Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, III/2005

 

 

 

Il tempo di lavoro e di riposo a bordo: considerazioni giuridiche e metagiuridiche*

 

Stefania Bevilacqua**

 

 

SOMAMRIO: 1. L’organizzazione del lavoro a bordo delle navi: profili di specialità - 2. Il tempo della prestazione lavorativa quale elemento della sicurezza della navigazione - 3. (segue) e della sicurezza nella navigazione: dal d.lgs 271 del 1999 al d.lgs 108 del 2005 sull’orario di lavoro dei marittimi imbarcati - 4. La disciplina giuridica del tempo dedicato al lavoro ed al riposo dei marittimi in un quadro pluriordinamentale.

 

 

1. La disciplina dell’organizzazione di lavoro nell’impresa ha una sua collocazione nel quadro delle norme che regolano la sicurezza del lavoro. La direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104/CE, recepita in Italia con d.lgs. 8 aprile 2003 n. 66[1], ha dettato le prescrizioni minime, stabilendo il tempo di lavoro (la durata normale dell’orario di lavoro, il lavoro straordinario, il lavoro notturno) e i periodi di riposo (le pause, i riposi compensativi, le ferie). Nella prima formulazione del testo normativo, il legislatore comunitario ha voluto escludere dall’ambito di applicazione della direttiva alcuni settori, fra i quali i trasporti e le attività esercitate in mare, demandando la disciplina applicabile alla gente di mare ad una apposita direttiva.

La regolamentazione dell’organizzazione del lavoro a bordo, infatti, in virtù della specialità del rapporto di lavoro nautico[2], è contenuta nella direttiva 21 giugno 1999, n. 99/63/CE[3], recepita nel nostro ordinamento con d.lgs. 27 maggio 2005, n. 108[4]. Al fine di estendere le disposizioni comunitarie sull’organizzazione dell’orario di lavoro a bordo anche alla navi non battenti bandiera degli Stati membri, è stata, inoltre, emanata la direttiva 13 dicembre 1999 n. 99/95/CE, concernente l’applicazione delle disposizioni relative all’orario di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità[5].

Successivamente, con la modifica della direttiva 93/104[6], che rappresenta la norma di base, si è esteso l’ambito di applicazione della stessa, fino a comprendere i lavoratori mobili[7], le attività di lavoro offshore[8] e i lavoratori a bordo delle navi da pesca[9]; si tratta di lavoratori che svolgono, come la gente di mare, la propria prestazione lavorativa a bordo. V’è da rilevare che non tutte le norme contenute nella direttiva sono applicabili a queste tipologie di lavoratori, riconoscendo ad essi delle peculiarità connesse al rapporto di lavoro ed al luogo in cui la prestazione viene eseguita[10].

Il quadro normativo di riferimento che ne deriva è, peraltro ancora più complesso e frammentario se si tiene conto dell’enormità di regole tecniche e di annessi stabiliti sul piano internazionale. Tutto ciò genera spesso sovrapposizioni e compromette l’unitarietà delle disposizioni sull’organizzazione di lavoro destinate ai lavoratori che prestano la propria attività a bordo di una nave.

La crescente attenzione degli organismi comunitari ed internazionali sul tema, è dovuto anche al fatto che la modalità di organizzazione del tempo di lavoro a bordo influisce sul livello di fatica del marittimo e può costituire un utile indicatore dello stato di benessere del lavoratore sul luogo di adempimento della prestazione, rappresentato dalla nave. La rilevanza del c.d. fattore umano ed i criteri di identificazione dello stesso sono stati oggetto di diverse risoluzioni dell’assemblea dell’IMO[11], riguardanti l’analisi dei fattori di rischio sui sinistri marittimi, muovendo dalla constatazione che il lavoro a bordo, insieme al mezzo nautico, sia un elemento che incide sulla sicurezza della navigazione. Si stima infatti che una gran percentuale di sinistri marittimi sia da ricondursi ad errore umano. Il risalire all’individuazione dell’ulteriore nesso eziologico che ha generato l’errore non è compito agevole.

I recenti provvedimenti contengono regole che, in via preventiva, garantiscono standard uniformi di sicurezza per tutti gli equipaggi, anche sotto il profilo dell’organizzazione del tempo del lavoro.

Nell’ordinamento interno della navigazione l’intervento dell’autorità marittima nel lavoro a bordo delle navi è stato sempre considerato, non esclusivamente nel senso di tutela sociale accordata al lavoratore, ma anche nel senso del perseguimento di un interesse pubblico[12]. La sicurezza marittima in generale, e del lavoro sulle navi in particolare, è caratterizzata da una funzione preventiva piuttosto che repressiva[13]. Il controllo a bordo, connesso al settore, riguarda l’accertamento di fattori tecnici quali i requisiti di formazione ed i certificati abilitativi della gente di mare[14], le condizioni degli alloggi[15], dei locali di lavoro, l’igiene, gli arredi, la presenza di aree destinate allo svago a bordo, ect., che certamente, e come precisato,  rappresentano utili indicatori per valutare il livello di benessere del lavoratore, ma che da soli non sono sufficienti, considerata la peculiarità del rapporto di lavoro marittimo anche con riferimento al luogo, ai tempi ed alle modalità di esecuzione.

Altri aspetti di difficile regolamentazione connessi a fattori economici, sociali, psicologici necessitano di esperienze differenti da quelle che competono all’autorità marittima. Nello studio del fattore umano il carattere di interdisciplinarietà ha infatti una rilevanza considerevole.

