Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, II/2004

 

La gestione integrata e sostenibile
delle zone costiere nel diritto internazionale **

 

Caterina Montebello **

 

 

 

 

 

Sommario: 1.      Premessa - 2. Strumenti giuridici internazionali nella tutela e gestione delle coste - 3. Cenni sul recente “ Studio di fattibilità per uno strumento giuridico sulla gestione integrata delle aree costiere nel Mediterraneo” (UNEP/MAP).

 

 

1. Premessa

Solo dagli anni ottanta si è diffusa una maggiore consapevolezza internazionale dei problemi riguardanti le zone costiere, in quanto aree “sensibili”, in cui si concentrano attività spesso tra loro conflittuali ed in cui si registra un’eccessiva densità demografica [1]. Turismo, acquacoltura, pesca, diporto nautico e porti turistici, trasporti marittimi e intermodali e connesse infrastrutture, sfruttamento di giacimenti petroliferi e minerari, proprietà pubblica e privata rientrano tra quei molteplici usi il cui sviluppo “irresponsabile” mina fortemente lo sviluppo sostenibile dell’ambiente costiero.

Pur esistendo, ovviamente, una molteplice varietà di zone costiere (diversamente caratterizzate, per esempio, dalla geografia del paese, dall’orienta­mento della costa, dal valore economico delle risorse costiere, dalla concentrazione della popolazione e delle infrastrutture e dal livello di sviluppo del paese), esse vanno comunque intese come sistemi interattivi mare-terra, dinamici e fragili, da tutelare attraverso l’elaborazione di più complete e approfondite tecniche di pianificazione e gestione in grado di affrontare, in modo complessivo ed integrato, i problemi dell’articolazione delle competenze istituzionali, delle possibili fonti di impatto sul territorio costiero e degli interventi necessari.

La materia della pianificazione territoriale delle zone costiere è caratterizzata, ancora in molti paesi, da una sovrapposizione di norme giuridiche nazionali, con competenze frammentate e carenze di orientamento dovute al perseguimento di obiettivi tra loro contraddittori.

La mancata elaborazione di una gestione integrata delle zone costiere, a causa dei vincoli ordinamentali di ciascun paese, si ravvisa anche nel nostro ordinamento. Infatti, nonostante la ormai nota crisi della rigida categoria del demanio marittimo [2], non si è ancora pervenuti ad un effettivo “assorbimento” giuridico del concetto di gestione integrata delle zone costiere ed, a monte, all’individuazione normativa di una nozione elastica zona costiera [3]. Come meglio si evidenzierà avanti, gli strumenti internazionali di soft law susseguitesi negli anni - e volti ad indirizzare i singoli Stati ad adottare normative interne in grado di assicurare una gestione integrata delle aree costiere (attraverso l’individuazione approfondita dei principi, degli obiettivi e di modalità procedurali) - non si sono rivelati sufficienti a promuovere l’implementazione di questo nuovo e diverso metodo di gestione. Da qui è emersa, di recente, nell’ambito del sistema di Barcellona [4], l’esigenza di adottare un nuovo strumento normativo regionale appositamente dedicato alla gestione integrata delle aree costiere e, soprattutto, di carattere vincolante - essendosi dimostrata utopistica, negli anni, l’adozione volontaria da parte dei singoli Stati degli orientamenti e delle raccomandazioni in materia.

 

2. Strumenti giuridici internazionali nella tutela e gestione delle coste

Nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay 1982) [5], pur non rinvenendosi espliciti riferimenti alle problematiche relative alle coste, non mancano i riferimenti all’area costiera nel contesto dell’ambiente marino. Così, l’art. 194, par. 5, prevede che le misure prese per proteggere e preservare l’ambiente marino “includono quelle necessarie a proteggere e preservare ecosistemi rari o dedicati, come pure l’habitat di specie in dimi­nuzione, in pericolo o in via di estinzione e altre forme di vita marina”. La Convenzione di Montego Bay copre, inoltre, le aree costiere come gli estuari (art. 1.4), le foci dei fiumi (art. 9), le baie (art. 10), i porti (art. 11), l’inquina­mento da fonti terrestri (art. 207). L’espressione area costiera si rinviene, ancora, in altre norme della Convenzione, quali l’art. 211, 1 e 7 relativo all’inqui­na­mento da navi e l’art. 221 relativo alle misure atte ad evitare l’inquinamento derivato da incidente in mare [6].

