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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

 

Il sale and lease back nella giurisprudenza della Suprema Corte

Giovanna Cucinella

 

Per anni dottrina e giurisprudenza si sono occupati della questione del sale and lease – back (o leasing di ritorno), contratto atipico nato nella pratica commerciale come evoluzione di un ulteriore atto negoziale atipico, seppur ormai di utilizzo consolidato nel mondo economico, quale è il leasing.

L’incerta qualificazione giuridica ha dato il via ad una evoluzione del pensiero che solo di recente è approdato ad una visione univoca tale da definire il sale and lease – back come contratto atipico da inquadrare “in uno schema dotato di una sua qualificante tipicità sociale” (cfr. Corte di Cassazione n. 4612 del 07/05/1998).

Il contratto di sale and lease – back, infatti, non trova disciplina nel codice civile. Introdotto nella prassi dei rapporti commerciali quale espressione dell'autonomia negoziale riconosciuta alle parti di cui all'art. 1322 del c.c. , ha geneticamente nel leasing il proprio antecedente storico.

Vero è che in epoca risalente il contratto di lease-back è stato, persino, dichiarato nullo da una certa giurisprudenza[1] in quanto ritenuto sostanzialmente riconducibile ad un mutuo assistito da garanzia reale e, quindi, in contrasto con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., ma è altrettanto indiscutibile che non si possa, sulla scorta degli ordinari canoni di interpretazione dei contratti di cui agli artt.1362-1371 del Codice Civile, tout court ravvisare in ogni contratto di lease-back un mutuo assistito da garanzia reale pur in mancanza di una prova specifica e rigorosa della simulazione posta.

Ciò per la semplice ragione che laddove la volontà dei contraenti è espressa con chiarezza, la ricerca della comune volontà, attraverso le regole interpretative contenute nelle predette norme, è – secondo gli orientamenti della Suprema Corte – già esaurita o, addirittura, esclusa[2] .

Il problema relativo ai rapporti tra il patto commissorio e la locazione finanziaria di ritorno nasce dal fatto che la Suprema Corte ha allargato l’ambito di applicabilità dell’art. 2744 c.c. sino a farvi rientrare le cd. <<alienazioni in garanzia>>, vale a dire quelle vendite che non hanno lo scopo di trasferire la proprietà di un bene, dietro pagamento del prezzo da un soggetto ad un altro, bensì quello di costituire in capo al creditore una garanzia su di un bene affinché possa soddisfarvisi nell’eventualità che il debitore non adempia l’obbligazione.

Se ci si ferma a tale dato letterale, potrebbe, (invero) anche sorgere qualche dubbio sulla liceità del lease – back atteso che quest’ultimo per la sua struttura può essere un mezzo per eludere l’applicazione della norma imperativa di cui al citato art. 2744 c.c. .

Sennonché nello schema contrattuale di che trattasi, il trasferimento della proprietà del bene è effettivamente voluto dalle parti e non può essere ritenuto meramente fittizio senza che sia provata l’avvenuta simulazione.

Senza considerare, poi, che nel lease – back non esiste un tipico elemento della alienazione in garanzia e cioè il preesistente credito da garantire.

Pertanto, può concludersi che nonostante l’orientamento giurisprudenziale (peraltro, come si dirà nel proseguo, ormai superato) teso ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 2744 c.c., il lease – back non rientri nell’ambito delle fattispecie colpite dal divieto del patto commissorio.

D’altro canto o v’è in concreto una prova specifica che la locazione finanziaria di ritorno dissimuli un mutuo con patto commissorio oppure, in caso contrario, deve ammettersi la liceità della stessa[3].

Il lease – back si sostanzia in un negozio bilaterale in cui il proprietario vende un bene ad un soggetto il quale, a sua volta, cede il bene stesso in locazione finanziaria a colui che in precedenza ne era stato proprietario. Si è in presenza di un contratto atipico in cui a fronte dei due negozi, uno di vendita e l'altro di locazione, rileva un unico rapporto contrattuale[4] .

