del terrore, un
nemico elusivo ed intangibile che si materializza improvvisamente “contro
inermi cittadini con l’intento di esercitare una pressione psicologica tale da
indurre allo scoramento, alla rassegnazione o alla rivolta la pubblica
opinione”: così CECCHINI in Terrorismo, tolleranza e diritto internazionale,
in Riv. Cooperazione Giur. Internaz. 2002, 10. L’A. osserva
come l’attacco al Word Trade Center ed al Pentagono, simboli
rispettivamente della supremazia economica e militare del Paese più
potente del mondo, segna la fine di un’epoca e scuote dalle fondamenta i
principi del diritto internazionale. In questa inquietante prospettiva il
terrorismo non è più solo metodo di lotta armata ma di contrapposizione
ideologica, che accomuna gli attentatori delle Twin Towers alle SS. alla
Gestapo ed al KGB per i quali “la vita umana non aveva alcun valore e la morte
dell’avversario era solo la fine di un sé” (ivi 9 s).
[20] I
provvedimenti per far fronte al rischio di attentati sono stati adottati
nell’ambito del trasporto aereo, il primo a palesare la vulnerabilità del
sistema. Gli Stati Uniti hanno adottato, nell’immediato, speciali misure, in
talune ipotesi addirittura discriminatorie nei confronti di soggetti
potenzialmente pericolosi a cagione della loro origine arabo-mussulmana, in
seguito opportunamente rivedute e corrette nell’Aviation And Transportation
Security Act (ATSA) del 19 novembre 2001. A livello comunitario sono stati
emanati il reg. CE 1592/02 del 15 luglio 2002 “recante regole comuni nel
settore dell’aviazione civile e che istituisce un’agenzia europea per la
sicurezza aerea” e il reg. 2320/02 del 16 dicembre 2002 “che predispone norme
per la sicurezza dell’aviazione civile”. Sul punto cfr. DEMPSEY, Airline
& Airport, cit.. Vedi pure LA TORRE, Obblighi e responsabilità del controllore della sicurezza, in
AA.VV. (a cura di Deiana), Aeroporti e
responsabilità, Atti del Convegno di Cagliari, 24-25 ottobre 2003, Cagliari
(ISDIT); FRANCHI, Le inchieste aeronautiche, Milano, 2004; PELLEGRINO, Sicurezza
a prevenzione degli incidenti aeronautici, Milano, 2005, 251; SCIACCHITANO,
Profili organizzatori dell’European Aviation Safety Agency (EASA), in
AA.VV. (a cura di Franchi), La sicurezza del volo nell’ordinamento interno
ed in quello internazionale, Atti del convegno di Modena, 28-29 giugno 2002,
Milano, 2005, 141 ss.; GESTRI, Le competenze decisionali delle
EASA, nell’ordinamento comunitario, ibidem, 151 ss.; SOLOCKI,
CARTIER, Continuing airworthiness, in
the Framework of the Transition from the Joint Aviation Autorithies to the
European Aviation Agency, in Air and Space Law, 2003,
311 ss.; MASUTTI, Il diritto aeronautico, lezioni, casi e materiali,
Torino, 2004, 46-50.