La Convenzione sul diritto del mare costituisce la base internazionale per il perseguimento delle finalità di protezione e lo sviluppo sostenibile dell’am­biente marino e costiero e delle sue risorse e, in quanto tale, viene richiamata dal Programma di Azione “Agenda 21” (approvato, com’è noto, dalla comunità internazionale nella Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 [7]) che ha dato, appunto, un forte input alla materia.

La gestione integrata delle aree marine e costiere è, infatti, espressamente considerata una delle principali componenti del concetto di sviluppo sostenibile, come strumento in grado di accrescere il benessere delle comunità costiere e mantenere l’integrità ecologica e la diversità biologica. In particolare, il Capitolo 17 di Agenda 21, relativo alla protezione degli oceani, di tutti i tipi di mare compresi i mari chiusi e semichiusi e le zone costiere e la protezione, l’utilizzazione razionale e la valorizzazione delle loro risorse viventi, indirizza gli Stati costieri verso nuovi approcci integrati alla gestione delle aree costiere, a livello globale, regionale e nazionale, attraverso metodi e strumenti interdisciplinari, partecipativi, e responsabilizzanti.

Da qui, è seguita tutta una serie di altre importanti iniziative promosse, a livello universale e regionale, dalle organizzazioni internazionali interessate ad una corretta gestione delle coste e volte a sottolineare la necessità di elaborare ed applicare una strategia globale di gestione integrata e durevole dell’am­biente costiero, che tenga conto delle interazioni tra ambiente, patrimonio socio-culturale e le comunità.  Mi limito a citare la raccomandazione dell’OCSE, C(92)114 del 23 luglio del 1992, dedicata appunto alla gestione integrata delle zone costiere; ancora, il Codice di condotta della FAO per una pesca responsabile del 1995, il cui art. 10 è interamente dedicato alla integrazione della pesca nella gestione delle aree costiere [8]; nonché il modello normativo sulla gestione sostenibile delle aree costiere ed il Codice Europeo di condotta applicabile alle aree costiere elaborati dal Consiglio d’Europa nel 1999, volti ad ispirare le normative nazionali nel perseguire l’integrazione a livello territoriale ed istituzionale, una corretta pianificazione e formulazione legislativa e la cooperazione internazionale tra le aree costiere transfrontaliere.

In accordo con le raccomandazioni di Rio, importanti strumenti sono stati adottati in ambito regionale e, in particolar modo nell’area del Mediterraneo che ci interessa direttamente [9]. Con riferimento al c.d. sistema di Barcellona del 1976 dato dalla Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino del Mediterraneo e dai suoi Protocolli, è già significativo come con gli emendamenti del 1995 si sia provveduto a modificare il titolo della stessa convenzione includendovi anche il riferimento alle regioni costiere (Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino e del litorale del Mediterraneo) [10]. Tra le modifiche più significative si segnalano quelle concernenti l’art. 4 della Convenzione che, completamente riformulato, include chiaramente tra gli obblighi gravanti sugli Stati parte, quello di promuovere una gestione integrata delle zone costiere, tenendo in considerazione la protezione delle aree di interesse ecologico e l’uso razionale delle risorse naturali.

