Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, II/2004

 

 

 

La responsabilità per l’esercizio di attività pericolose
nel campo aeronautico *

 

Guido Camarda

 

 

 

 

1. Ogni approfondimento che, nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, riguardi la responsabilità civile per esercizio di attività pericolose non può che iniziare con l’analisi dell’art. 2050 del codice civile. Ciò anche quando il tema d’indagine riguardi uno specifico settore, quello aeronautico, caratterizzato – ma non esaustivamente – dalla specialità della disciplina .

Appare pacifico che la norma delinea una fattispecie di responsabilità “tecnicamente” per colpa, dando la possibilità (con onere probatorio invertito, rispetto al paradigma aquiliano di base) di dimostrare che sono state adottate tutte le misure idonee a evitare il danno [1], ivi compreso l’adempimento di un adeguato dovere d’informazione.

In pratica, però, si tratta, in non pochi casi, di prova difficile, anche se non di vera e propria probatio diabolica, a differenza della previsione contenuta nell’art. 965 cod. nav., sulla responsabilità (oggettiva) dell’esercente per danni a terzi sulla superficie, di cui ci si occupa nella seconda parte di questo scritto. Sono, però, d’ausilio, com’è naturale, i precedenti giurisprudenziali. Deve, comunque, escludersi l’inquadramento nel solo ambito delle conseguenze del rischio d’impresa e ciò consente un’estensione della norma civilistica in esame ad attività che non hanno finalità di lucro, come quelle sportive o di mero diporto.

Aggiungo che se l’art. 2050 cod. civ. disciplina una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, v’è, quanto ai rapporti contrattuali, un analogo regime che investe più in generale ritardi ed inadempimenti, dando al presunto debitore la possibilità di dimostrare che il danno non si è verificato per causa a lui imputabile. Più particolarmente, in tema di trasporto di persone, la c.d. inversione dell’onere della prova, prevista dal codice civile, riguarda proprio la dimostrazione, a carico del vettore, che sono state adottate tutte le misure idonee a evitare il danno (non mi sembra che la responsabilità si configuri anche in presenza di culpa levissima, anche se il criterio misuratore della diligenza deve essere rapportato alla complessità e delicatezza dell’attività svolta).

Il problema di più difficile soluzione è definire l’attività pericolosa. In ogni caso non va valutato il singolo atto ma l’intera serie di atti (nel loro complesso) che conducono ad un risultato. Conseguentemente è facilitata l’indagine sul nesso di causalità, poiché non si esige la dimostrazione del collegamento diretto tra fatto specifico imputabile all’agente ed evento dannoso, essendo invece sufficiente l’accertamento del nesso tra evento dannoso e generico esercizio di attività pericolosa [2].

 Premesso che le attività pericolose non sono soltanto quelle espressamente definite come tali dal legislatore (t.u. leggi.p.s., etc) [3], può condividersi - in linea di massima ed ai fini della loro individuazione - il criterio probabilistico che si fonda sulla percentuale di eventi dannosi dipendenti dall’esercizio dell’attività anche in relazione ai mezzi adoperati. Va comunque precisato che tale criterio abbisogna di correttivi e ponderati accorgimenti. In altre parole, le probabilità d’accadimento del danno possono variare sensibilmente se si prendono in considerazioni eventi in ambiti territoriali di dimensioni diverse o periodi temporali più o meno lunghi. Sicché, nella materia, ogni criterio non può che ridursi a mero elemento di valutazione affidato alle conclusioni che, caso per caso, appartengono al prudente apprezzamento del giudice [4], il quale dovrà contemperare il dato numerico-percentuale con il grado di gravità dei singoli eventi. Il contemperamento, peraltro, è suscettibile d’inquadramento anche all’interno della costruzione del dato statistico come fattore di pericolosità [5]. Basta dare un “peso” diverso ai singoli dati.

Anticipando quanto si dirà nella parte specifica sul trasporto aeronautico, preciso che a mio avviso l’oggetto del trasporto, cioè la pericolosità intrinseca delle merci, esula dalla problematica che ci occupa concernente le attività in sé. Altre normative potranno prendere in specifica considerazione la responsabilità del trasporto di merci pericolose [6] (sul punto il settore marittimo possiede corpi normativi di più complessa elaborazione).

 

2. L’ambito di applicazione dell’art. 2050 cod. civ. si delinea con maggiore chiarezza anche attraverso le differenze rispetto ai casi disciplinati dagli artt. 2051 e 2054 del cod. civ. [7] La prima di queste norme si occupa della pericolosità di un bene staticamente considerato e non di attività che presuppongano la fase dinamica , cioè di attività che mirino a produrre un bene o un servizio.