[21] Le prime minacce contro la sicurezza delle navi, dei passeggeri e degli equipaggi risalgono ai primi anni ’60, con il sequestro della Santa Maria del 1961 e dell’Anzoategui del 1963, cui accenna BOISSON, op. loc. cit. In seguito, l’impossessamento del transatlantico italiano Achille Lauro dell’8 ottobre 1985 (in dottrina CASSESE, Il caso Achille Lauro, Roma, 1987; RONZITTI, Alcuni problemi giuridici sollevati dal dirottamento dell’”Achille Lauro”, in Riv. Dir. Internaz. 1985, 584 ss.) ha preceduto di qualche anno il dirottamento del City of Poros del 1988 (per qualche approfondimento LUCCHINI, VOELCKEL, Droit de la mer, vol. 2, t.II, Paris, 1996, 168 s.). Elemento tipico dell’atto di pirateria, ai sensi dell’art. 15 Conv. Ginevra sull’alto mare del 1958 e dell’art. 101 Conv. Montego Bay del 1982, è il fine di lucro ovvero lo scopo privato o personale. Non può considerarsi tale il sequestro dell’Achille Lauro, essendo i terroristi già imbarcati come passeggeri “non potendosi ravvisare un attacco di questi da altra nave”, elemento indispensabile per la qualificazione del fatto come atto di pirateria, cfr. PANZERA, Terrorismo, cit., 373. A fronte di questi attentati contro la sicurezza della navigazione, su iniziativa dell’IMO, sono stati adottati il 10 marzo 1988 la Convenzione di Roma sulla repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e il Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate nella piattaforma continentale (Convenzione e Protocollo SUA, entrati in vigore nel 1992). A parte i casi di sequestro di nave, cui abbiamo accennato, il problema della pirateria non deve essere sottova
ato. Secondo
fonti IMO solo nel 2002 i casi accertati sono circa 480 in tutto il mondo, una
cifra preoccupante se paragonata ai circa 60 casi del 1983. Sulle iniziative
adottate dall’IMO dopo l’11 settembre cfr. LIBRANDO, L’Organizzazione marittima internazionale e le iniziative allo studio a
seguito degli attentati dell’11 settembre, in AA.VV. (a cura di Fanara), Atti del Convegno di Acireale (26-30
agosto 2002), Politiche europee delle
infrastrutture dei trasporti e sviluppo del Mezzogiorno, in Collana
ricerche del CUST, vol. 21 Messina, 2003, 453 e ss. V. pure, per altri
riferimenti, TELLARINI, Relazione al
Convegno di Bologna (7 aprile 2003) sul tema “Security e trasporto
marittimo”, in Dir. Mar., 2003,
676 ss; ID., La normativa adottata in sede IMO in materia di security
marittima, ivi 2003, 1102 ss., spec. 1105-1107.
[22] Alle
misure di protezione per il trasporto marittimo e gli impianti portuali alla
luce della nuova normativa è dedicato il volume AA.VV., Progetto STIMA, Seminario Internazionale Codice ISPS, Livorno,
2004. Per aggiornamenti si può anche consultare il sito www.stima.org. Le
articolate procedure del codice ISPS sono riassunte da LIBRANDO, Le misure,
cit., 314 ss. Secondo questo A. nel mondo si devono certificare circa 40.000
fra navi ed unità mobili di perforazione, oltre a 20.000 porti e 60.000
terminal, oltre a ben 300.000 specialisti da formare in materia di security.
In argomento v. BOISSON, op. cit., 723 il quale nutre seri dubbi circa
la concreta operatività del codice in tempi brevi, stante la difficoltà di
rendere funzionale un progetto così costoso e tale da richiedere il controllo
di “55.000 navires et les 15.000 ports concernés ainsi que pour former quelques
75.000 agents de sécurité”.
[23] Tra cui la
Container Security Iniziative, (CSI)
per la quale si rinvia al commento contenuto spec. nel par. 2.5 della
Comunicazione della Commissione 2003/229 def. Per un sintetico quadro sui
provvedimenti adottati per la sicurezza della navigazione marittima in Europa e
negli Stati Uniti v. LIBRANDO, Le misure, cit. 309-322. Sui rapporti tra
il Maritime Security Act (MTSA) ed il Codice ISPS, circa gli obblighi
degli armatori stranieri di attenersi alle disposizioni stabilite dal primo, si
rinvia allo studio di Holland & Knight (a cura di), L’applicazione del Maritime
Transportation Security Act degli Stati Uniti agli armatori stranieri,
pubblicato in Dir. Mar. 2003, nella rubrica Notiziario, 1594 ss.