Premesso che l’orario di lavoro si iscrive in un concetto più ampio che è, appunto, quello del benessere, occorre individuare positivamente le altre componenti che concorrono alla definizione dell’elemento umano, quale fattore concorrente alla realizzazione dell’attività navigazionistica. Muovendo dalla “patologia”, accertata nel momento in cui si verifica un sinistro marittimo, si è elaborata, sul piano internazionale, una definizione di elemento umano considerato “come un fattore complesso multidimensionale che riguarda sia la sicurezza marittima (safety), che la protezione dell’ambiente marino[16] e che coinvolge una molteplicità di soggetti (equipaggio, personale a terra, personale degli enti di classe  organismi regolatori, organizzazioni riconosciute, legislatore e altre parti rilevanti). Come emerge, infatti, dalla risoluzione dell’assemblea dell’IMO A.884 (2.1) del 4 febbraio 2000, che contiene gli emendamenti al codice per l’investigazione sui sinistri ed incidenti marittimi[17], sono svariati i fattori che hanno un impatto diretto sul benessere umano. Vi sono fattori legati alla persona in sè[18], all’organizzazione a bordo[19], alle condizioni di vita e di lavoro[20], alla nave[21], alla società di gestione a terra[22], ed infine fattori esterni e ambientali[23].

 

2. La necessità di una normativa speciale che disciplini il tempo dell’adempimento della prestazione lavorativa, giova ripeterlo, muove dal fatto che le norme di carattere generale mal si adattano al rapporto di lavoro a bordo. Le condizioni di vita a bordo influiscono sia sul rendimento “economico” dei marittimi, che sulla sicurezza in generale. Non si tratta soltanto di diritti dei lavoratori rivendicati a livello sindacale, quanto di fattori che influenzano l’idoneità del lavoratore a svolgere le proprie funzioni. In una nave, il tempo di lavoro si lega al tempo di non lavoro. Il marittimo, terminato il suo turno di lavoro, non ritorna alla propria abitazione[24].

Per una valutazione dello stato di benessere del marittimo, rileva, oltre al tempo impiegato nella prestazione lavorativa e quello del riposo, anche la durata dell’imbarco[25], sia in termini di periodo in navigazione che con riferimento alla sosta in porto ed alla durata delle operazioni portuali. Le norme sulla security hanno, recentemente, aggravato la posizione del lavoratore che trova delle limitazioni anche con riferimento alla qualità di impiego del tempo libero a disposizione; mi riferisco, per fare un esempio, alle disposizioni amministrative di alcuni Paesi che, generalizzando, impediscono ai marittimi di scendere a terra.

Altro aspetto da considerare è quello legato alla composizione dell’equipaggio, che rileva non esclusivamente al fine della sicurezza della navigazione, ma anche sul livello di fatica del marittimo.

Nel nostro ordinamento, il codice della navigazione (art. 317, primo comma) prevede che la determinazione quantitativa e qualitativa dei marittimi imbarcati sia dettata, appunto, da ragioni di sicurezza della navigazione. A tal fine si fissa nella tabella d’armamento[26], il numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina con i relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima dell’intero equipaggio. Il codice della navigazione demanda alla legge o alla contrattazione collettiva la determinazione della tabella stessa. Nell’ipotesi in cui, la tabella non sia predeterminata (art. 426, secondo comma, reg. nav. mar.), questa, predisposta dall’armatore è sottoposta al controllo del comandante del porto, sentite le associazioni sindacali interessate e successivamente soggetta ad approvazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti[27]. Il comandante del porto dovrà vigilare sull’osservanza da parte dell’armatore delle tabelle d’armamento[28] così stabilite, con facoltà di impedire la partenza delle navi il cui equipaggio sia composto in maniera difforme da quanto indicato nelle stesse (artt. 426, primo comma n. 3 e terzo comma, reg. nav. mar.).

Secondo la Convenzione SOLAS del 1974[29] (cap. V, regola 4.2), è lo Stato di bandiera a stabilire la composizione minima dell’equipaggio. Ciascuno Stato, pertanto, è libero di definire le regole[30] che determinino il numero di imbarcati con le relative suddivisioni delle mansioni attribuite a ciascun marittimo sulla base delle qualifiche possedute. Mancano delle convenzioni internazionali che dettano criteri standard.

Il controllo dello Stato del porto sulle navi e relativi equipaggi, di cui al Memorandum firmato a Parigi il 26 gennaio 1982 (Paris MOU), rappresenta uno strumento efficace al fine di estendere la sfera dei controlli delle amministrazioni marittime nazionali su navi straniere che approdano nei porti dello Stato, anche al fine di verificare le condizioni e il tempo impiegato nell’attività lavorativa dell’equipaggio. La direttiva 95/21/CE[31] del Consiglio del 19 giugno 1995, che istituisce un regime armonizzato del port state control[32] nell’ambito del Paris MOU, contiene le procedure di ispezione e di fermo delle navi e dei relativi equipaggi che approdano nei porti comunitari. Con particolare riferimento ai lavoratori, la direttiva ha affidato a gli ispettori che effettuano i controlli a bordo, il compito di accertare la validità dei certificati dei marittimi, in osservanza delle disposizioni contenute nella convenzione STCW 78 e le condizioni di vita e di lavoro dell’equipaggio, in osservanza delle disposizioni contenute nella convenzione ILO n. 147[33]. Nel nostro ordinamento, le direttive comunitarie sul port state control sono state recepite con D. M. 19 aprile 2000 n. 432, abrogato e sostituito dal D.M. 13 ottobre 2003 n. 305[34]. Quanto alla composizione dell’equipaggio, la norma contenuta nell’allegato IV al decreto ministeriale (di cui agli artt. 2, comma 1, e 5, comma 1), prevede che le procedure di controllo delle navi dovranno essere effettuate secondo i principi contenuti nella risoluzione IMO A.890(21) e relativi allegati[35], volti a stabilire la composizione minima degli equipaggi secondo criteri legati alla sicurezza.