Le Parti Contraenti della Convenzione di Barcellona e relativi Protocolli hanno, altresì, adottato il MAP Fase II (Piano di Azione elaborato in sede UNEP per la protezione dell’ambiente marino e lo sviluppo sostenibile delle aree costiere del Mediterraneo) che individua tra i suoi obiettivi principali quello di “garantire una gestione durevole delle risorse naturali, marine e terrestri, ed integrare l’ambiente nello sviluppo economico e nella pianificazione del territorio”. A tal fine, è considerata essenziale la comprensione delle relazioni intercorrenti tra le risorse costiere, il loro uso e gli impatti reciproci dello sviluppo e dell’am­biente. Ciò per perseguire obiettivi più specifici, quali “la preservazione della diversità biologia negli ecosistemi litoranei; la pianificazione del litorale per risolvere i problemi di concorrenza tra urbanizzazione, industrializzazione, turismo, trasporti, agricoltura e acquacoltura, e per preservare gli ecosistemi per le generazioni future; il controllo delle pressioni demografiche sull’uso delle risorse costiere; la realizzazione degli obiettivi ambientali ed economici a costi accettabili per la società; la prevenzione ed eliminazione, in tutta la misura del possibile, degli inquinamenti di origine urbana, industriale, turistica, agricola e acquicola, dei rifiuti solidi e liquidi e dei rischi naturali e tecnologici; la partecipazione delle popolazioni e delle loro associazioni, in vista di fare appello al sentimento civico per far fronte a nuove sfide; lo sviluppo delle capacità istituzionali e delle risorse umane per far fronte a questi molteplici obiettivi incrociati e spesso concorrenti”(1.4). Per far ciò, si incoraggia l’elaborazione, a livello nazionale e locale, di legislazioni pertinenti e la creazione o il rafforzamento delle capacità istituzionali, oltre che l’elaborazione e l’attuazione di strumenti appropriati, come sistemi di telerilevamento, d’informazione geografica, di analisi sistemica e studi dell’impatto sull’ambiente, nonché strumenti economici. 

Sulla base di tale programma d’azione, si sono poi susseguiti orientamenti, raccomandazioni, linee guida, libri bianchi, programmi sperimentali ecc. [11] che, sicuramente, hanno avuto un ruolo utile ed importante per una migliore comprensione da parte degli Stati del Mediterraneo del concetto di gestione integrata, oltre ad aver contribuito, sebbene in maniera insufficiente, al controllo dello sviluppo delle aree costiere.

Oltre a questo nutrito corpo di soft law instruments e sempre con riferimento alla regione mediterranea, riferimenti espressi alla gestione costiera si rinvengono nel Protocollo sulle aree specialmente protette e la diversità biologica nel Mediterraneo così come emendato nel 1995 [12] ed, ancora, il nuovo Protocollo relativo alla cooperazione in materia di prevenzione dell'inquinamento provocato dalle navi e, in caso di situazione critica, di lotta contro l'inquinamento del Mare Mediterraneo del 2002 [13] ed il Protocollo contro l’inquinamento da fonti e attività da terra del 1980 ed emendato a Siracusa nel 1996 [14].

Anche in ambito comunitario non sono mancate le iniziative volte a promuovere una strategia europea sulla gestione integrata delle zone costiere e, tra quelle più recenti, si segnalano il Programma dimostrativo della Commissione europea sulla gestione integrata delle zone costiere 1997-1999 (avviato in seguito ad un’apposita Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 6 maggio 1994), la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo del settembre 2000 “sulla gestione integrata delle zone costiere: una strategia per l’Europa” [15] e la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio 2002/413/CE, del 30 maggio 2002, relativa all’attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa. Anche qui, si tratta comunque di atti non vincolanti, a parte alcune previsioni riguardanti le aree costiere nelle normative comunitarie di settore, quali appunto l’ambiente e la pesca.

Questa breve panoramica dimostra come non siano mancate forti sollecitazioni internazionali, soprattutto dopo Rio, all’attuazione di una gestione integrata e sostenibile delle zone costiere, ma è anche vero che nonostante questi sforzi (comunque parziali e localizzati) nell’ambito del MAP, del partenariato euromediterraneo [16] e dell’Unione Europea, gli Stati costieri appaiono impotenti nell’affrontare i trend evolutivi in atto. Solo pochi paesi, infatti, hanno adottato strumenti normativi adatti a realizzare una gestione integrata sia a livello territoriale (rompendo le barriere tra terra e mare), sia a livello istituzionale, nell’ottica di una strategia globale.

