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Vol. IV/2006

 

Casella di testo:  Rivista di Diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente
	                                                                         
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L’imprenditore ittico secondo il d.lgs. n. 154 del 26 maggio 2004 *

 

Eva Faraci **

 

Al fine di chiarire e precisare lo stato attuale della legislazione in tema di imprenditore ittico appare necessario, preliminarmente, evidenziare l’evoluzione normativa che ha caratterizzato il diritto della pesca in generale, ed in particolare, l’impresa ittica[1], facendo un breve excursus che tenga conto delle ragioni che hanno portato, in un certo senso, a far migrare il diritto della pesca dal diritto della navigazione al diritto agrario.

Tale migrazione è stata determinata ed indirizzata dalla evoluzione normativa intervenuta sul tema e dall’influenza delle norme comunitarie da sempre improntate alla assimilazione, stante il fine comune della produzione per scopi alimentari, della pesca all’attività agricola.

Esemplare è in tal senso l’art. 38 del Trattato di Roma secondo cui “Per prodotti agricoli s’intendono i prodotti del suolo, dell’allevamento e della pesca”.

La copiosa normativa intervenuta in materia di pesca nel corso degli anni è segnata dal passaggio da una iniziale concezione della pesca quale libera esplicazione di facoltà umane, con la conseguente prevalenza degli interessi privatistici in vista dell’individuazione e della tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, lo ius piscandi, ad una progressiva e graduale pubblicizzazione della materia (esemplare in tal senso è il cammino da un regime in cui vigeva il permesso di pesca ad uno in cui viene introdotta la licenza di pesca rilasciata in via del tutto discrezionale dall’autorità, con conseguente degradazione dello ius piscandi a mero interesse legittimo).

La progressiva pubblicizzazione va necessariamente intesa anche quale effetto degli spunti emergenti dalla normativa internazionale, in particolare dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 1982, dalla quale emerge la consapevolezza della esauribilità delle risorse biologiche marine e la necessità di provvedere ad un ridimensionamento della libertà di pesca e ad una elevazione al grado di interesse generale e pubblico delle esigenza connesse allo sfruttamento delle risorse medesime, al fine di consentirne lo sfruttamento ottimale ed evitarne l’impoverimento o addirittura l’esaurimento.

Anche nella legislazione internazionale, come in quella comunitaria, emerge ed assume rilievo preminente  il fine economico- produttivo perseguito dall’attività di pesca, ossia la produzione di organismi acquatici da immettere sul mercato per esigenze alimentari, piuttosto che il momento tecnico strumentale dell’utilizzazione della nave.

Oltre ad una graduale pubblicizzazione della materia si assiste al passaggio, ai fini di un inquadramento sistematico del diritto della pesca, dal diritto della navigazione al diritto agrario.

Il codice della navigazione dedica poche norme (artt. 216-223 e art. 408 reg.) all’attività di pesca, limitandosi peraltro a regolare unicamente l’attività di pesca marittima tra le navigazioni speciali e senza far alcun cenno alla pesca nelle acque interne, secondo una impostazione che privilegia l’aspetto strumentale della navigazione (il c.d. momento nautico), e si contrappone alla impostazione della normativa comunitaria che sembra assegnare un ruolo centrale al fatto economico della produzione per fini alimentari, al fine di giungere ad una equiparazione della pesca all’agricoltura.

In sintesi, mentre per il codice della navigazione e per la successiva legislazione italiana è centrale, ai fini dell’inquadramento sistematico, il momento nautico, ciò che rileva per la legislazione comunitaria è l’aspetto economico-funzionale della produzione di organismi acquatici da immettere sul mercato per finalità alimentari, al pari di quanto accade per i prodotti del suolo e dell’allevamento.

Oggi può dirsi che il diritto della pesca è una disciplina caratterizzata da scarsa omogeneità, risultando, per un verso in considerazione del momento nautico, parte del diritto della navigazione, per altro, laddove ci si riferisca all’allevamento e quindi all’acquacoltura, parte del diritto agrario, e per altro ancora, assegnando ruolo preminente al fine economico della produzione per esigenze alimentari, condizionata da norme e principi contenuti in fonti sopranazionali.