Anche in relazione alla qualificazione dell’equipaggio, con DPR n. 324 del 9 maggio 2001, in attuazione delle direttive 94/58/CE e 98/35/CE sui requisiti minimi di formazione della gente di mare[36], vengono attribuite allo Stato del porto delle competenze che vanno dall’accertamento del possesso delle abilitazioni dei marittimi (prescritte dalla convenzione STCW 78), a quelle riguardanti il numero dei marittimi imbarcati e le qualifiche possedute. L’ispezione si limita ad una verifica del rispetto delle norme in materia di sicurezza emanate dallo Stato di bandiera della nave. Sono contemplate, tuttavia, delle ipotesi che riguardano i lavoratori adibiti al servizio di guardia, per i quali gli ispettori possono verificare l’idoneità degli stessi a svolgere il servizio stesso; la verifica è rimessa ad una valutazione effettuata ai sensi dell’allegato A della convenzione STCW 78, che viene avviata soltanto qualora vi siano fondati motivi dell’inosservanza delle norme e ricorrano delle situazioni indicate espressamente all’art. 18, comma 2..Infatti, con particolare riferimento alle mansioni[37] svolte a bordo, il personale adibito al servizio di guardia[38] (soprattutto servizio di guardia in navigazione), insieme al comandante[39], è tra quelli esposti a maggiori carichi di lavoro.

In concreto, le norme che regolamentano l’orario di lavoro e di riposo potranno essere rispettate soltanto se i marittimi adibiti a tale servizio sono indicati, nella tabella d’armamento, in numero sufficiente per svolgere esclusivamente ciascun turno di lavoro.

 

3., Come più volte rilevato in questo scritto, l’intero ordinamento della navigazione marittima è caratterizzato dalla sicurezza del lavoro come aspetto di una più generale tutela della sicurezza della navigazione. Prima di soffermarmi sulla recente disposizione in materia di orario di lavoro dei marittimi, merita un cenno fornire un quadro normativo, seppur sintetico, delle principali disposizioni emanate al fine di migliorare la qualità di vita e di lavoro a bordo.

La legge 16 giugno 1939 n. 1045, recante “condizioni per l’igiene e l’abitabilità degli equipaggi a bordo delle navi mercantili nazionali”, ancora in vigore[40], costituisce la prima norma - nell’ambito della normativa speciale - rivolta alla tutela delle condizioni di vita dell’equipaggio sulla nave e si basa su un sistema di controlli e di verifiche delle condizioni di sicurezza da parte della pubblica amministrazione[41]. La norma interna ha, peraltro, anticipato la regolamentazione sugli alloggi dell’equipaggio delle navi mercantili, adottata sul piano internazionale dalla Convenzione ILO 92 del 1949[42].

I principali interventi normativi che riguardano le condizioni di sicurezza dei marittimi imbarcati, si rinvengono nella legge 5 giugno 1962 n. 616, sulla sicurezza della navigazione e della vita umana in mare ed il relativo regolamento di sicurezza emanato con DPR 14 novembre 1972 n. 1154, così come sostituito dal dpr 8 novembre 1991 n. 435, emanato per consentire l’adeguamento con le disposizioni derivanti dall’entrata in vigore della convenzione SOLAS. Il regolamento basa la sua concreta applicazione su un sistema di visite, effettuate dalle capitanerie di porto sulle navi italiane, volte alla verifica del rispetto delle condizioni di sicurezza prescritte.

Con il d.lgs 27 luglio 1999 n. 271 si passa dalla concezione di sicurezza della navigazione a quella di sicurezza nella navigazione[43], adattando le norme in materia di diritto del lavoro al rapporto di lavoro nautico, fortemente caratterizzato da principi pubblicistici. Com’è noto, il decreto legislativo che detta una disciplina specifica per la sicurezza del lavoro[44] a bordo (insieme al d.lgs. 272/1999 per il lavoro portuale e al d.lgs. 298/99 per il lavoro a bordo delle navi da pesca[45]), è stato emanato per colmare una lacuna nel nostro ordinamento derivante dal fatto che il d.lgs. 626 del 1994 non poteva essere totalmente applicato al lavoro marittimo. L’intera disciplina sulla sicurezza del lavoro discende dall’obbligo di adempimento dell’Italia alle direttive comunitarie che concernono il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

 

4. Con particolare riferimento all’organizzazione del tempo di lavoro, ovvero a quel periodo durante il quale il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nell’esercizio della sua attività lavorativa, norme internazionali pattizie e norme comunitarie hanno stabilito prescrizioni minime generali al fine di tutelare la salute e garantire la sicurezza dei lavoratori.

La Convenzione STCW del 1995, e precisamente il codice STCW sulla formazione della gente di mare, sul rilascio dei brevetti e sui servizi di guardia (codice STCW) nella parte A cap. VIII sezione A-VIII/1, avente carattere vincolante, stabilisce che per i marittimi adibiti al servizio di guardia il periodo minimo di riposo deve essere di dieci ore ogni ventiquattro ore (che potranno dividersi in due periodi, uno dei quali deve essere almeno di sei ore continuative) o comunque non meno di settanta ore nell’arco di una settimana. Il periodo di riposo può essere diminuito in caso di emergenza, di esercitazione o in occasione di “overriding operational conditions”.