 

3. Cenni sul recente “ Studio di fattibilità per uno strumento giuridico sulla gestione integrata delle aree costiere nel Mediterraneo” (UNEP/MAP)

I forti progressi realizzatesi nel diritto internazionale verso il riconoscimento giuridico delle interrelazioni tra mare e terra, soprattutto con riferimento ai mari regionali, non si sono dunque dimostrati sufficienti ad indurre gli Stati costieri ad adottare nuove e corrette metodologie di gestione. 

Da qui, nel corso del 12th Meeting tra le Parti contraenti della Convenzione di Barcellona (Monaco, 2001), è stata adottata una raccomandazione (II/C/4) relativa alla predisposizione di uno Studio di fattibilità di uno strumento giuridico sulla gestione sostenibile delle aree costiere nel Mediterraneo. Il documento [17], presentato al 13th Meeting delle Parti contraenti (Catania, 2003), rileva, a ragione, l’irrilevanza che avrebbe, in materia, l’elaborazione di una nuova raccomandazione o di altro strumento soft, che varrebbe a ribadire quanto già ampiamente scritto nelle varie liste di obiettivi raccomandati,  rimasti però senza alcuna effettività.

Lo strumento proposto nello studio di fattibilità è quello del protocollo [18], uno strumento vincolante, consentito dal sistema di Barcellona [19], e considerato anche come un passo logico all’interno del sistema stesso.

Ai fini della predisposizione di tale protocollo, sono analizzate le diverse alternative che si presentano in ordine al grado di dettaglio delle misure, procedure e standard da prevedere, secondo le posizioni che assumeranno gli Stati contraenti.

Si fa riferimento all’ipotesi di un protocollo a contenuto generale o protocollo quadro, abbastanza flessibile da adattarsi alle diverse situazioni esistenti nel Mediterraneo, ferma restando la libertà degli Stati membri di adottare nelle loro legislazioni nazionali standard più avanzati o rigorosi. Soluzione questa che, tuttavia, non sembra in grado di garantire il raggiungimento di quei risultati, finora perseguiti senza reale successo.

Ancora, si considera un protocollo più dettagliato - che verrebbe, altresì, a comprendere, ad esempio, non solo una generale definizione di area costiera, ma anche la sua delimitazione - e che, già solo per questo, appare impraticabile, se si considerano le forti differenze esistenti tra le normative di ciascun paese.

Dopo attente riflessioni, la soluzione ritenuta preferibile nel documento di studio è quella  intermedia, data l’esigenza di flessibilità che deriva dalla complessità specifica e tecnica della legislazione costiera. Si vedrà, poi, quanto questo elemento di flessibilità influirà, durante il processo di negoziazione, nella forma finale dell’atto.

I lavori, dunque, sono ormai avviati per la predisposizione di uno strumento innovativo nel sistema di Barcellona, vincolante, e che sembra ormai inevitabile per il raggiungimento di un’effettiva gestione integrata e sostenibile delle aree costiere, anche in sinergia con le altre convenzioni e protocolli cui si è fatto cenno.



* Intervento al Convegno organizzato dalla Regione Siciliana su “La pesca siciliana: una nuova proposta nel contesto euromediterraneo” (Mazara del Vallo, 25-27 novembre 2004).

** Titolare di assegno di ricerca nella Facoltà di Economia dell’Università degli studi di Palermo.

[1] Già nel 1973, una risoluzione del Consiglio d’Europa sulla protezione delle aree costiere sottolineava la necessità di azioni internazionali concertate, su scala universale e regionale ed un concetto più ampio e unitario di ambiente marino; ancora, ad esempio, dell’8 ottobre 1981 è la Carta sulle aree costiere adottate a Creta nel corso della Conferenza plenaria sulle regioni marine periferiche della CEE, con rappresentanti delle istituzioni della CE e del Consiglio d’Europa ed approvata da una risoluzione del Parlamento Europeo del 18 giugno 1982.