Conseguentemente, l’inquadramento tradizionale del diritto della pesca all’interno del diritto della navigazione, fondato sul ruolo preminente assegnato al momento nautico, deve, per le ragioni sopra esposte, essere ripensato, specie ove si consideri che la tendenza rappresentata dall’attribuire un ruolo centrale al fine economico della produzione per scopi alimentari ha permeato anche la legislazione nazionale più recente[2] in tema di pesca e acquacoltura.

In definitiva, il diritto della pesca può oggi inquadrarsi nell’ambito del diritto agrario, mentre l’aspetto tecnico-strumentale dell’esercizio della nave, divenuto oggi secondario e meramente eventuale, si pensi all’acquacoltura, rimane disciplinato dal diritto della navigazione.

Il processo di progressiva agrarizzazione[3] della materia della pesca, determinato dal complesso delle ragioni sinteticamente descritte, ha interessato in modo particolare anche la nozione di imprenditore ittico, in tal senso da un iniziale inquadramento nell’ambito dell’impresa commerciale si è passati ad una equiparazione, per espressa volontà legislativa, di questo ultimo all’imprenditore agricolo[4].

Per capire questa evoluzione, che costituisce una conseguenza quasi obbligata del passaggio, ai fini dell’inquadramento sistematico della materia, dal diritto della navigazione al diritto agrario e le cui principali ragioni sono state sopra individuate, occorre dar conto delle tesi sviluppatesi prima dei decreti di orientamento del 2001, ed in particolare del d.lgs. 226/2001.

Anteriormente all’intervento del legislatore, per alcuni versi chiarificatore e per altri foriero di incertezze, le tesi che si contendevano il campo sulla natura giuridica dell’impresa di pesca erano essenzialmente volte, con esclusione di qualche voce isolata che ne auspicava l’assimilazione all’impresa agricola, ad inquadrare l’impresa di pesca nell’ambito della impresa commerciale, sia pure con l’utilizzo di argomentazioni e riferimenti normativi del tutto diversi.

Il punto principale affrontato dalla dottrina che si è occupata dell’argomento è stato quello della natura giuridica della impresa di pesca e sebbene ci fosse sostanziale accordo, salvo qualche voce isolata e profetica cui si è fatto cenno, sulla tesi della commercialità, in realtà la maggioranza degli autori ne riscontrava il fondamento normativo nell’art. 2195 n.1 c.c.[5], includendo l’attività di pesca nell’ambito delle attività industriali , ossia dirette alla produzione di beni o di servizi, altra dottrina invece faceva riferimento al n. 3 della stessa norma che prevede l’attività di trasporto per terra per acqua o per aria [6].

Questo secondo inquadramento si  fondava sulla considerazione che l’attività di pesca non poteva includersi tra le attività industriali, intendendosi per tali quelle dirette alla produzione di beni, poiché l’attività industriale è tale quando crea una realtà effettuale nuova che non si produrrebbe naturalmente, o non si produrrebbe in tal modo, e si contrappone a quelle attività come la produzione agricola o la pesca che rientrano tra le produzioni originarie, ossia quelle che sfruttano la produttività originaria di un bene o fattore preesistente.

Tale impostazione, considerando che l’attività di pesca si traduce in una mera apprensione di ciò che già esiste ed è perfettamente creato dalla natura, ne escludeva l’inclusione nell’ambito delle attività industriali.

In realtà così non sembra ove la pesca si consideri globalmente e la si accosti alla acquacoltura, laddove vi è la cura, se non in certi casi, un intervento da parte dell’uomo nel ciclo biologico degli organismi coltivati.