Nella parte B, cap. VIII, sezione B-VIII/1, avente carattere non obbligatorio, il codice indica le linee guida ed introduce alcune disposizioni rivolte alla prevenzione della fatica del personale di guardia stemperando gli effetti delle prescrizioni contenute nella regola VIII/I della parte A. La norma contiene un collegamento tra tempo di lavoro e fatica. In particolare, al punto 3 si stabilisce che “le disposizioni emanate per prevenire la fatica dovranno garantire che il totale delle ore di lavoro non siano eccessive o irragionevoli. Il periodo minimo di riposo stabilito nella sezione A-VIII/1 non deve essere, inoltre, interpretato nel senso che in tutte le altre ore lavorative il personale deve essere impiegato in servizi di guardia”. Il codice da rilevanza inoltre alla frequenza ed alla lunghezza dei periodi di riposo e invita le Autorità statali ad introdurre l’obbligo di registrare le ore di lavoro o di riposo dei marittimi e che gli Stati ispezionino con regolarità tale documentazione.

La convenzione ILO n. 180, adottata a Ginevra il 22 ottobre 1996[46], sull’orario del lavoro della gente di mare e la composizione dell’equipaggio contiene due principali disposizioni: la determinazione della durata massima di lavoro[47] (stabilita in quattordici ore giornaliere e settantadue ore settimanali) e minima di riposo (dieci ore giornaliere e settantasette ore settimanali), nonché la creazione di un meccanismo che consente di applicare le norme convenzionali alle navi immatricolate in paesi terzi, attraverso il controllo dello Stato del porto.

Sul piano del diritto interno, la regolamentazione sull’orario di lavoro e sui periodi di riposo[48] dei marittimi non è disciplinato dal diritto del lavoro comune ed è demandata, nel rispetto dei principi costituzionali, alla contrattazione collettiva[49].

Sino all’emanazione del d.lgs 27 maggio 2005, n. 108 la disciplina normativa che stabiliva i limiti al tempo di lavoro a bordo non aveva una sistemazione organica, ma piuttosto frammentaria[50]. Le disposizioni sull’orario di lavoro a bordo si ritrovano, infatti, in diverse fonti normative: d.lgs. 271/99, d.lgs.66/2003 e d.P.R. 324/2001.

Il primo provvedimento conteneva, all’art. 11 (l’efficacia della norma è cessata con l’emanazione del d. lgs. 108/2005), la regolamentazione dell’orario di lavoro sia per i lavoratori marittimi imbarcati a bordo delle navi mercantili, che da pesca. Per questi ultimi, come già evidenziato, anche il d.lgs 66/2003 sull’organizzazione del lavoro, all’art. 18 delinea il tempo di durata del lavoro. Il DPR 324/2001, richiamato dal recente d. lgs 108/2005, infine, contiene, all’art. 12, la disciplina sull’organizzazione dell’orario di lavoro per i marittimi che prestano servizio a bordo di navi battenti bandiera italiana[51], adibiti ai servizi di guardia. In presenza di più norme applicabili alla medesima fattispecie spetta, pertanto, all’interprete il compito di comparare i provvedimenti per individuare la normativa applicabile. La rapida emanazione di norme comunitarie e di norme internazionali hanno reso più complesso il quadro normativo applicabile.

Il d.lgs. 108/2005 dà attuazione alla direttiva 1999/63/CE ed al contempo rende vincolante per il nostro Paese la convenzione ILO 180 sull’orario del lavoro, essendo stata quest’ultima “trasfusa” nella direttiva comunitaria. Tra le novità più importanti si segnalano: l’introduzione di strumenti che possano consentire la verifica del rispetto delle disposizioni e di criteri che stabiliscano di definire la tabella di armamento in relazione all’orario di lavoro. L’ambito di applicazione della norma è il rapporto di lavoro dei marittimi che prestano servizio a bordo di tutte le navi mercantili adibite alla navigazione marittima. Si esclude, pertanto, l’applicabilità al lavoro a bordo delle navi da pesca.

Con riferimento alla durata dell’orario di lavoro, la norma riproduce il contenuto nel d.lgs 271/99. Per “durata del lavoro” a bordo della nave si intende il tempo durante il quale un lavoratore marittimo è tenuto ad effettuare l’attività lavorativa connessa all’esercizio della navigazione (art. 2 comma 1 lett. b)). La norma fa rientrare nel concetto di durata (con riferimento alla prestazione concreta) anche attività che vanno al di là del mero esercizio della nave, inteso quale “attività organizzata, inerente all’impiego della nave, in base alla destinazione ad essa propria, rivolta al conseguimento di un risultato economico proprio del gestore”[52], comprendendo le ore destinate alla formazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro a bordo, agli appelli, alle esercitazioni antincendio e di salvataggio[53]. Alcuni di questi doveri, peraltro, si aggiungono agli obblighi che derivano dal contratto di arruolamento con l’armatore – sotto il profilo privatistico del rapporto di lavoro- e si annoverano tra gli obblighi dell’equipaggio di natura pubblicistica[54]. In tal senso è infatti previsto all’art. 3, comma 11, che il comandante della nave ha il diritto di esigere dai lavoratori marittimi le necessarie prestazioni di lavoro, anche sospendendo il programma di ore di lavoro e di ore di riposo per le attività inerenti la sicurezza della navigazione in relazione a situazioni di emergenza e le operazioni di soccorso.