[2] Per un excursus di tale evoluzione e dello stesso concetto di proprietà pubblica, v. tra gli altri, Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954; Giannini, I beni pubblici, Roma 1963, 12; V. Benvenuti, Il demanio marittimo tra passato e futuro, in Riv. dir. nav. I/1965, 154 che già metteva in risalto come i principi fondamentali in tema di utilizzo dei beni demaniali andassero ricercati nel mutamento di funzione dei beni stessi; Bursese, Rassegna di dottrina e giurisprudenza in tema di demanio marittimo, in Riv. dir. nav. II/1970, 137; Lauria, Il regime giuridico delle baie e dei golfi, Napoli, 1970; Greco, Proprietà pubblica e gestione delle coste, Roma 1973, nonché Demanio marittimo zone costiere assetto del territorio, Bologna, 1981; Id., La gestione integrata delle coste in Italia: dai conflitti socio-economici ad una possibile soluzione istituzionale, in Ec. pubbl., 1991, 355 ss.; D’amico Cervetti, Demanio marittimo e assetto del territorio, Milano, 1983; Acquarone, Demanio marittimo e porti, in Dir. mar. 1983, 84; Casanova, Demanio marittimo e poteri locali, Milano, 1986, 53; Corbino, Il demanio marittimo – Nuovi profili funzionali, Milano, 1990; Querci, Le nuove vocazioni nei beni demaniali marittimi, in Nuovi profili funzionali dell'attività marittima, Padova, 1983, 68; Camarda, Profili giuridici in margine ai concetti di fascia portuale fascia costiera e al binomio mare – territorio, in Trasp. 1989, 100 ss.; Avanzi, Il nuovo demanio, Padova, 2000, 54 ss. e Demanio e ambiente, Padova, 1998.

[3] Invero, gia a partire dagli anni settanta alcuni paesi, quali gli Stati Uniti e il Canada iniziarono a dotarsi normative specifiche sulla gestione costiera. Grandbois, Cronache dal Canada: la tutela giuridica delle zone costiere, in Ec. pubbl., 1996, 105 ss. Per alcuni riferimenti alla normativa spagnola, tra le più sensibili in Europa, sulla gestione delle coste v.,  Moreno Canovas, Regimen jurídico del litoral, Madrid, 1990; Pòns Cànovas, El régimen jurídico de la ordenación de los espacios portuarios, Barcellona, 2001, 163 ss. Di recente, la Croazia  si è dotata di un’attenta disciplina sulla gestione e protezione della zona litorale adottando, sulla base delL’art. 45.1 della Legge sulla gestione del territorio (in G.U.R.C. n. 30/94,68/98, 32/2002 e 100/2004), un apposito Regolamento del 9 settembre 2004 (G.U.R.C. n 128/2004).

[4] V. infra nt. 9.

[5] Sulla Convenzione di Montego Bay (ratificata in Italia con n. 689 del 2 dicembre 1994), v., tra gli altri, Treves, La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, Milano 1983; Leanza, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino 1993; Scovazzi, Elementi di diritto internazionale del mare, II ed., Milano 1994; Treves, Il diritto del mare e l’Italia, Milano 1995; Angeloni-Senese, Profili applicativi dei principali istituti del nuovo diritto del mare, Bari, 1998; Del Vecchio, Mare (diritto internazionale del), in Enc.  dir., Agg. II/1998, 509.

[6] Oltre a tali previsioni, vi sono altre norme contenute in alcune convenzioni sull’ambiente e il mare che possono costituire la base di azioni normative sulle zone costiere. Possono richiamarsi, senza pretesa di esaustività, la Convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro nel 1992, ratificata in Italia con l. n. 124 del 14 febbraio 1994 ed entrata in vigore il 19 febbraio 1995 e la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (New York, 1992), ratificata in Italia con l. 15 gennaio 1994 n. 65 ed entrata in vigore il 21 marzo 1994.