La seconda norma, anzitutto, ha caratteristiche di specialità perché si occupa soltanto di veicoli senza guide di rotaie e perdippiù nella sola fase del momento dinamico tipico dato dalla circolazione. Di contro, la medesima norma assume un suo carattere di residualità della fattispecie rispetto ad altre regole che (specialmente nel codice della navigazione) disciplinano particolari casi di responsabilità extracontrattuale (richiamo, in via esemplificativa, il già citato art. 965 cod. nav. e l’art. 414 cod. nav. in tema di responsabilità del vettore marittimo nel trasporto amichevole).

Tale impostazione sistematica, tra l’altro, consente, nel campo aeronautico, di non lasciare privi di copertura risarcitoria gli eventi dannosi non riconducibili a quelle normative del codice della navigazione che presuppongano la circolazione di un aeromobile. Si pensi, eminentemente agli apparecchi utilizzati per il volo da diporto o sportivo compresi nei limiti di cui alla legge 25 marzo 1985 n. 106; per questi apparecchi l’applicazione dell’art. 2050 cod.civ. colma la lacuna cui ho fatto cenno.

Si pensi ancora, sia pure in chiave problematica, agli aeromobili militari con i connessi profili assicurativi.

Che l’attività che si riconnette al volo da diporto o sportivo possa, invece, rientrare in quel generale concetto di attività pericolosa cui fa riferimento l’art. 2050 cod. civ., appare evidente, anche perché il margine di pericolosità viene rafforzato dal fatto che l’attività stessa non si svolge all’interno di aerodromi con le garanzie di sicurezza che normalmente offrono tali infrastrutture. La norma da ultimo citata è applicabile per danni a terzi, specie in relazione alla c.d. attività preparatoria riguardante il volo. L’addestramento in volo ha infatti connotazioni che superano il livello normale di rischio anche in relazione ai possibili danni ai terzi stessi [8] (i danni all’allievo durante l’addestramento in volo sono invece inquadrabili nella disciplina generale del trasporto, rimane controverso il concorso tra tale tipo di responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale derivante dalla norma da ultimo citata).

 

 

3. Nello specifico settore aeronautico, non può certo affermarsi che il trasporto aereo considerato nel suo complesso sia definibile attività pericolosa [9]. Infatti, l’insieme di prescrizioni aggiuntive e restrizioni al volo, previste, ad esempio, in presenza di particolari condizioni atmosferiche (vento, nebbia, etc…) contribuiscono a non alterare il normale coefficiente di sicurezza [10].

Estendendo, sia pure in sintesi, il campo d’indagine alle attività riguardanti le gestioni aeroportuali, soltanto per alcune di queste attività possono porsi problemi legati a situazioni di pericolosità del volo [11]. Ci si riferisce, richiamando un caso emblematico, al fenomeno del “bird strike” e alle omissioni del gestore (presunte ex art. 2050 cod.civ.) nel prevenire il fenomeno stesso. In questa fattispecie, però, i danni (o quella parte di danni) consequenziali arrecati al vettore hanno natura contrattuale, considerato il rapporto precedentemente costituito che ha per oggetto l’utilizzazione della pista e dei servizi connessi.

In situazioni del genere, e sia pure ad altro titolo, non può aprioristicamente ritenersi estranea la P.A. non foss’altro che per la posizione di concedente con i correlati obblighi di vigilanza.

Pare opportuno richiamare quanto recentemente ho avuto occasione di precisare sul tema, sottolineando il fatto che un giudizio di particolare pericolosità può variare persino da aeroporto ad aeroporto, in relazione alla medesima attività [12]: “se è vero che la potenzialità lesiva dell’attività è indubbiamente criterio primario per stabilire se l’attività stessa rientri nel paradigma in esame, va ovviamente presa in considerazione, nella valutazione, l’incidenza dei dispositivi di controllo e sicurezza in termini di maggiore perfezionamento degli apparati, di elevato grado di addestramento degli addetti e di regolamentazione locale delle procedure al di sopra degli standard minimi imposti per ogni aeroporto”.