Relativamente ai limiti dell’orario di lavoro e di riposo, l’art. 3 che sostituisce l’art. 11 del d.lgs 271/99, riproduce quanto era contenuto in quest’ultimo[55]. Le ore di riposo, inoltre, non possono essere suddivise in più di due periodi distinti di cui uno almeno di sei ore consecutive, e l’intervallo tra due periodi non deve superare le quattordici ore. Questa disciplina non è, tuttavia, inderogabile. Il comma 7 prevede, infatti, che per le navi impiegate in viaggi di breve durata e per particolari tipologie di navi impiegate in servizi portuali, la contrattazione collettiva può derogare a quanto previsto in materia di orario massimo di lavoro e minimo di riposo, tenendo conto di periodi di riposo più frequenti o più lunghi oppure dalla concessione di riposi compensativi ai marittimi che operano a bordo. Giova rilevare che, anche la recente norma, al pari della precedente, non dà una definizione di viaggi di breve durata, ed è stato sostenuto[56] che, spesso è più stancante una nave che compie frequenti soste nei porti piuttosto di una nave che naviga per un lungo periodo, poiché le soste e le attività connesse alla sosta in porto causano spesso l’interruzione del periodo di riposo. Con riferimento ai lavoratori marittimi che operano in tali tipologie di navi o in navi adibite a servizi portuali, le deroghe dovranno altresì consentire dei periodi di riposo compensativo[57]. Rispetto al d.lgs. 271/99 il ricorso alle deroghe dovrà essere contenuto e subordinato ad autorizzazione[58] del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Con particolare riferimento, invece, ai marittimi impiegati nel servizio di guardia, la norma attua il coordinamento tra disciplina generale dell’orario di lavoro a bordo e disciplina speciale, rinviando espressamente all’art. 12 del D.P.R. 324/2001 ed escludendo per tale personale il ricorso alle deroghe. Su questo punto il testo vigente differisce dal precedente, laddove era espressa la derogabilità per tutti i marittimi; deroga, peraltro, contemplata sia nella convenzione internazionale ILO 180, che nella convenzione STCW[59] del 1978, nella versione emendata nel 1995, che riguardava il personale di guardia. Queste disposizioni attribuiscono, tuttavia, una facoltà[60] agli Stati non un obbligo.

Altra disposizione contenuta nelle norme internazionali è la facoltà dello Stato di tenere un registro nel quale si annotino le ore di lavoro e le ore di riposo della gente di mare, in modo da potere consentire una verifica del rispetto delle regole relative prescritte. Tale facoltà è stata esercitata dall’Italia che, con il recente d.lgs 108/2005, ha introdotto il registro dell’orario di lavoro a bordo delle navi mercantili redatto secondo un modello allegato al decreto stesso. Il registro andrà compilato (in lingua italiana ed in lingua inglese) dall’armatore, sottoposto alla verifica di conformità da parte dell’autorità marittima e tenuto a bordo. Copia del registro che riguarda il singolo lavoratore dovrà, inoltre, essere consegnato al marittimo.

La disposizione che, ad una prima lettura, racchiude il contemperamento del principio di sicurezza del lavoro con quello di sicurezza della navigazione riguarda la “definizione delle tabelle d’armamento in relazione con l’orario di lavoro” (art. 6). Si prevede che nella definizione della tabella di armamento di sicurezza delle navi si dovrà tener conto dei seguenti criteri: a) evitare o ridurre al minimo orari eccessivi di lavoro in relazione alla tipologia di nave e di navigazione svolta e b) conformità alle prescrizioni minime di sicurezza di cui alla tabella minima d’equipaggio (di cui all’art. 317 cod. nav.). Con il decreto legislativo n. 108/2005, non si è voluto introdurre un secondo documento che si aggiunge alla tabella, bensì si tratta della identica tabella. L’attuale formulazione può generare dubbi per la diversità della terminologia usata nella normativa nazionale rispetto a quella comunitaria. Credo che la norma avrebbe avuto una più chiara formulazione se si fosse tenuto conto del parere della Commissione parlamentare[61], secondo il quale era auspicabile sostituire alla tabella di armamento di sicurezza, la tabella di armamento di esercizio che avrebbe reso applicabili le disposizioni sulla sicurezza a tutto il personale che opera a bordo[62] (compreso il personale di cucina, di camera,. ect), al fine di limitarne l’affaticamento. Inoltre, il riferimento alla necessità di evitare o di ridurre al minimo, orari eccessivi di lavoro a bordo per il lavoratore marittimo, al fine di garantire adeguati periodi di riposo ha un valore esclusivamente ridondante, poiché la definizione ed i limiti dell’orario di lavoro sono stati stabiliti con legge.

Sotto il profilo sanzionatorio, la norma, oltre a intimare sanzioni penali o amministrative, a seconda dei casi al comandante della nave o all’armatore, in caso di violazione delle disposizioni, prevede che l’autorità marittima possa obbligare l’armatore alla revisione della tabella di armamento e non concedere il rilascio delle spedizioni ex art. 181 cod. nav.