Sulla scorta di tale ragionamento, la semplice cattura o raccolta del pesce non era sufficiente a fondare l’esistenza della commercialità, che doveva però essere riconosciuta in presenza di una pesca marittima realizzata a mezzo dell’esercizio di una nave, poiché in tale ipotesi la navigazione per la pesca implica una attività di trasporto per mare per fini economici, che certamente rientra tra le attività che costituiscono possibile oggetto della impresa commerciale

La dottrina maggioritaria respingeva le conclusioni cui perveniva tale autorevole ed affascinante inquadramento sulla base della constatazione che la costruzione del carattere della industrialità, che ne  costituiva il fondamento, risultava estremamente ristretta e quindi inaccettabile.

Sul punto si rilevava che l’industrialità può ben rivenirsi nell’attività di pesca poiché la trasformazione ed elaborazione di un bene preesistente sussiste anche quando la trasformazione che il bene subisce non è di tipo materiale, ma è di tipo economico e giuridico, come accade nel caso della pesca, allorquando il complesso delle operazioni poste in essere dall’imprenditore ittico consente, attraverso l’apprensione e l’occupazione del bene, di attribuirgli una nuova utilità quale quella di destinazione al mercato per il soddisfacimento di finalità alimentari.

Pertanto, prima della assimilazione alla impresa agricola operata dal d.lgs. 226/01, non sussistevano ostacoli di sorta ad inquadrare l’attività di pesca tra quelle industriali, e quindi tra quelle oggetto dell’impresa commerciale ex art. 2195 n.1, e si osservava che l’inquadramento dell’impresa di pesca tra le imprese di trasporto per mare, di cui al n.3 della stessa norma, appariva errato sulla base della considerazione che l’impresa di pesca non implica un trasporto in senso tecnico di persone per mare, quanto, piuttosto, semplicemente il trasferimento per acqua di persone o cose per l’esercizio della pesca.

In conseguenza la disciplina applicabile diveniva quella dettata per l’imprenditore commerciale per la pesca marittima, purché si fosse in presenza dei requisisti fissati dal 2082 c.c, mentre per l’acquacoltura e l’allevamento ittico il riferimento era costituito dalla disciplina in tema di imprenditore agricolo.

Si è detto che una voce profetica[7] già allora osservava come attribuendo rilievo agli indici positivi contenuti negli artt. 2195 e 2135 c.c., e ricorrendo all’analogia per disciplinare quelle attività non riconducibili alle due norme, in realtà le affinità tra impresa di pesca ed agricola risultavano maggiori di quelle tra la prima e l’impresa commerciale, circostanza quest’ultima confermata dal legislatore del 2001, e ribadita dal legislatore del 2004.

Invero l’assimilazione dell’imprenditore ittico all’imprenditore agricolo è stata realizzata con il d.lgs. 2001/226 che la ha prevista espressamente, ed era già stata annunciata con la scelta normativa della legge del 1992 che aveva ricondotto espressamente l’acquacoltura all’agricoltura, legge quest’ultima da intendersi oggi tacitamente abrogata per effetto della riformulazione dell’art. 2135 c.c. operata dal d.lgs. 228/01[8].

Appare quindi chiaro ed evidente come a seguito di tale intervento legislativo debbano definitivamente ritenersi superate, da un lato, grazie al d.lgs. 218/2001 le problematiche prospettate dalla dottrina, prima della l. 102 del 1992 e della successiva riformulazione dell’art. 2135 c.c., in ordine all’inquadramento dell’acquacoltura nell’attività agricola, e, dall’altro, in seguito al d.lgs. 226/2001, sull’espresso riconoscimento dell’impresa ittica quale categoria di impresa avente cittadinanza nel nostro ordinamento.

Per quel che riguarda le novità introdotte dal d.lgs.154/2004, occorre necessariamente partire dall’esame del primo comma del novellato art. 2, contenente la nozione di imprenditore ittico[9].

Sul punto possono solo sottolinearsi ed avvalorarsi, le osservazioni formulate in dottrina, già all’indomani della emanazione del d.lgs. 226 /2001, riguardo all’ampiezza delle possibili applicazioni della norma.

Tale ampiezza deriva dall’utilizzo, ai fini della descrizione dell’attività, dei verbi catturare e raccogliere, ove il primo si riferisce agli organismi acquatici in grado di opporre resistenza al pescatore, ed il secondo alla operazione di prelievo di esseri viventi non dotati di funzioni motorie[10].