Quanto alla responsabilità dell’esercente per danni cagionati dall’aeromobile a persone ed a beni sulla superficie, l’art. 965 cod. nav. Prevede – come s’è già avuto occasione d’accennare – una tipica ipotesi di responsabilità oggettiva che non viene meno in presenza della “forza maggiore”; sono fatte salve poche eccezioni (dal limite monetario, che comunque riguarda i risarcimenti complessivi, sono, tra l’altro, esclusi, ex art.971 cod. nav., i casi di colpa grave).

Tali eccezioni non risultano in contraddizione con il carattere oggettivo della responsabilità ma operano sul nesso causale (azione colposa del danneggiato in nesso causale con l’evento dannoso; azione di persone estranee all’equipaggio che si trovino a bordo quando l’esercente o i suoi preposti non hanno potuto impedire il comportamento causativo di danno). è fatta salva l’applicabilità del principio contenuto nell’art. 1227 cod. civ. in tema di concorso del fatto colposo del creditore

Il codice non limita l’applicabilità dell’istituto al volo effettivo, estendendola dall’inizio delle operazioni d’involo a quelle d’approdo (nel dubbio circa l’esatto significato delle due espressioni sembra preferibile – tenendo anche conto della convenzione di Roma del 1952 – il collegamento con i momenti di accensione del motore e dello spegnimento dello stesso).

Si ha così conferma che, sul piano della ricostruzione storica, il legislatore, nel creare la disciplina speciale di cui all’art. 965 cod. nav., abbia tenuto conto del carattere pericoloso dell’attività (da qui una comune derivazione sistematica rispetto all’art. 2050 cod. nav.). Venuta, poi, meno la valutazione dell’attività di navigazione aerea nel suo complesso come attività pericolosa, l’ultravigenza dell’istituto può trovare autonoma giustificazione metagiuridica con motivazioni d’ordine economico-sociale .

 

4. Il danno da rumore causato dal semplice sorvolo dell’aeromobile non rientra nella disciplina di cui all’art. 965 cod. nav., interpretato sistematicamente in relazione all’art. 1 della convenzione di Roma del 1952, la quale espressamente esclude che il nesso eziologico possa individuarsi soltanto negli effetti del semplice attraversamento di uno spazio aereo (rinvio, anche a questo proposito, ad altro mio scritto [13], per ulteriori approfondimenti e per citazioni di dottrina). Cade così, a priori, l’ipotesi di applicabilità del combinato disposto degli artt. 965 e 823 cod. nav., a prescindere dall’ancronisticità di tale ultima norma, che comunque riguarda soltanto i sorvoli in perpendicolare alla superficie interessata.

Analoga problematica si presenta per i danni da inquinamento atmosferico, da vibrazione e da altri fenomeni assimilabili.

In tutti questi casi, l’inapplicabilità della disciplina risarcitoria speciale contenuta nel codice della navigazione non conduce automaticamente all’applicazione dell’art. 2050 cod.nav., perché – nell’ambito dei parametri normativamente consentiti – il rumore in sé e gli altri fenomeni ora indicati non si pongono come accadimenti incerti, anche se particolarmente probabili. Si tratta, invece, di eventi certi collegati con il normale esercizio dell’aeromobile.

Si pone, pertanto, l’esigenza di inquadramenti diversi, tra i quali il più noto è quello della disciplina sulle immissioni ex art. 844 cod. civ.

 

 

5. Mi pongo un ultimo interrogativo. I compiti svolti dai controllori di volo configurano esercizio di attività pericolosa? Propenderei per una risposta negativa non tanto per il carattere “intellettuale” (non direttamente materiale) dell’attività, quanto per il fatto che si tratta di osservare – con la normale diligenza, perizia e prudenza – procedure ampiamente codificate nei dettagli e lungamente esperimentate.

V’è semmai da formulare un’osservazione e una proposta conclusiva.

L’attività di conduzione di un volo, per l’intervenuta notevole evoluzione tecnologica ed organizzatoria, non vede più, quale unico protagonista, l’esercente ed i suoi preposti. Vi è un innegabile e sempre maggiore coinvolgimento del gestore dell’aerodromo (per i numerosi servizi tecnici che offre in diretta connessione con il volo in senso stretto) e dei controllori di volo (per ragioni ancor più evidenti). In altro scritto [14], cui rinvio per i dettagli, ho già posto in evidenza la crescente presa di coscienza di tale shared responsibility.