Per quanto riguarda le ferie, si è voluto stabilire con legge ordinaria una materia che il codice della navigazione demanda, in assenza di una disposizione specifica, ai contratti collettivi. Il decreto legislativo ha fissato (art. 8) il periodo minimo di ferie pari a trenta giorni su base annua, uniformandosi a quanto era stato determinato dall’art. 3 della Convenzione ILO n. 146 adottata il 13 ottobre 1976 e resa esecutiva in Italia con l. 10 aprile 1981 n. 159 e dal d.lgs n. 66/2003[63] per i lavoratori a bordo delle navi da pesca.

Infine, la responsabilità sull’organizzazione e sul rispetto delle norme relative all’orario di lavoro, alle ferie ed ai periodi di riposo dei marittimi sono attribuiti al comandante della nave.

Un’ultima considerazione riguarda il profilo dei controlli delle disposizioni sull’organizzazione di lavoro. Al fine di rendere le norme sull’orario di lavoro applicabili anche alle navi (ad esclusione dei pescherecci) che fanno scalo nei porti comunitari, la Comunità Europea, come già scritto sopra, ha adottato la direttiva 1999/95/CE allo scopo di attuare un sistema di verifica e di controllo dell’osservanza delle disposizioni della direttiva 1999/63/CE da parte degli ispettori del port state control[64]. L’ispezione riguarda la tabella dell’organizzazione del lavoro a bordo e del registro delle ore di lavoro o di riposo. È prevista un’ispezione dettagliata che viene affidata alla discrezionalità dell’ispettore o che è obbligatoria nel caso in cui sia stato presentato un reclamo[65]. In presenza di irregolarità al termine delle procedure ispettive, lo Stato potrebbe adottare misure che comportino alla nave il divieto di lasciare il porto sino a quando non siano state eliminate le irregolarità o sino a quando i marittimi non si siano sufficientemente riposati.

Si auspica che, soprattutto a seguito dell’intervento della Corte di giustizia dell’Unione Europea, l’Italia adempia in tempi brevi all’obbligo comunitario e che tramite l’utile strumento del port state control si riesca a garantire il rispetto della normativa di sicurezza del lavoro anche per i lavoratori che prestano la propria attività lavorativa a bordo delle navi extracomunitarie[66].


* Il presente studio è destinato agli scritti in memoria del prof. Elio Fanara ed è aggiornato al settembre 2005.

 

** Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Palermo.

 

[1] Il d.lgs 66/2003 (modificato ed integrato dal d. lgs. 19 luglio 2004, n. 213) ha, in realtà, recepito la direttiva 93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993, così come modificata dalla direttiva 2000/34/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 22 giugno 2000. Sulla disciplina contenuta nel decreto legislativo si rinvia a Del Punta, La riforma dell’orario di lavoro, in Dir. Prat. Lav., 2003, 22; Tartaglione, L’organizzazione del tempo di lavoro (nel d.lgs. n. 66/2003 come modificato ed integrato dal d.lgs. n. 213/2004), in Mass. Giur. Lav., n.11, 2004, 792.

[2] Anche la disciplina sull’organizzazione del tempo di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile è stata demandata ad un’apposita direttiva, la 2000/79 del 27 novembre 2000.

[3] Relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’unione Europea (FTS).

[4] Pubblicato nella GURI n. 145 del 24 giugno 2005. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 16 dicembre 2004, nella causa C-313-03, ha accertato l’inadempimento dell’Italia, essendo scaduto il termine (30 giugno 2002) per l’attuazione della direttiva.

[5] Il mancato recepimento in Italia della direttiva è stato sanzionato dalla Corte di Giustizia UE (quarta sezione) con sentenza del 28 aprile 2005, nella causa C-410/03. La Corte di Giustizia -così come nel procedimento ex art. 226 Trattato CE per la mancata attuazione della direttiva 99/63 -, ha respinto le motivazioni addotte da parte italiana secondo le quali la direttiva era stata già recepita nel nostro ordinamento, quanto ai contenuti, con il d.lgs. 271/99.

[6] Le direttive 93/104 e 2000/34, a far data dal 2 agosto 2004, sono state assorbite dalla direttiva di codificazione n. 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003. Quest’ultima direttiva si è limitata a razionalizzare il precedente testo normativo. Per un commento alla direttiva si veda Ricci, La direttiva comunitaria di “codificazione” sull’organizzazione dell’orario di lavoro, in Guida lav., 2003, 48, 21.

[7]Lavoratori impiegati quali membri del personale viaggiante o di volo presso un’impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada, per via aerea o per via navigabile”.

[8]L’attività svolta prevalentemente su un’installazione offshore…, nonché le attività d’immersione collegate a tali attività, effettuate sia a partire da un’installazione offshore che da una nave

[9] v. Camarda, La prevenzione dei rischi professionali dei pescatori, pubblicato in questo volume. L’A. rileva come i recenti provvedimenti normativi del nostro Paese seguono prevalentemente l’approccio comunitario rischiando di creare discrasie rilevanti tra la disciplina relativa all’esercizio della nave, con le connesse regolamentazioni di sicurezza, e la disciplina dell’attività produttiva (la pesca con i suoi fattori di produzione); attività che si svolge ovviamente nel medesimo contesto spaziale e temporale della navigazione stessa. Il diritto comunitario, contrariamente all’ordinamento italiano tradizionale - che comprende l’attività di pesca tra le navigazioni speciali (art. 219 cod. nav.)- ha, infatti, inquadrato i provvedimenti normativi sulla pesca nell’ambito del regime delle risorse alimentari.