I punti di novità introdotti dal recente intervento del 2004 rispetto a questo primo comma sono essenzialmente tre: l’utilizzo del termine professionale riferito alla pesca, per sottolineare, ove ce ne fosse bisogno, che il pescatore amatoriale non è imprenditore, con ciò omettendo di considerare un dettaglio non trascurabile quali i requisiti contenuti nell’art. 2082 c.c.[11] che offre la definizione generale di imprenditore.

Inoltre si sottolinea che anche l’esercizio in forma in forma singola o associata o societaria da luogo ad impresa ittica, con ciò fornendo una precisazione del tutto superflua stante che nessun dubbio era stato sollevato sul punto dai commentatori del d.lgs. 226/2001, in cui tale precisazione era assente.

Infine vi è l’eliminazione dell’esplicito riferimento alla attuazione degli interventi di gestione attiva, finalizzati alla valorizzazione produttiva ed all’uso sostenibile degli ecosistemi acquatici, attività che può considerarsi certamente connessa a quella dell’imprenditore ittico e che va qualificata, in virtù della citata soppressione e della mancata inclusione della stessa tra le attività connesse di cui al successivo art.3,  come una attività connessa atipica.

Passando all’esame del comma secondo[12], emerge con assoluta chiarezza come il legislatore abbia, con tali riferimenti, inteso equiparare agli imprenditori ittici le loro cooperative, qualunque fosse l’attività svolta in concreto dalle medesime, e quindi anche quelle ad esempio dirette alla produzione di navigli e reti, con ciò tradendo, forse quello che era lo spirito iniziale, ossia favorire la costituzione di cooperative tra imprenditori ittici, volte sia alla commercializzazione del pescato che all’acquisto dei beni e servizi necessari per lo svolgimento della attività, purché rispettivamente proveniente in misura prevalente dai consorziati o destinata, in misura prevalente ai medesimi.

Sul punto i primi commentatori del d.lgs. 154/2004 hanno auspicato una interpretazione teleologica della norma che tenga conto dei fini sopra riferiti, ancorché essi non emergano da una prima lettura, e ciò allo scopo di restringere entro limiti ragionevoli il campo di applicazione della medesima.

Il terzo comma[13] si affanna a chiarire, ove ce ne fosse bisogno, che è imprenditore anche chi vende i propri prodotti, quasi che si potesse considerare imprenditore anche chi produce per auto consumare, in tal modo trascurando tutte le conclusioni negative formulate in dottrina in ordine alla possibilità di qualificare come impresa la c.d. impresa per conto proprio.

Passando al quarto comma[14], la assoluta inutilità delle affermazioni in esso contenute, analogamente a quelle del successivo settimo comma, appare con tutta evidenza, in essi il legislatore non fa altro che ribadire la necessità dell’applicazione delle leggi vigenti, del rispetto dei contratti collettivi di lavoro e delle leggi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

La previsione contenuta nel quinto comma[15] non è una novità ma è soltanto una conferma della equiparazione dell’impresa ittica a quella agricola, già contenuta nel decreto del 2001 e motivata dal complesso di ragioni ampiamente individuate in premessa.

Il comma sesto[16] richiama l’autocertificazione di cui alla legge in tema di sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili da pesca nazionali.

Infine, l’ottavo comma[17] è da interpretarsi come norma diretta alla PA che, qualora dovesse decidere di realizzare delle concessioni di aree demaniali marittime o di zone di mare territoriale per la realizzazione di attività di acquicoltura, dovrà prevedere una durata della concessione che consenta di recuperare i fondi spesi per realizzare l’iniziativa prevista sul bene concesso.

Con la nuova formulazione dell’art. 3, che individua le attività connesse all’impresa ittica, deve dirsi che poco o nulla è cambiato.