[24] Cfr.
rispettivamente COM (95) 691 def. del 20 dicembre 1995 e COM (2001) 370 del 12 settembre 2001, La politica europea dei trasporti fino al
2010. Questo tratta diffusamente del trasporto marittimo, sia come modalità
alternativa al gommato, sia in una prospettiva volta ad integrare le singole
modalità per un trasporto meno costoso (sia in termini di costi esterni che
interni) e più efficiente. Specialmente nella parte IV, sulla “Mondializzazione
dei trasporti”, I, lett. c, dal titolo “Una nuova dimensione della sicurezza”, il
testo, in considerazione dell’imminente allargamento dell’Unione ad altri
Paesi, riassume le proposte della Commissione, orientate ora al rafforzamento
del controllo delle navi da parte degli Stati di approdo, ora al graduale
ritiro delle petroliere monoscafo, ora alla creazione di un sistema di
risarcimento addizionale (ossia complementare rispetto alle convenzioni di
Bruxelles del 1969 e del 1971), ed infine, alla creazione di una Agenzia di
sicurezza marittima. Le problematiche del Libro Bianco hanno formato oggetto di
un Convegno, svoltosi ad Acireale (CT) il 27- 31 agosto 2001, i cui atti sono
raccolti in Mare, porti e reti infrastrutturali, cit. Nel volume si segnalano le relazioni di
PEDERSEN, Seaports, Maritime Infrastructures and their Integration into the
Multimodal Trans-European Netwoks, 21 ss. e BERGOT, Lo
spazio europeo per la sicurezza marittima: dall’ISM CODE al Pacchetto
Erika II, 329 ss.
[25] Per
un’approfondita distinzione tra safety e
security: v. amplius PELLEGRINO,
La definizione di sicurezza aerea, in
AA.VV. (a cura di Deiana), Aeroporti e
responsabilità, Atti del Convegno di Cagliari, 24-25 ottobre 2003, Cagliari
(ISDIT), 2005, 171 ss. Anche la lingua francese
distingue tra sécurité e sûreté: per qualche cenno cfr. BOISSON, La sûreté des navires et la prévention des actes de terrorisme dans le
domaine maritime, in D.M.F. 2003,
723.
[26] Il modello
utilizzato dell’Agenzia è stato concepito dalla Comunità europea nei primi anni
‘70, ed è stato impiegato, con maggiore frequenza, a partire dagli anni ’90. Si
tratta di organi, provvisti di personalità giuridica e dotati di un certo grado
di autonomia, la cui funzione è volta a fare fronte a compiti specialistici di
natura tecnica e scientifica per lo più connessi al lavoro della Commissione.
La loro istituzione ha dato luogo ad un ampio dibattito dottrinale e
giurisprudenziale circa la possibilità o meno da parte degli organi
istituzionali della Comunità europea di delegare poteri ad organismi terzi. Ad
una prima lettura del Trattato istitutivo CE, che individua attribuzioni,
funzioni e compiti delle istituzioni comunitarie, non appare contemplata la
creazione di nuovi organismi, quali sono appunto le agenzie. Questa
interpretazione restrittiva è stata in parte superata dalla pronuncia della Corte
di Giustizia del 13 giugno 1958 (causa 9/56, impresa Meroni et co., industrie
metallurgiche S.p.A., c. Alta Autorità, in Raccolta, 11 ss.), che ha
considerato legittima l’istituzione di nuovi organi a condizione che svolgano
compiti limitati e siano sottoposti a controlli. D’altronde la previsione
contenuta nell’art. 234 del Trattato CE, ove è previsto che la Corte di
Giustizia deve interpretare gli statuti degli organismi comunitari istituiti
con atti del Consiglio, rafforza la tesi della possibilità di dar “vita” in
seno alla Comunità, a nuovi organismi. Per un approfondimento sul tema delle
agenzie europee cfr. KREHER, MARTINES, Le “agenzie” della Comunità Europea:
un approccio nuovo per l’integrazione amministrativa?, in Riv. It. Dir.
Pubbl. Com., 1996, 97; FRANCHINI, Le relazioni tra le Agenzie europee e
le autorità amministrative nazionali, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Com.,
1997,15. Per qualche cenno sulla struttura di organismi comunitari in tema di
trasporti vedi pure POZZI, L’Agenzia europea per la sicurezza aerea, in
AA.VV., Il nuovo diritto aeronautico in ricordo di Gabriele Silingardi,
Milano, 2002, 91.
