Introduzione alla
“riforma” della riforma delle procedure concorsuali.
Primo commento al d.lgs.
12 settembre 2007, n. 169.
di Giovanna
Cucinella
L’articolo 1,
comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, ha delegato al
Governo l’attuazione della riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n.
267 (d’ora innanzi, legge fallimentare o, semplicemente, r.d.).
La delega è
stata attuata, nel termine di legge, con l’emanazione
del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Successivamente,
l’articolo 1, comma 3, della legge 12 luglio 2006, n. 5, ha
aggiunto il comma 5-bis all’articolo 1 della legge n. 80 del
2005, disponendo che il Governo, entro un anno dalla data di entrata
in vigore del decreto legislativo emanato in attuazione della delega
di cui al precedente comma 5, e nel rispetto dei principi e criteri
direttivi di cui al successivo comma 6
“può adottare
disposizioni correttive e integrative”.
Conseguentemente,
poiché il decreto legislativo n. 5 del 2005 è entrato
in vigore il giorno 16 luglio 2006, il termine per attuare la delega
“correttiva”
sarebbe dovuto scadere il 16 luglio 2007, ma poiché il termine
di trenta giorni spettante al Parlamento per i dovuti pareri è
scaduto dopo tale data, il Governo ha usufruito, in virtù di
quanto previsto dall’art. 1, comma 5 della citata legge n. 80
del 2005, di un ulteriore termine di sessanta giorni per esercitare
la nuova delega.
La necessità di
apportare delle modifiche al decreto legislativo n. 5 del 2006 è
emersa sin dai primi mesi di applicazione delle nuove norme, atteso
che dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato numerosi aspetti
critici e problematici della “riforma
organica” delle procedure concorsuali, i quali non potevano che
essere superati attraverso gli
interventi correttivi ed integrativi previsti dal decreto legislativo
che segue.
Questi in estrema
sintesi i principali interventi correttivi apportati:
1) ridefinite
le soglie di fallibilità:
le nuove soglie tengono conto del fatto che l’eccessiva
riduzione dell’area della fallibilità venutasi a
determinare a seguito della novella del 2006 spesso ha impedito di
assoggettare al fallimento ed alle conseguenti sanzioni penali
imprenditori di rilevanti dimensioni con elevati livelli di
indebitamento, danneggiando, in tal modo, sia i numerosi creditori
insoddisfatti, che il sistema economico in generale. Più in
dettaglio, va evidenziato il fatto che, per delimitare l’area
dei soggetti esonerati dal fallimento, non viene più
utilizzata la nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma vengono
indicati direttamente una serie
di requisiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali
(resta quindi ferma l’esonero dalle procedure concorsuali di
tutti gli imprenditori agricoli, piccoli e medio grandi) devono
possedere congiuntamente per non essere assoggettati alle
disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo.
In questo modo, si
superano i contrasti interpretativi sorti in ordine
all’individuazione dei criteri di qualificazione delle nozioni
di piccolo imprenditore (art. 2083 del cod. civ.), da una parte, e di
imprenditore non piccolo (art. 1. L.F.), dall’altra: concetti
entrambi contemplati dall’articolo 1 della legge fallimentare,
come modificato dal decreto legislativo n. 5 del 2006;
2) sostituzione
dell’«appello» con il «reclamo»
alla sentenza dichiarativa di fallimento: la modifica è
coerente con il rito camerale, adottato non solo per la decisione di
primo grado, ma anche per la fase di gravame: il reclamo è,
infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti
pronunciati in camera di consiglio, quale che ne sia la forma. La
modifica vale ad escludere l’applicabilità della
disciplina dell’appello dettata dal codice di rito e ad
assicurare l’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione,
com’è necessario attesi il carattere indisponibile della
materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che
incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito;
3) rimozione
ostacoli al pieno funzionamento del (potenziato) comitato dei
creditori: Al
quarto comma dell’articolo 41 del r.d., si chiarisce che il
potere di sostituzione da parte del giudice delegato, si esplica
anche in caso di impossibilità di costituzione del comitato
medesimo, a dispetto dell’interpretazione secondo cui in tali
casi sarebbe stato possibile una nomina coattiva dei membri del
comitato medesimo
Soprattutto, è
stato attenuato l’eccessivo rigore del parametro utilizzato
dall’attuale disposizione sulla responsabilità dei
componenti del comitato di creditori (art. 41, settimo comma, r.d.),
la quale richiama, in quanto compatibile, l’articolo 2407 cod.