In primo luogo, la elencazione ivi contenuta deve ritenersi meramente esemplificativa, e non tassativa, specie ove si consideri che la soppressione dell’esplicito riferimento alla attuazione degli interventi di gestione attiva, finalizzati alla valorizzazione produttiva ed all’uso sostenibile degli ecosistemi acquatici, dapprima contenuto impropriamente tra le attività essenziali di cui all’art.2, non consente all’interprete di sostenere che essa non possa qualificarsi come una attività connessa, e quindi come attività connessa atipica.

In secondo luogo, analizzando la prima parte del primo comma del novellato art. 3 [18] , emerge che il legislatore ha inteso qualificare le attività connesse con l’ausilio dei criteri della prevalenza e della normalità, analogamente a quanto accaduto per l’impresa agricola con la riformulazione dell’art. 2135 c.c..

Proseguendo l’esame della nuova normativa può rilevarsi che mentre la lettera a) [19], che disciplina il pescaturismo[20] è sostanzialmente rimasta immutata, la lettera b) [21], che individua l’ittiturismo, da luogo ad una scoperta a dir poco sconcertante, ossia che le attività dell’acquicoltore si considerano connesse alla pesca.

Ciò emerge dall’utilizzo in sede di definizione dell’ittiturismo, quale attività connessa all’impresa di pesca, delle locuzioni che fanno riferimento agli ecosistemi vallivi ed alla valorizzazione degli aspetti socio culturali delle imprese di acquacoltura.

In realtà tali attività, stante l’inclusione dell’acquacoltura nella definizione di imprenditore agricolo, di cui al novellato art. 2135 c.c., debbono considerarsi attività connesse all’impresa agricola poiché tale è l’acquacoltura, nonostante manchi nel 2135 c.c. un esplicito riferimento al c.d. turismo vallivo.

Infine per quel che riguarda la lettera c[22], a parte alcune sottigliezze terminologiche, quali ad esempio l’eliminazione dei termini all’ingrosso ed al dettaglio prima riferiti alla vendita, oggi si parla in senso ampio di commercializzazione, e la soppressione dell’inciso secondo cui la valorizzazione e la promozione deve riguardare prevalentemente i prodotti della propria attività[23], va sicuramente criticato l’ennesimo riferimento alla acquicoltura qui contenuto per le medesime ragioni sopra esposte.

Dall’esame del contenuto degli ultimi due commi[24], emerge solamente un superfluo richiamo di norme.

Complessivamente, può quindi concludersi che l’intervento del legislatore, tradottosi nella emanazione del d.lgs. 154/2004, non ha dato i frutti sperati dalla dottrina che si è occupata di commentare i decreti di orientamento del 2001, poiché non ha fatto altro che eliminare delle incertezze per introdurne di altre.

Forse l’unica ed innegabile nota positiva, è la soppressione del più rilevante tra i problemi interpretativi introdotti dal d.lgs. 226/2001, ossia il rinvio espresso dapprima contenuto nell’art. 2 comma quarto alla legge in tema di acquicoltura l. 102/1992, stante l’abrogazione tacita della medesima intervenuta a seguito della nuova formulazione dell’art. 2135 c.c, che enuclea tra le attività essenziali dell’imprenditore agricolo anche l’acquacoltura.

Da ultimo va osservato che, ai sensi dell’art. 12 della legge del 20 febbraio 2006 n. 96[25], sono considerate attività assimilate alle attività agrituristiche le attività svolte dai pescatori relativamente all'ospitalità, alla somministrazione dei pasti costituiti prevalentemente da prodotti derivanti dall'attività di pesca, nonché le attività connesse ai sensi del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 226, e successive modificazioni, ivi compresa la pesca-turismo.

Da ciò discenderebbe una esigenza di coordinamento tra la disciplina contenuta nell’art.3 del d.lgs. 2001/226, novellato dall’art. 6 del d.lgs. 154/2004, che, nel regolare e definire le attività connesse alla pesca, si occupa alle lettere a) e b) rispettivamente del pescaturismo e dell’ ittiturismo, ed il citato art.12 della legge del 20 febbraio 2006 n. 96,  secondo cui le medesime sono assimilate alle attività agrituristiche.