In giurisprudenza mi sembrano in crescita le prospettazioni di corresponsabilità. è, di conseguenza, giunto il momento in cui, modificando l’art. 965 cod. nav., la relativa fattispecie, accedendo ad un principio di parità di trattamento, venga a comprendere anche gestori aeroportuali e controllori di volo (in questo quadro si potrebbero riesaminare anche le normative sulle collisioni in volo di cui all’art.974 e segg. cod. nav.). è parimenti auspicabile che le integrazioni intervengano nell’analoga disciplina internazionale di cui alla convenzione di Roma del 7 ottobre 1952. 


* Lo scritto riproduce in forma sintetica e, per ciò stesso, con semplici richiami giurisprudenziali una relazione svolta a Trieste il 27 settembre 2003 in occasione del convegno “Il diritto aeronautico a cent’anni dal primo volo: profili evolutivi e problematiche giuridiche attuali”.

[1] Ben esattamente si osserva che l’impossibilità di eliminare il pericolo non può comportare un’attenuazione dell’obbligo di garanzia, semmai un suo rafforzamento (Cass. pen., Sez. IV, 15 ottobre 2002 in Rep. Foro it. 2003 voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 8).

[2] V. Lodo arbitrale 10 agosto 1984, in Dir.mar.,1985, 853.

[3] v. Cass. 10 febbraio 2003 n. 1954 in Rep. Foro it. 2003, voce Responsabilità civ. n. 28.

[4] v. Cass. 2 febbraio 1983, n. 908 in Dir. e prat. assic. 1983, 569.

[5] In ogni caso, come si legge in Cass., sez. III, 12 maggio 2000 n. 6113 (in Dir. ed economia assicur. 2000, 1224) l’accertamento della potenzialità lesiva di un’attività va compiuto ex ante, cioè senza far riferimento al fatto dannoso concretamente verificatosi ma con riguardo alle ordinarie modalità ed esercizio dell’attività considerata.

[6] V. però, con riferimento al trasporto marittimo di materie altamente infiammabili, Lodo arb. 10 agosto 1984 cit. .

[7] La Corte costituzionale con sentenza n.79 del 1992 (in Foro it., 1992, I, 1347) ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2050 cod. civ. per l’assunta disparità di trattamento rispetto all’art. 2054 cod. civ.

[8] Per ulteriori approfondimenti della tesi di cui al testo, rinvio al mio scritto Scuole di volo e relative responsabilità, in Dir. trasp., 1997, 730 e ivi giurisprudenza.

[9] In senso conforme, v. Cass., sez. lav., 20 giugno 1990 n. 6175. V., anche, Cass., sez. III civ., 19 luglio 2002 n. 10551 (in Danno resp., 2002, 12, 1215 con nota di Agnino) che si condivide limitatamente alla premessa, cioè alla considerazione che l’attività di navigazione aerea non si può considerare ex se attività pericolosa.

[10] Contra, Cass., sez. lav., 13 novembre 1997 n. 11234 (in Rep. Foro it. 1997, voce Responsabilità civ. n. 204 , in Dir. trasp.1998, 743 con nota di Cervelli e in Riv. giur. circ. trasp. 1998, 931 con nota di Moretti), che considera attività pericolosa la navigazione che si svolga in assenza di ordinarie condizioni atmosferiche e comunque in condizioni di “anormalità” o “pericolo”.

Si può facilmente obiettare che , se così fosse, qualunque attività “normalmente innocua” rientrerebbe nell’ambito dell’art. 2050 cod. civ. per il sopraggiungere di situazioni di pericolo.

[11] Un’affermazione a carattere generale sulla qualificazione della gestione aeroportuale come attività pericolosa è contenuta, invece, in Trib. Genova. 5 ottobre 2001 (in Danno resp., 2002, 160 con nota di Dellacasa) che si occupa di un caso di “bird strike”. Nella medesima sentenza si legge che nel valutare le misure poste in essere dal gestore aeroportuale per garantire la sicurezza dello scalo, l'interprete può anche far riferimento ai parametri icao anche se le raccomandazioni che li contengono non siano state attuate nell’ordinamento italiano. Analoga affermazione si legge (con riferimento a soppressione di voli programmati per presenza di neve nelle piste) in Giudice pace Milano 23 luglio 2002 , pubblicata da Gius,2003, 2, 235

[12] La responsabilità del gestore aeroportuale, in Dir. trasp.,2002, 802.

[13] Aeroporti e tutela ambientale in Il nuovo diritto aeronautico. In ricordo di Gabriele Silingardi,Milano, 2002, 306-307.

[14] La sicurezza del volo in ambito aeroportuale: competenze e responsabilità, in Dir. trasp., 2003, 22.

 

 

Data di pubblicazione:  28 gennaio 2004