[27] Il Reg.
1406/2002 è stato modificato una prima volta il 22 luglio 2003 dal Reg. n.
1644/2003. Si tratta di un intervento mirato ad armonizzare la disciplina
istitutiva dell’Agenzia Europea con il Reg. 1605/2002, che individua il
regolamento finanziario applicabile al bilancio della Comunità Europea, e con
il reg. 1049/2001, che disciplina i princìpi e i limiti dell’esercizio del
diritto di accesso al pubblico dei documenti comunitari.
[28] Nominato
all’unanimità nel gennaio 2003 dal Consiglio di amministrazione, attuale
direttore esecutivo è l’olandese Williem De Ruiter, esperto del settore e
responsabile dell’Unità G2 (sicurezza marittima) della Direzione Generale
Energia e Trasporti.
[29] Il
programma di lavoro, ai sensi dell’art. 10, lett. d), viene adottato dal
Consiglio di amministrazione entro il 31 ottobre di ogni anno, e, previo parere
favorevole della Commissione, è trasmesso agli Stati membri, al Parlamento
europeo, al Consiglio e alla Commissione. Il recente regolamento 2004/724 ha
apportato modifiche al regolamento istitutivo dell’Agenzia, ed ha, fra l’altro,
spostato al 30 novembre 2004 il termine entro cui deve essere ricevuto il programma
di lavoro. Ha inoltre introdotto una nuova disposizione, lett. k), secondo cui
il Consiglio riceve un “programma di lavoro e il piano dettagliato per le
attività di prevenzione e di intervento antinquinamento per garantire l’impiego
ottimale delle risorse finanziarie di cui l’Agenzia dispone”.
[30] Nella
nuova formulazione, così come modificata dal regolamento Reg. CE 724/2004,
l’art. 1 dispone che l’Agenzia deve “assicurare un livello elevato, uniforme ed
efficace di sicurezza marittima, di protezione marittima, di prevenzione
dell’inquinamento e di intervento contro l’inquinamento”.
[31] Per un
quadro periodicamente aggiornato sull’attività dell’EMSA, acronimo di European
Maritime Safety Agency, è possibile consultare il sito internet
www.emsa.eu.int.
[32] L’ultimo
grave sinistro della navigazione marittima si è verificato il 9 dicembre 2004,
quando il cargo malaysiano Selendang Ayu, di 40 mila tonnellate
di stazza lorda e 225 metri di lunghezza ha urtato contro uno scoglio
dell’arcipelago delle isole Aleutine, a sud-ovest dell’Alaska e a circa a 13000
chilometri da Prince Williams, ove si è incagliata la Exxon Valdez. La
nave malese, prima di colare a picco, ha rilasciato gran parte dei due milioni
di litri di carburante contenuto nei serbatoi in una zona di particolare pregio
sotto il profilo ambientale, ove vivono specie animali, come i leoni marini e
le foche, in via di estinzione o in calo di popolazione. Durante i soccorsi,
resi difficili dalle avverse condizioni meteomarine ed operati con l’ausilio di
un elicottero della guardia costiera che precipitava in mare, perdevano la vita
6 membri dell’equipaggio, morti per assideramento nelle gelide acque del mare
di Bering, mentre i superstiti venivano tratti in salvo dall’intervento di un secondo elicottero. Per qualche notizia sul naufragio possono consultarsi i siti internet:
www.marinacivil.com/articulos; www.rainews24.it/ran24; www.legambiente.com.