Invero, la soluzione del problema sembra essere agevole laddove si pensi che le attività di pescaturismo ed ittiturismo, sia che le si consideri connesse alla pesca, alle condizioni di cui al citato art. 3 del d.lgs del d.lgs. 2001/226, sia che le si inquadri come assimilate alle attività agrituristiche, ai sensi dell’art.12 della legge del 20 febbraio 2006 n. 96, saranno comunque soggette alla disciplina dettata per l’imprenditore agricolo nell’art. 2135 c.c., e ciò per effetto dell’espressa equiparazione tra l’imprenditore ittico ed agricolo contenuta nel d.lgs. 154/2004.

 

 



* Il presente articolo riproduce, con gli opportuni aggiornamenti, il testo della relazione svolta al Seminario Internazionale congiunto di Diritto Marittimo Palermo – Barcellona dal titolo “La legislazione sulla pesca marittima nell’ordinamento italiano e spagnolo”, svoltosi il 15 aprile 2005 presso il Dipartimento di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, Università degli Studi di Palermo.

** Dottore di ricerca in Diritto dell’impresa, Università degli Studi di Palermo; titolare di assegno di ricerca presso il  Dipartimento di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, Università degli Studi di Palermo, avvocato del foro di Agrigento.

[1] Per una bibliografia generale. G. Romanelli, Brevi considerazioni sull’impresa di pesca, in Regioni e Pesca marittima (atti del convegno di Pescara 8 giugno 1984), Milano 1985, 197 e s.; G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, I-1, Milano, 1987, II, 393 e ss; G. Scalfati,  Considerazioni sulla nave da pesca come azienda, in Riv. Pesca 1965, 796 s, e  Pesca in  Noviss. dig. It. XII/1965, 1180 s.; D. Gaeta, L’impresa di pesca marittima, in Vita notarile 1985, 155 s., e Esercizio della nave, trasporto ed impresa di pesca, in Dir. marittimo 1990, 999 e s.; D.F.Cagetti, Esercizio della pesca ed impresa, in Riv. Pesca 1966 p. 497 s; G. Oppo, Sulla natura giuridica dell’impresa di pesca, in Riv. dir. civ. 1987, II, 393 e ss; P.Masi, Oggetto dell’impresa di pesca  e registro delle imprese, in Studium iuris 1997 p.470 s; G. Di Giandomenico, Il diritto della pesca,  in Diritto marittimo 1985, 938 e ss. 

Da ultimo L. Miccichè e S. Moscato (a cura di ), Promozione e commercializzazione della pesca nel bacino del mediterraneo,  atti del Convegno internazionale Palermo 10-11 giugno 2005, Palermo 2005.

[2] L.102/1992, d.lgs. 2001/226, d.lgs. 2004/154. Per un commento ai recenti decreti di orientamento si veda, in particolare, L. Costato (a cura di) , I tre “decreti di orientamento”: della pesca e acquicoltura, forestale e agricolo, in Le nuove leggi civili commentate 2001, p. 668 e s.

Ai decreti di orientamento ed al D.Lgs. n. 154 del 26/5/2004   hanno fatto seguito tutta una serie di disposizioni aventi ad oggetto l’attività della pesca, in particolare vanno segnalate:

D.L. n. 157 del 24/6/2004 Disposizioni urgenti per l'etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonche' in materia di agricoltura e pesca, in G.U. n. 147 del 25/6/2004;

L. n. 204 del 3/8/2004  Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 157, recante disposizioni urgenti per l'etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonche' in materia di agricoltura e pesca, in G.U. n. 186 del 10/8/2004;

D.Lgs. n. 100 del 27/5/2005 Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori della pesca e dell'acquacoltura e per il potenziamento della vigilanza e del controllo della pesca marittima, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38, in G.U. n. 136 del 14/6/2005.