[7] V. tra gli altri, Marchisio, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in Riv. dir. int., 1992, fasc. 3, 581 ss.;  Pineschi, La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo, in Riv. giur. amb., 1992, fasc. 3, 705 ss.; Chiummariello, L’Europa a Rio. Riflessi della Conferenza di Rio sull' Europa, in Dir. econ., 1993, 83 ss..

[8] Nel 1 par. dell’art. 10, si sottolinea, tra l’altro, come, in vista degli usi multipli della zona costiera, gli Stati dovrebbero garantire che i rappresentanti del settore della pesca e delle comunità pescherecce vengano consultate durante il processo decisionale e nelle altre attività relative alla gestione, pianificazione e sviluppo della zona costiera; nel 2 par. si indicano le misure politiche che gli Stati dovrebbero intraprendere ed, in particolare, un processo maggiormente partecipativo, un approccio che tenga conto dei contestuali fattori culturali, sociali ed economici e l’istituzione di sistemi di monitoraggio dell’ambiente costiero come parte del processo di gestione costiera, utilizzando parametri fisici, chimici, biologici, economico e sociali e la promozione della ricerca interdisciplinare in supporto della gestione della zona costiera. E ancora, si promuove la cooperazione regionale. Invero, i primi forti enunciati sulla necessità di proteggere l’ambiento marino dalla pesca irrazionale e dall’inquinamento sono contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Tali concetti sono stati poi enfatizzati nella Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 attraverso la Dichiarazione di Rio, l’Agenda 21 e l’adozione della Convenzione sulla diversità biologica del 1992. V. più in generale, Romana, voce Pesca Marina, in Codice dell’Ambiente, II ed., Milano, 2003, p. 1302 e bibliografia ivi richiamata; v. anche Scovazzi, Nuovi sviluppi del diritto internazionale del mare, in Pesca e tutela dell’ambiente marino (a cura di G. Di Giandomenico e C. Angelone), Milano, 1988, p. 23 ss.; ID., La pesca nell’evoluzione del diritto del mare, II, Milano, 1984, p. 159; ID., La conservazione delle risorse biologiche nel quadro del diritto «regionale mediterraneo», in La marittimità in Sicilia (a cura di Bevilacqua - Romana), Napoli, 1997, 57; Bevilacqua, Gli strumenti internazionali per la prevenzione e la repressione della pesca illegale in alto mare. Le recenti iniziative della FAO, in Atti del XXII convegno internazionale “Mare e territorio”, Agrigento, 2004, p. 139.

[9] Con riferimento ad altre regioni, si segnala la recente Convenzione sulla cooperazione per la protezione e lo sviluppo sostenibile dell’ambiente marino e costiero del Nordest Pacifico del 18 febbraio 2002, in Law of the Sea Bull., n. 48, 2002; ed ancora, per un commento (a cura di S. Mancuso) sulla Conferenza panafricana sulla gestione integrata delle zone costiere (PACSICOM), v. Riv. giur. amb., 1999, 415 ss.

[10] Per un approfondimento sul contenuto della Convenzione di Barcellona e dei suoi Protocolli, v. Leanza (a cura di), Le Convenzioni internazionali sulla protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento marino, Napoli, 1992 e bibl. ivi richiamata. V., altresì, Villani, La protezione del Mar Mediterraneo contro l’inquinamento, in Studi mar., 1981; Scovazzi, Nuovi sviluppi nel sistema di Barcellona per la protezione del Mediterraneo dall’inquinamento, in Riv. giur. amb., 1995, 376; Pelliccioni, Il sistema di Barcellona, in Riv. mar., 1996, 201. La ratifica ed esecuzione dell’atto finale della Conferenza dei plenipotenziari sulla Convenzione per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento, con relativi Protocolli, tenutasi a Barcellona il 9-10 giugno 1995, è stata ratificata in Italia con l. n. 175 del 27maggio 1999. Gli emendamenti non sono ancora in vigore.