civ. in materia di responsabilità dei sindaci, compresa quindi
la responsabilità per la c.d. culpa
in vigilando. Tenute
presenti le profonde diversità esistenti tra le attività
del collegio sindacale e quelle del comitato dei creditori, nonché
il fatto che il rischio di incorrere in un tale tipo di
responsabilità per culpa
in vigilando ha prodotto
una certa riluttanza nell’accettare
la nomina a membro del
comitato dei creditori, si è ritenuto opportuno mitigare il
rigore di tale disposizione, richiamando soltanto il primo e terzo
comma del citato articolo del codice civile.
Quanto
all’azione di responsabilità
nei confronti dei componenti del comitato dei creditori, viene
precisato che la
legittimazione a proporla durante lo svolgimento della procedura
fallimentare spetta soltanto al curatore, previamente autorizzato dal
giudice delegato.
4) ulteriori
modifiche all’esercizio dell’azione revocatoria ed alla
disciplina dei rapporti giuridici pendenti:
all’articolo 67, terzo comma, lett. c) vengono aggiunti, tra
gli atti esentati dall’azione revocatoria fallimentare, oltre
ed alle stesse condizioni delle vendite, anche i preliminari di
vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del cod.
civ., i cui effetti non siano cessati ai sensi del terzo comma della
predetta disposizione.
La modifica
all’articolo 67, terzo comma, lett. d) ha la funzione di
ribadire, in coerenza con le previsioni di cui ai novellati articoli
161, terzo comma e 182-bis primo comma ed in accoglimento di una
specifica osservazione del Senato, che il professionista abilitato ad
attestare la ragionevolezza del piano di risanamento previsto dalla
disposizione in esame, oltre ad avere i requisiti previsti
dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d., deve essere
iscritto nel registro dei revisori contabili.
L’articolo 73 del
r.d. è stato completamente riscritto - dal comma 10 - alla
luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, in
quanto l’originaria formulazione, estesa a tutte le fattispecie
di vendita a termine o a rate, non era sistematicamente compatibile
con la disciplina dei rapporti pendenti. Infatti, la tutela del
venditore non fallito in tali contratti (tutela esplicantesi
nell’obbligo del curatore che subentra nel contratto di versare
il prezzo per l’intero) si giustifica soltanto nella ipotesi in
cui non sia avvenuto il passaggio della proprietà, il che
richiede l’apposizione della clausola sul riservato dominio.
Qualora la proprietà fosse stata trasferita prima del
fallimento il contratto sarebbe da considerarsi eseguito; nel
patrimonio del venditore residuerebbe un mero credito da far valere
nei confronti del fallimento secondo le regole del concorso.
L’articolo 74 del
r.d. - interamente sostituito dal comma 11 - era tradizionalmente
dedicato alla vendita a consegna ripartita ed alla somministrazione.
La norma aveva dato luogo a rilevanti problemi applicativi in
quanto disciplinante sia un
contratto ad esecuzione istantanea, sia pure a consegna differita,
che un contratto ad esecuzione continuata o periodica (la
somministrazione). Già nella riforma del 2006 la norma era
stata implementata con l’aggiunta della somministrazione di
servizi. Il chiaro intento del legislatore era quello di dettare una
norma più efficace con riguardo ai contratti di durata. La
formulazione rimaneva tuttavia problematica in quanto limitata a due
figure contrattuali specifiche.
Per questa ragione è
stato ritenuto preferibile scrivere una norma generalmente riferita a
tutti i contratti ad esecuzione
continuata o periodica.
All’articolo 80 -
sostituito dal comma 13 - è stato aggiunto un secondo comma
con il quale si è voluta limitare la durata dei contratti di
locazione di immobili stipulati prima del fallimento, e ciò al
fine di contemperare le esigenze dei terzi di tutela della stabilità
dei rapporti giuridici contratti con l’impresa poi fallita con
l’interesse del fallimento di evitare che l’esistenza di
un vincolo locatizio di lunga durata possa deprimere eccessivamente
il valore del bene al momento della vendita.