D.L. n. 2 del 10/1/2006  Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonche' in materia di fiscalita' d'impresa, in G.U. n. 8 del 11/1/2006;

L. n.122 del 6/3/2006    Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla istituzione dell'Organizzazione internazionale per lo sviluppo della pesca in Europa centrale ed orientale (Eurofish), con Atto finale, fatto a Copenhagen il 23 maggio 2000, in G.U. n. 73 del 28/3/2006.

Ad esse deve aggiungersi L. n. 96 del 20/2/2006 in tema di Disciplina dell'agriturismo, in G.U. n. 63 del 16/3/2006, il cui art. 12 individua il pesca-turismo, e implicitamente anche l’ittiturismo, quali attività assimilate alle attività agrituristiche.

[3] G.Reale, L’evoluzione della normativa in materia di pesca: dal diritto della navigazione al diritto agrario, in Dir. trasp. 2001, 13 s.  e L’acquacoltura nell’ordinamento giuridico italiano, Napoli, 2002.

[4] L. Costato, Il nuovo articolo 2135 del codice civile, in Studium Iuris 2001, 995 s.

[5] G. Scalfati,  Considerazioni sulla nave da pesca come azienda, op.cit, e  Pesca op.cit..; D. Gaeta, L’impresa di pesca marittima, op.cit, e Esercizio della nave, trasporto ed impresa di pesca, op.cit.; D.F.Cagetti, Esercizio della pesca ed impresa, op.cit.

[6] G. Oppo, Sulla natura giuridica dell’impresa di pesca, op. cit..

[7] P.Masi, Oggetto dell’impresa di pesca  e registro delle imprese, op.cit.

[8] Il d.lgs. n.228 del 2001 ha incluso espressamente l’attività di acquacoltura  nella norma che disciplina l’imprenditore agricolo, prevedendo che debbono considerarsi attività essenziali quelle dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Le considerazioni principali che possono farsi in relazione a questa parte del II comma dell’art. 2135 c.c. sono essenzialmente due: l’espressa inclusione dell’attività della acquicoltura tra le attività essenziali dell’impresa agricola con conseguente tacita abrogazione della l.102 del 1992, e l’abbandono della tradizionale concezione secondo cui l’impresa agricola, per potersi qualificare tale, doveva necessariamente svolgersi attraverso e nel fondo, con conseguente passaggio ad una idea di agricoltura in cui l’utilizzo del fondo da elemento essenziale diventa puramente eventuale.

[9] è imprenditore ittico chi esercita, in forma singola o associata o societaria, l'attività di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci e le attività connesse di cui all'articolo 3.

[10] Sul punto si veda  G. Di Giandomenico, Il diritto della pesca, op.cit.

[11]  I requisiti di cui all’art. 2082 c.c. sono la  professionalità, l’ economicità e l’organizzazione.

[12] Tale comma recita: “Si considerano, altresì, imprenditori di cui al comma 1 le cooperative di imprenditori ittici ed  i loro consorzi quando utilizzano prevalentemente prodotti dei soci ovvero forniscono prevalentemente ai medesimi beni e servizi diretti allo svolgimento delle attività di cui al medesimo comma”.

[13]  Esso prevede: “Sono considerati, altresì, imprenditori ittici gli esercenti attività commerciali di prodotti ittici derivanti prevalentemente dal diretto esercizio delle attività di cui al comma”

[14] 4. Ai fini dell'effettivo esercizio delle attività di cui al comma 1, si applicano le disposizioni della vigente normativa in materia di iscrizioni, abilitazioni ed autorizzazioni [...] 7. Ai fini dell'applicazione delle agevolazioni fiscali e previdenziali e della concessione di contributi nazionali e regionali, l'imprenditore ittico è tenuto ad applicare i pertinenti contratti collettivi nazionali di lavoro e le leggi sociali e di sicurezza sul lavoro.

[15]“Fatte salve le più favorevoli disposizioni di legge, l'imprenditore ittico è equiparato all'imprenditore agricolo”.