[11] Si richiamano qui le Linee Guida per la gestione integrata delle aree marine e costiere con particolare riferimento al bacino del Mediterraneo elaborate dall’UNEP, nel 1995; il Libro Bianco sulla gestione delle zone costiere del Mediterraneo elaborato dal Centro di Attività Regionale per il programma di azioni prioritarie (PAP/RAC, 2001); Linee Guida di buona pratica nella gestione integrata delle zone costiere (PAP/RAC, 2001).

[12] Per il testo del Protocollo del 1982 per la protezione delle aree specialmente protette del Mediterraneo, v. Kiss, Selected Multilateral Treaties in the Field of the Environment, vol. I, Nairobi, UNEP, 1983, 154-157; per un confronto sistematico tra le disposizioni del Protocollo del 1982 (c.d. SPA Protocol) e del Protocollo del 1995 (c.d. SPA and Biodiversity Protocol), v. Spadi, Il Protocollo relativo alle aree specialmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 1° giugno 1995) – analisi e confronto con il Protocollo relativo alle aree del Mediterraneo particolarmente protette (Ginevra 3 aprile 1982), in Dir. mar., 1997, 1196 ss.. Il Protocollo del 1995 è entrato in vigore il 12 dicembre 1999.

[13] Protocollo che intende sostituire il precedente Protocollo sulla cooperazione nel settore dell’inquinamento da idrocarburi e altre sostanze nocive in caso di situazione critica del 1976 ed entrato in vigore il 12 febbraio 1978.

[14] Il Protocollo è entrato in vigore il 17 giugno 1983. Gli emendamenti non ancora. Il Protocollo definisce l’episodio di inquinamento come “un fatto o un insieme di fatti aventi la stessa origine, da cui risulta o può risultare uno scarico di idrocarburi e/o di sostanze nocive e potenzialmente pericolose e che presenta o può presentare una minaccia per l'ambiente marino o per il litorale o per gli interessi connessi di uno o più Stati e che richiede un'azione urgente o altra risposta immediata” e definisce, altresì, gli interessi connessi comegli interessi di uno Stato rivierasco direttamente colpiti o minacciati e concernenti, tra l'altro: i) le attività marittime costiere, portuali o d'estuario, comprese le attività di pesca; ii) l'attrattiva storica e turistica, compresi gli sport acquatici ed altre attività ricreative, della zona in questione; iii) la salute delle popolazioni costiere; iv) il valore culturale, estetico, scientifico ed educativo della zona; v) la conservazione della diversità biologica e l'uso sostenibile delle risorse biologiche marine e costiere”.

[15] COM(2000) 547 def.

[16] Bosco, Il Partenariato Euromediterraneo e il Programma MEDA, in Aff. est., 2002, 607 ss.; Di Serio, La cooperazione euromediterranea e la dichiarazione di Barcellona, in Riv. dir. eur., 1996, 701 ss.

[17] UNEP(DEC)/MED WG228/8 del 17 luglio 2003, UNEP/MAP, Atene, 2003.

[18] Considerando che l’art. 33.3 della Convenzione prevede l’entrata in vigore di un protocollo, a meno che non sia diversamente previsto, attraverso il deposito del sesto strumento di ratifica si potrebbe prevedere un’entrata in vigore in tempi relativamente brevi di un Protocollo sulla Gestione integrata delle aree costiere, con riferimento agli Stati che lo hanno ratificato.

[19] L’art. 4.3 della Convenzione include, come già detto, tra gli obblighi generali delle Parti contraenti anche la gestione integrata delle zone costiere ed, ancora, l’art. 4.5 prevede che le Parti cooperino nella formulazione ed adozione di Protocolli che prescrivano misure concordate, procedure e standard per l’attuazione della Convenzione.

 

Data di pubblicazione:  9 dicembre 2004