5) modificato
il procedimento di formazione del progetto di stato passivo: è
consentito al creditore di depositare, fino
al giorno dell’udienza
di verificazione dello stato passivo i documenti integrativi, resi
necessari a seguito delle conclusioni e delle eccezioni sollevate dal
curatore. Si supera, in tal modo, la fase di stallo che poteva
venirsi a creare qualora si impediva al creditore, oramai decaduto,
di superare con una nuova produzione documentale le conclusioni e le
eccezioni del curatore, costringendolo a proporre impugnazione
avverso il decreto di esecutività dello stato passivo per
ottenere un’ammissione che poteva essergli accordata fin
dall’inizio, con evidente economia processuale, anche in sede
di verificazione dello stato passivo.
Nel silenzio della
norma risulta ugualmente chiaro che il contraddittorio si
cristallizzerà soltanto all’udienza e che in quella sede
il curatore avrà la possibilità di prendere
definitivamente posizione sulla domanda di cui sia stata integrata la
documentazione probatoria.
6) modifiche
al concordato fallimentare:
il nuovo primo comma dell’articolo 124 presenta l’importante
novità consistente nel fatto che, per poter presentare la
proposta di concordato fallimentare, il debitore fallito deve aver
tenuto la contabilità e che i dati risultanti dalla stessa e
le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un
elenco provvisorio dei creditori.
Con la seconda
modifica, l’impedimento temporale di sei mesi dalla
dichiarazione di fallimento, per la presentazione della domanda di
concordato da parte del debitore fallito, viene elevata al termine
più congruo di un anno. Si rafforza in questo modo l’incentivo
all’utilizzazione della procedura alternativa di concordato
preventivo.
Al terzo comma, si
precisa che il debitore ha la possibilità di offrire un
pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un
privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma
anche a quelli muniti di un privilegio generale, sempre nella misura
in cui tale credito non risulti capiente.
Viene inoltre chiarito
che la relazione giurata sul valore di mercato attribuibile al
cespite o al credito dev’essere redatta da un professionista,
iscritto nel registro dei revisori contabili che abbia i requisiti di
cui all’articolo 28,
lett. a) e b) del r.d.
Il concordato è
approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti
ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il
concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre
nel maggior numero di classi.
In tal modo, si chiarisce che il voto favorevole della maggioranza
dei crediti ammessi al voto è sempre necessario per
l’approvazione di qualsiasi
tipo di concordato, anche quello che prevede la suddivisione
dei creditori in classi. In tal caso, difatti, oltre al voto
favorevole del maggior numero di classi, è comunque necessario
che il concordato riporti anche il voto favorevole della maggioranza
di tutti i crediti ammessi al voto.
Nell’articolo
128, quarto comma, della legge fallimentare la sostituzione delle
parole «una sentenza emessa» con le parole «un
provvedimento emesso» viene anch’essa a correggere un
difetto di coordinamento, posto che all’esito dei procedimenti
ex artt. 98 e 101 del r.d. è emesso decreto e non sentenza.
Il comma primo del
nuovo art. 137 del r.d. riserva ai soli creditori la legittimazione a
chiedere al risoluzione del concordato: la modifica è coerente
con l’impostazione di fondo della disciplina del concordato
accolta dalla riforma e con la scelta di abolire, in linea di
principio, l’iniziativa officiosa del tribunale.
7) modifiche
al concordato preventivo:
la normativa precedentemente in vigore non consentiva, in sede di
concordato preventivo, ed a differenza di
quanto poteva invece accadere nell’ambito di un concordato
fallimentare, di offrire un pagamento in percentuale dei creditori
privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro credito
destinata a rimanere comunque insoddisfatta avuto riguardo al
presumibile valore di realizzo dei beni sui quali il privilegio cade.
Si è quindi
voluto, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso allo
strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica
diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare,
prevedere che anche la proposta di concordato preventivo possa
contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati,
sempreché la misura del soddisfacimento proposta non sia
inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei
beni sui quali il privilegio cade. Il
debitore ha la possibilità di offrire un pagamento in
percentuale non solo ai creditori
muniti di un privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia
incapiente, ma anche a quelli muniti di un privilegio generale,
sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente.
Anche in questo caso,
in coerenza con quanto dispongono i novellati articoli 67, terzo
comma, lett. d), 161, terzo comma e 182-bis primo comma del r.d., si
ribadisce che, il professionista abilitato a redigere il piano
attestato di risanamento previsto dalla disposizione
in esame, oltre ad avere i requisiti previsti dall’articolo
28, lettere a) e b) del r.d., deve essere iscritto
nel registro dei revisori contabili.