[33] Secondo
tali disposizioni la sicurezza deve essere integrata in tutte le fasi del
trasporto marittimo, sia quelle della navigazione strictu sensu, sia quelle che comportano il movimento di persone,
merci, fornitura di servizi portuali verso o dalla nave. Il Reg. 725/2004
prevede obblighi specifici in materia di amministrazione, controllo e
predisposizione delle misure necessarie per la tutela da “azioni illecite
intenzionali” e determina a tal fine la predisposizione di un piano di
sicurezza. Questo è una sorta di programma elaborato preventivamente ed
opportunamente diversificato per differenti navi, porti ed infrastrutture
portuali; esso ne individua i punti deboli, adeguate misure di difesa ed è
volto a prevenire e/o a far fronte ad eventuali attentati contro la sicurezza.
[34] Secondo
BOISSON, La surété des navires, cit., uno Stato può
designare un organismo di sicurezza riconosciuto il quale valuta la conformità
della sicurezza del porto, della nave e delle installazioni portuali al codice
ISPS, eventualmente assistendo nave e porto per l’elaborazione del relativo
piano: in quest’ultima ipotesi non può certificare il piano che ha contribuito
a preparare. Le società di classificazione si sono fatte carico di formare
personale specializzato pubblicando regole di interpretazione allo scopo di
mettere in pratica le complesse procedure del codice.
[35] Petroliera
a scafo unico (con equipaggio di quasi trenta unità, quasi tutte di nazionalità
filippina, delle quali ventiquattro arruolate il giorno precedente alla prima
avaria della nave), battente bandiera delle Bahamas, con un carico di 77.000
tonnellate di combustibile pesante, il 13 novembre 2002, in avaria al largo della costa ovest
della Galizia, è affondata, dopo una settimana di “agonia”, il 19 novembre,
spandendo una marea nera di enormi proporzioni, con ripercussioni rovinose per
l’ambiente e per l’economia costiera. Assolutamente inutili e forse
controproducenti si sono rivelate le operazioni di rimorchio, volte spostare la
nave lontano dalla costa. Restano incerte le cause dello spandimento del
greggio, e non si può escludere che le manovre di allontanamento della Prestige a mezzo rimorchiatori abbiano
peggiorato i danni alla chiglia, contribuendo ad un maggior versamento di
idrocarburi in mare. Non si escludono neanche responsabilità a carico della
competente Autorità marittima spagnola, per non avere indicato un “porto
rifugio” o un approdo per il travaso del greggio. Sul punto v. ARROYO, Problemi giuridici, cit., 1193 ss.;
AA.VV. (a cura di Montebello e Miccichè), La
sicurezza in mare: interrogativi urgenti e proposte dopo il caso Prestige,
Atti del seminario internazionale (Palermo, 15 marzo 2003), Palermo, 2004,
secondo cui “le stime più ragionevoli collocano il danno economico della Prestige intorno ai mille milioni di
euro”, compresi ben venti milioni di euro per l’estrazione dell’olio
combustibile rimasto all’interno del relitto ad oltre 2500 metri di profondità
(ivi, 1217). Per un’analisi dei
disastri della Prestige e dell’Erika cfr. pure BULHER, Les marées noires, prévention et réparation,
in D.M.F. 2003, 417 e ss.; v. pure
AA.VV. (a cura di Montebello e Miccichè), La
sicurezza in mare: interrogativi urgenti e proposte dopo il caso Prestige,
Atti del seminario internazionale (Palermo, 15 marzo 2003), Palermo, 2004.
[36] Un quadro
sinottico con indicazione del nome della nave, data, bandiera, quantità e
qualità del liquido sversato nei mari della Comunità è pubblicato nell’Allegato
1-A della Comunicazione COM 2000/142 def. Eppure nessun incidente può essere
paragonato, quanto a danni ambientali e greggio finito in mare (ben 230 mila
tonnellate), al sinistro della superpetroliera liberiana Amoco Cadiz, inabissatasi a largo della Bretagna il 17 marzo 1978,
dopo essersi spezzata in due tronconi mentre si tentava di rimorchiarla dopo
l’incaglio, cagionato da un’avaria meccanica che rendeva ingovernabile la nave.