[10] Le peculiarità si riconducono, per esempio, alle condizioni atmosferiche, al periodo trascorso in navigazione o, con riferimento all’attività di pesca, ai periodi di fermo, alle quote di cattura, ect…

La direttiva, con riferimento a questi lavoratori, prescrive misure specifiche con riferimento alla durata massima di ore di lavoro o al numero minimo di ore di riposo, al lavoro straordinario, alle ferie ed ai criteri di computo.

[11] Nel novembre 1997, l’assemblea dell’IMO ha adottato la risoluzione A.850(20) che ha individuato i principi e gli obiettivi che la stessa organizzazione si propone di raggiungere con riferimento all’elemento umano. Nella precedente risoluzione A.772(18), l’IMO aveva individuato i fattori di fatica nelle operazioni marittime.

[12] v. Grigoli,  Il problema della sicurezza nella sfera nautica, tomo secondo, Milano, 1990, 167- 168; Grigoli, Regime dei beni nautici ed esigenze di sicurezza della navigazione, Bologna, 2002, 99; l’A. evidenzia che la specialità della materia navigazionista ha richiesto “anche la realizzazione di una adeguata tutela in ordine alle condizioni di sicurezza relative allo specifico substrato soggettivo dell’esercizio nautico”.

[13] Anche con riferimento ad eventuali infortuni, le norme hanno una funzione preventiva; su quest’ultimo punto v. Antonini, Relazione di sintesi in AAVV, La sicurezza del lavoro sulle navi e nei porti, Milano, 2001, 85.

[14] Convenzione internazionale sugli standard per l’addestramento, i titoli professionali ed il servizio di guardia dei marittimi del 1978 (STCW 78) ratificata con legge 21 novembre 1985 n. 739, entrata in vigore in Italia il 26 novembre 1987.

[15] Convenzione ILO 18 giugno 1949  n. 92 sugli alloggi degli equipaggi.

[16] v. Risoluzione IMO A.850(20) cit.

[17] Adottato dall’assemblea dell’IMO con risoluzione A.849(20) allo scopo di garantire un approccio comune degli Stati nella conduzione delle indagini sui sinistri marittimi e di promuoverne la cooperazione tra gli stati stessi

[18] Sono fattori legati alla persona del lavoratore: la capacità professionale, l’idoneità all’impiego, la conoscenza (fattori che derivano dalla formazione e dall’esperienza); la personalità (nel senso di condizioni psichiche e stato emotivo); le condizioni fisiche (idoneità all’impiego, uso di droga o di alcool e fattori di fatica).

[19] Sono fattori legati all’organizzazione di bordo: la suddivisione di compiti e responsabilità; la composizione dell’equipaggio (con riferimento alla nazionalità e alla competenza); la complessità dei compiti assegnati; l’orario di lavoro e di riposo; le procedure e gli ordini; la comunicazione tra l’equipaggio e con l’esterno (lingua parlata); le gestione a bordo, la programmazione (con riferimento al viaggio ed al carico)

[20] Livello di automatizzazione, design ergonomico dei luoghi di lavoro, di vita e ricreativi e delle attrezzature; livello qualitativo delle condizioni di vita; opportunità di svago; qualità del cibo; livello dei movimenti della nave, delle vibrazioni e del rumore.

[21] Design; stato di manutenzione, equipaggiamento; certificazioni di sicurezza.

[22] Politica di reclutamento; politica della sicurezza, gestione in generale, gestione della sicurezza, tabella dei periodi di riposo, condizioni contrattuali, comunicabilità con la compagnia di gestione a terra

[23] Condizioni metereologiche e condizioni del mare; condizioni dei porti e servizi tecnico nautici; densità del traffico;  organizzazioni sindacali, normative, sorveglianza e ispezioni.

[24] L’intensità della convivenza nell’ambiente di lavoro caratterizza il lavoro nautico e lo differenzia sia dal lavoro nell’impresa, che dallo stesso lavoro del personale di volo, v. Gragnoli, La sicurezza del lavoro a bordo delle navi, in AAVV, La sicurezza del lavoro sulle navi e nei porti, Milano, 2004, 39.

[25] Secondo gli artt. 188 e 1251 n. 4 cod. nav. il marittimo non può scendere a terra senza l’autorizzazione del comandante della nave.

[26] La tabella d’armamento minimo è poi approvata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per le navi impiegate nelle linee marittime sovvenzionate, mentre è rimesso alla contrattazione collettiva d’arruolamento nelle navi addette ai servizi c.d. liberi

[27] Circolare Ministero della Marina Mercantile, Gente di mare serie XII n. 11 del 9 marzo 1993.

[28] Sulle tabelle d’armamento v. Menghini, I contratti di lavoro nel diritto della navigazione, in Cicu-Messineo, Trattato di diritto civile e commerciale, XXVII, t.3, 208-212.

[29] Resa esecutiva in Italia con legge 23 marzo 1980 n. 313.

[30] v, Stevenson, Tanker crew fatigue: some new solutions to an old problem in Journal of maritime law and commerce, fasc. 3/1996 , 461 il quale afferma che “the effectiveness of the measures will depend on the willingness and ability of countries to establish and enforce appropriate rules

[31] Riguardante l’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo La direttiva è stata modificata dalle direttive 98/25/CE, 98/42/CE, 99/97/CE, 2001/106/CE, 2002/84/CE.

[32] V. Beistegui, El control de los busques por el Estado del puerto, in Anuario de Derecho maritimo, vol. XIII, 1996, 167.