La normativa
precedentemente in vigore prevedeva criteri difformi in ordine ai
requisiti che il professionista incaricato di redigere le
attestazioni previste dagli articoli 67, comma terzo, lett. d),
dall’art. 161 e dall’art.
182 bis doveva possedere. Si è deciso, quindi, di uniformare i
requisiti previsti dalle citate disposizioni prevedendo, in
considerazione del fatto che si tratta di una attività avente
un contenuto marcatamente tecnico-contabile, che il professionista
incaricato, oltre a possedere le caratteristiche contemplate
dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d., debba essere
iscritto nel registro dei revisori contabili.
L’articolo
162 necessitava di una riscrittura al fine di adeguarne il contenuto
alle modificazioni che le norme in esso richiamate avevano subito già
in occasione dell’intervento operato con la legge 14 maggio
2005, n. 80, di conversione del decreto legge 16 marzo 2005, n. 35.
La nuova norma
disciplina l’ipotesi di inammissibilità della proposta
concordataria disponendo che il tribunale può concedere al
debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare
integrazioni al piano e produrre nuovi documenti e che se, all’esito
del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui
all’articolo 160, primo ed al secondo comma, e dell’articolo
161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non
soggetto a reclamo, il medesimo tribunale, dichiara inammissibile la
proposta di concordato.
La norma dispone
altresì che in questa ipotesi il tribunale, su istanza di
parte o del pubblico ministero, pervenga alla dichiarazione di
fallimento all’esito
del medesimo procedimento, purché al debitore sia stata
previamente contestata l’insolvenza
e, dunque, la possibilità che ne fosse dichiarato il
fallimento e, ovviamente, purché venga accertata la
sussistenza dei presupposti, oggettivo e soggettivo, per la
dichiarazione di fallimento.
In tal modo, si rende
proponibile avverso la sentenza il reclamo previsto dall’art.
18 anche per far valere motivi attinenti all’ammissibilità
della proposta di concordato.
Con l’inserimento
di quattro nuovi commi nell’articolo 182, si viene a dettare
una più completa e razionale disciplina della liquidazione dei
beni ceduti ai creditori col concordato, garantendo che le operazioni
liquidatorie si svolgano correttamente ed efficacemente
nell’interesse dei creditori. In particolare, l’ampliamento
dell’uso degli strumenti negoziali e la maggiore scioltezza che
caratterizzano la nuova disciplina della liquidazione dell’attivo
nel fallimento inducono ad estendere tale disciplina alla fase
liquidatoria del concordato preventivo, la quale allo stato è
rimessa alla discrezionalità del liquidatore ed alle
“modalità”
non meglio individuate che dovrebbero essere stabilite dal tribunale
ai sensi del primo comma dell’art.
182. L’ampliamento dei
poteri autorizzatori del comitato dei creditori è in
sintonia col nuovo regime degli
organi del fallimento, a maggior tutela del ceto creditorio.
Nulla è stato
cambiato quanto alla necessità che i creditori estranei
all’accordo vedano il loro credito pagato in modo regolare,
ossia per l’intero ed alla scadenza.
Alla norma è
stato aggiunto un secondo comma, che sancisce, nelle more del
procedimento omologatorio e comunque per un tempo non superiore a
sessanta giorni, la sospensione ope
legis degli atti
esecutivi e delle azioni cautelari sul patrimonio del debitore. La
protezione automatica del patrimonio del debitore risulta funzionale
all’attuazione dell’accordo e, in particolare, alla sua
idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei. Si è voluto in questo modo ovviare ad una delle
questioni che maggiormente potevano avere reso poco conveniente la
presentazione di un accordo di ristrutturazione, al fine di rendere
più agevole l’utilizzazione di un istituto che non ha
avuto, ad oggi, la diffusione auspicata.
8) modifiche
alla procedura di esdebitazione: è
stata estesa retroattivamente l’applicazione
del beneficio
dell’esdebitazione anche alle procedure
fallimentari pendenti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore
del decreto legislativo n. 5 del 2006. In tal modo, il
beneficio dell’esdebitazione
potrà essere accordato a tutti i falliti, indipendentemente
dalla data di apertura della
procedura fallimentare. Per le procedure fallimentari innanzi dette,
chiuse prima della data di entrata in vigore del presente decreto, la
norma prevede che le domande di esdebitazione debbano essere
presentate nel termine di un anno dalla medesima data.
Data di
pubblicazione: 7 dicembre 2007.