Nell'ambito di tale configurazione, i soggetti in causa non sono due ma tre ed in particolare, l'utilizzatore si obbliga a restituire il tantundem in denaro, rapportato al prezzo di acquisto del bene, riservandosi, peraltro, di decidere alla scadenza del contratto se acquistarne o meno la proprietà. I canoni non costituiscono il corrispettivo del trasferimento dell'utilità del bene, bensì del denaro prestato dal concedente (più gli interessi); per cui il passaggio a quest'ultimo della proprietà del bene, non avendo lo scopo di procurare al finanziato la disponibilità del bene (dato che questi già l'aveva) riveste una funzione di mera garanzia. Pertanto, oggetto del finanziamento non è l'utilitas del bene, ma il denaro.

Rileva la Suprema Corte come la preventiva cessione del bene costituisca il necessario presupposto per la concessione del bene in "leasing"; non è dunque, una vendita a scopo di garanzia bensì una vendita a scopo di "leasing" (Cassazione n. 4612 del 7 maggio 1998).

E' da rilevare come la causa finanziaria del contratto di lease – back  - erroneamente - ha indotto ad equiparare tale figura contrattuale all'operazione di mutuo (delibera SECIT n. 80 del 22 novembre 1988), ex art. 1813 del codice civile, con il quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili verso la restituzione di altrettante cose della stessa specie e qualità.

La giurisprudenza ha affermato l'autonomia e la legittimità dello schema contrattuale del sale and lease-back nel momento in cui ha negato l'incompatibilità con il divieto di patto commissorio ex art. 2744 del codice civile[5].

In particolare, con la sentenza n. 10805 del 16 ottobre 1995, la Cassazione ha chiarito che lo schema negoziale "socialmente tipico del lease-back presenta autonomia strutturale e funzionale" quale contratto di impresa e, dunque, presenta caratteri peculiari, soggettivi ed oggettivi, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt.1344 e 2744 del codice civile (cfr. sentenze Cassazione n. 11276/1995, n. 6663/1997 e n. 4612/1998, cit.).

Ne consegue che le caratteristiche che sottostanno a tale schema contrattuale non consentono di ritenere che esso integri una fattispecie che - in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia - si risolva in un negozio atipico, nullo per illiceità della causa concreta.

Anche sul piano fiscale le commissioni tributarie da sempre si sono orientate in favore della legittimità del contratto di leasing di ritorno, tanto è vero che la prima pronuncia in tal senso è datata 1 giugno 1991.

La delibera del Secit del 7 giugno 1999, n. 55 rappresenta lo spartiacque che consente di identificare la mutata sensibilità , rispetto alle problematiche oggetto di discussione.

La Circolare del Ministero delle Finanze del 30 novembre 2000, n. 218/E precisa però che anche il lease-back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti o fraudolenti ed in particolare ai fini di violazione o di elusione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 del codice civile. In tal caso le operazioni effettuate in esecuzione del medesimo contratto, qualificato da causa illecita, non potrebbero trovare riconoscimento ai fini fiscali.

Peraltro, la stessa Suprema Corte[6] ha affermato che gli uffici non possono procedere a riqualificare in termini sostanziali il rapporto giuridico sottostante al contratto di lease-back, tranne che nei casi in cui sia possibile rilevare anomalie rispetto al contratto socialmente tipico. Ove ciò si verificasse, tali anomalie andrebbero a privare la concreta operazione di quelle connotazioni specifiche, idonee per attribuire la qualificazione di vendita avente come scopo il leasing anziché di garanzia. La Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia con circolare 24 maggio 2000, n. 20, ha ritenuto che tali anomalie siano rappresentate da elementi oggettivi, idonei a far presumere l'intento elusivo delle parti, e siano riconducibili a specifiche situazioni, quali:

a) la presenza di una situazione di debito preesistente o contestuale alla vendita tra cedente e cessionario del bene poi concesso in leasing;

b) il bene che permane nella disponibilità della società di leasing;

c) la mancanza di interesse dell'apparente venditore-utilizzatore ad usare il bene oggetto di leasing;

d) la sproporzione tra valore elevato del bene e prezzo esiguo pagato dalla società di leasing al venditore-utilizzatore;

e) il tasso di interesse applicato all'operazione, particolarmente gravoso;

f) l'elaborazione di vincoli contrattuali che impongono all'utilizzatore la corresponsione di tutti i canoni fino alla scadenza del contratto, anche nell'ipotesi in cui sia risolto anticipatamente;

g) la facoltà concessa all'utilizzatore di sub-locare il bene.

Conclusioni

In definitiva, l’operazione di lease - back è caratterizzata da uno schema negoziale tipico nel cui ambito il trasferimento in proprietà del bene all'impresa di leasing rappresenta il necessario presupposto per la concessione del bene in "locazione finanziaria", e non è quindi preordinato per sua natura e nel suo fisiologico operare ad uno scopo di garanzia, né - tanto meno - alla fraudolenta elusione del divieto posto dall'art. 2744 c.c. (in tal senso, Cass. 06 agosto 2004 n. 15178).

Pertanto, pur dovendosi ammettere che anche il lease and sale back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti e fraudolenti (e, in particolare, a fini di violazione o di elusione del divieto del patto commissorio), deve tuttavia sottolinearsi che tale ultima ipotesi si realizza solo se, per le circostanze del caso concreto (difficoltà economiche dell'impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente che confermi la validità di tale sospetto), l'operazione si atteggi in modo da perseguire un risultato confliggente con il divieto sancito dall'art. 2744 c.c. (in termini, ad esempio, Cass. 22 aprile 1998, n. 4095).

Pertanto, in base alle conclusioni cui sono pervenute sia la dottrina che la giurisprudenza[7], e ribadite da ultimo, dalla Suprema Corte con sentenza n. 13580 del 21 luglio 2004, sempre che non siano rilevabili i motivi di contrasto di cui sopra, le operazioni di sale e lease-back sono perfettamente legittime, e ciò in quanto “il sale and lease back non è preordinato per sua natura ad uno scopo di garanzia né alla fraudolenta elusione del divieto stabilito dal codice civile”.

 



[1] Per tutti, Tribunale di Verona 15/12/1988 e Corte d’Appello di Brescia 29/06/1990;

[2] Per tutti, Galgano, “Il negozio giuridico” in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu – Messineo, Milano, 1988, pagg. 407 e ss.;

[3] Sul punto, Bussani – Cendon “I contratti nuovi”, Milano, 1989; De Nova “il contratto di leasing”, Milano, 1985;

[4] peraltro l'atto è perfettamente legittimo avendo causa lecita, infatti l'illiceità rileva solo nell'eventualità di contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume; mentre il contratto è assimilato a quelli con causa illecita solo se adottato al fine di eludere una specifica norma imperativa; si parla di contratto illecito se concluso per un motivo illecito comune ad entrambe le parti;

 

[5] In tal senso, è ormai pacifico, che è nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Infatti già con sentenza del 22 marzo 1979 il Tribunale di Roma aveva affermato che "nel caso in cui il futuro utilizzatore trasferisca la proprietà dell'immobile al futuro concedente e questo glielo conceda in leasing non si ha compravendita dissimulante un mutuo con patto commissorio, di cui l'art. 2744 del codice civile commina la nullità, ipotesi che ricorre quando il trasferimento della proprietà avviene a seguito del mancato pagamento del debito";

[6] Sentenza n. 4612 del 7 maggio 1998, cit.;

[7] Tra gli altri, Cassazione n. 9944 del 28 luglio 2000.

 

Data di pubblicazione: 9 febbraio 2007.