Questa, costruita nel prestigioso cantiere navale Astilleros Espaňoles di
Cadice, presentava vizi di progettazione e di costruzione e versava in pessime
condizioni di manutenzione: PFENNIGSTORF, <<Amoco Cadiz>>,
davanti al giudice: 10 anni e nulla di concluso, in Ass. 1988, I,
333 ss. L’incalcolabile pregiudizio economico ed ambientale per le coste
bretoni sollevava le vivaci proteste del governo francese, impossibilitato ad
intervenire perché tardivamente informato. Gli “inammissibili ritardi” nelle
operazioni di soccorso si fanno risalire al “patteggiamento del compenso tra il
comandante della nave in pericolo e quello del rimorchiatore [...] che aveva
offerto i suoi servigi”: così RIZZO, La
nuova disciplina del soccorso in acqua e il codice della navigazione,
Napoli, 1996, 22 ss., cui si rinvia per approfondimenti. Secondo questo A. il
caso Amoco Cadiz “offrì l’occasione
per rimeditare l’idoneità degli strumenti normativi a disposizione degli
Stati”, con particolare attenzione alla tesi sostenuta dalla Francia, che
propugnava “un rafforzamento dei poteri di intervento dello Stato costiero alle
cui istruzioni sia la nave soccorsa che il soccorritore si sarebbero dovuti
conformare” (ivi 22, s). L’esistenza di una struttura altamente specializzata per
il controllo delle navi (potenzialmente) a rischio, in grado (anche) di
intervenire con idonei mezzi per pianificare le operazioni di soccorso potrà
certamente prevenire o comunque diminuire i danni all’ambiente marino ed alla
costa.
[37] Tra gli
accordi più rilevanti si ricorda l’accordo di Bonn del 13 settembre 1983 concernente la cooperazione in materia
di lotta all’inquinamento del mare del nord
causato dagli idrocarburi e dal altre sostanze pericolose, la
convenzione (OPRC) del 1990 sulla preparazione, la lotta e la cooperazione
in materia disinquinamento e la
convenzione (OSPAR) per la protezione dell’ambiente marino nell’atlantico
nord-orientale del 22 settembre 1992.
[38] I
provvedimenti supra cit. sono,
rispettivamente, la Decisione n. 2850/2000/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 20 dicembre 2000, che istituisce un “quadro comunitario di
cooperazione nel settore dell’inquinamento marino dovuto a cause accidentali o
intenzionali”, al fine di preservare e proteggere l’ambiente e la salute umana;
e la Decisione del Consiglio del 23 ottobre 2001, che istituisce un meccanismo
comunitario inteso ad agevolare la cooperazione rafforzata negli interventi di
soccorso della protezione civile. Si vuole in tal modo creare un sistema in
grado di far fronte a gravi “emergenze, catastrofi naturali e tecnologiche,
compreso l’inquinamento marino a cause accidentali” (art.1, decisione n.
2001/792/CE/Euratom) in modo da offrire idoneo supporto tecnico capace di
coordinare gli interventi di soccorso.
[39] Sulla
nozione, in generale, di sicurezza della navigazione, cfr., TURCO BULGHERINI, Sicurezza della navigazione, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990, 461 e
ss.; CORBINO M.L., Sicurezza della navigazione marittima, in Dig.
Comm, XIII, 1996, 409 ss., GRIGOLI, Il
problema della sicurezza nella sfera nautica, t. I, Milano, 1989, par.
VIII, 155 e ss. Secondo quest’ultimo A. la sicurezza non comprende solo le
misure dirette a garantire il buon esito della spedizione marittima ma è un
concetto che va ridefinito ed aggiornato tenendo conto del ruolo essenziale
assunto dalla corretta gestione dell’ambiente e dalla salvaguardia dei beni
pubblici destinati alla navigazione. La nozione, pertanto, si espande oltre i
confini tradizionali fino a ricomprendere la normativa diretta alla prevenzione
e alla repressione dell’inquinamento (delle acque, atmosferico ed acustico), ed
abbraccia la protezione dei beni prodromici all’utilizzazione della nave e le
disposizioni finalizzate al razionale impiego degli spazi marini.
Data di
pubblicazione: 18 ottobre 2005