[16] 6. L'autocertificazione di cui all'articolo 6, comma 4, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, sostituisce a tutti gli effetti ogni adempimento tecnico e formale ivi previsto. L'articolo 6, comma 4, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271,  in tema di «Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili da pesca nazionali, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485» prevede: “Per le unità adibite ai servizi tecnico-nautici e portuali, per le navi o unità mercantili nuove ed esistenti di stazza lorda inferiore a 200 e per quelle da pesca nuove ed esistenti di lunghezza inferiore a 24 m, o con equipaggio fino a sei unità di tabella di armamento, la documentazione di cui al comma 2, autocertificata da parte dell'armatore o dal proprietario, non è inviata al Ministero per l'approvazione ma è conservata a bordo ed esibita a richiesta degli organi di vigilanza, al fine di verificarne la conformità alle disposizioni del presente decreto”.

[17] 8. Le concessioni di aree demaniali marittime e loro pertinenze, di zone di mare territoriale, destinate all'esercizio delle attività di acquacoltura, sono rilasciate per un periodo iniziale di durata non inferiore a quella del piano di ammortamento dell'iniziativa cui pertiene la concessione, secondo i principi ed i criteri per il contenimento dell'impatto ambientale ai sensi dell'articolo 37 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, e tenuto conto delle linee guida adottate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.»

[18] 1. Si considerano connesse alle attività di pesca, purché non prevalenti rispetto a queste ed effettuate dall'imprenditore ittico mediante l'utilizzo di prodotti provenienti in prevalenza dalla propria attività di pesca, ovvero di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'impresa ittica, le seguenti attività: [...].

[19] (a) imbarco di persone non facenti parte dell'equipaggio su navi da pesca a scopo turistico-ricreativo, denominata: «pescaturismo».

[20] L’attività di pescaturismo era già stata oggetto di regolamentazione normativa ad opera della legge n.41 del 17 febbraio 1982, recante il piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima, del D.M. 19 giugno 1992, in materia di esercizio dell’attività di pescaturismo, del decreto 13 aprile 1999 n.293,  regolamento recante norme  in materia di esercizio dell’attività di pescaturismo, e della circolare n. 270090, regolamento interministeriale recante norme  in materia di esercizio dell’attività di pescaturismo.

[21] (b) attività di ospitalità, ricreative, didattiche, culturali e di servizi, finalizzate alla corretta fruizione degli ecosistemi acquatici e vallivi, delle risorse della pesca e dell'acquacoltura, e alla valorizzazione degli aspetti socio-culturali delle imprese ittiche e di acquacoltura, esercitata da imprenditori, singoli o associati, attraverso l'utilizzo della propria abitazione o di struttura nella disponibilità dell'imprenditore stesso, denominata: «ittiturismo»;

[22] (c) la prima lavorazione dei prodotti del mare e dell'acquacoltura, la conservazione, la trasformazione, la distribuzione e la commercializzazione, nonché le azioni di promozione e valorizzazione.

[23] Tale concetto è peraltro già contenuto nella prima parte della stessa norma, che individua quali attività connesse alla pesca le attività …….non prevalenti rispetto a queste ed effettuate dall'imprenditore ittico mediante l'utilizzo di prodotti provenienti in prevalenza dalla propria attività di pesca, ovvero di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'impresa ittica.

[24] 2. Alle opere ed alle strutture destinate all'ittiturismo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 19, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché all'articolo 24, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativamente all'utilizzo di opere provvisionali per l'accessibilità ed il superamento delle barriere architettoniche, 3.L'imbarco di persone di cui al comma 1, lettera a. è autorizzato dall' autorità marittima dell'ufficio di iscrizione della nave da pesca secondo le modalità fissate dalle disposizioni vigenti.».

[25] Art.12 Attività assimilate 1. Sono assimilate alle attività agrituristiche e sono ad esse applicabili le norme della presente legge, quelle svolte dai pescatori relativamente all'ospitalità, alla somministrazione dei pasti costituiti prevalentemente da prodotti derivanti dall'attività di pesca, nonché le attività connesse ai sensi del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 226, e successive modificazioni, ivi compresa la pesca-turismo.

 

Data di pubblicazione: 4 maggio 2006.