[33] Convenzione sulle norme minime da osservare sulle navi mercantili del 29 ottobre 1976, ratificata con legge 10 aprile 1981 n. 159. La convenzione prevede che uno stato contraente può ispezionare una nave che approda in un porto dello Stato al fine di verificare che le condizioni di vita, di lavoro e di sicurezza dell’equipaggio siano conformi a quanto previsto dalla convenzione stessa. Nel 1996 è stato poi approvato il Protocollo alla convenzione 147 che include nel suo annesso addizionale la convenzione ILO 180.

[34] Il regolamento recepisce la direttiva 2001/106/CE del 19 dicembre 2001, che rende obbligatorio il regime di ispezione delle navi potenzialmente pericolose.

[35] Adottata dall’Assemblea dell’IMO il 25 novembre 1999 (21esima sessione) inerente disposizioni per la composizione degli equipaggi delle navi ai fini della sicurezza della navigazione; v. Pischedda, L’elemento umano come fattore determinante della sicurezza della navigazione, in Atti del seminario internazionale “Il lavoro marittimo e portuale tra sicurezza ed economicità” (a cura di Bevilacqua), cit., 99.

[36] Occorre rilevare che successivamente è stata emanata la direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare, la quale è stata recentemente modificata dalla direttiva 2005/23/CE della Commissione dell’8 marzo 2005. Quest’ultima contiene le modifiche alla convenzione internazionale sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei brevetti e ai servizi di guardia (convenzione STCW) ed al codice sulla formazione della gente di mare, sul rilascio dei brevetti e sui servizi di guardia (codice STCW) operate dalle risoluzioni del comitato di sicurezza IMO MSC.66(68) e MSC.67(68), dalla risoluzione MSC.78(70) e dalle circolari STCW.6/circ.3 e STCW.6/circ.5.

[37] Sulla distinzione tra titoli professionali, qualifiche e mansioni si rinvia a Menghini, op. ult. cit., 160, e bibliografia ivi cit..

[38] In occasione del sinistro della petroliera Exxon Valdez, arenatasi nel 1989 in Alaska, l’inchiesta attribuì alla fatica dell’equipaggio l’elemento determinate del sinistro. Si accertò che il terzo ufficiale di coperta che era di guardia al momento del sinistro versava in uno stato di stanchezza determinata dal carico di lavoro del giorno precedente; v. exxon valdez oil spill trustee council, Details about the accident, Febbraio 1990.

[39] Il carico di lavoro affidato al comandante della nave è particolarmente gravoso se si tiene conto che nei casi in cui il comandante è inserito nei turni di guardia, esso non limita la sua attività al solo turno, bensì è tenuto a prestare la sua attività lavorativa ogni volta che le difficoltà di navigazione richiede la sua personale conduzione della nave o la sua presenza in plancia. Tale principio è contenuto nell’art. 298 cod. nav.. Anche la Convenzione IMO STCW 78/95, che regola l’espletamento dei servizi di guardia di bordo, attribuisce al comandante compiti di garantire il mantenimento di una guardia sicura di navigazione; sulla convenzione v. Grigoli, Il problema della sicurezza della sfera nautica, t. 2, cit., 389 e ss.

[40] L’abrogazione della legge è subordinata all’entrata in vigore dei regolamenti di attuazione del d. lgs. 27 luglio 1999, n. 271, non ancora emanati.

[41] I controlli vengono svolti dalla Commissione locale per l’igiene degli equipaggi istituita nei maggiori porti; della Commissione fanno parte il comandante del porto, il medico del porto, un funzionario del RINA, un rappresentante degli armatori ed uno dei marittimi. Sul punto v. Sicurezza, Controlli per la sicurezza del lavoro nelle navi, in La sicurezza del lavoro sulle navi e nei porti, Milano, 2001, 70-71.

[42] Le convenzioni internazionali ILO n. 92 e n. 133 sugli alloggi dell’equipaggio sono state ratificate con legge 10 aprile 1981 n. 158.

[43] V. Gragnoli,  La sicurezza del lavoro a bordo delle navi, in AAVV, La sicurezza del lavoro nelle navi e nei porti, Milano, 2001, 53-57; Enrico, Relazione introduttiva, in Atti del seminario internazionale “Il lavoro marittimo e portuale tra sicurezza ed economicità” (a cura di Bevilacqua), cit., 19.

[44] Sulla sicurezza del lavoro a bordo v. amplius, Grigoli, La sicurezza del lavoro nautico nell’innovativo sistema regolamentare, Trieste, 2000.

[45] Di attuazione della direttiva 93/103/CEE.

[46] La convenzione è entrata in vigore a livello internazionale l’8 agosto 2002 con la ratifica di otto Stati, e non è stata ancora ratificata dall’Italia. La Commissione europea con raccomandazione del 18 novembre 1998 (in GUCE L 43 del 17 febbraio 1999) ha esortato gli Stati membri a ratificare la convenzione ILO 180 e il Protocollo alla convenzione ILO 147 del 1996 (v. nota 31). Al fine di rendere obbligatoriamente vincolante per gli stati membri la convenzione, la Comunità Europea ha emanato la direttiva 99/63/CE che consente di applicare la convenzione 180 agli stati che battono bandiera di paesi terzi che approdano nei porti comunitari

[47] È stato affermato che la Convenzione conteneva una definizione ambigua del tempo di lavoro, interpretando tale periodo come quello in cui il marittimo è a disposizione dell’impresa senza però fornire alcuna prestazione lavorativa, v. Beistegui, El tempo de trabajo…, cit., 241; Politakis, Updating the international seafarer’s code: recent developments, in Int.nl Journal of marittime and coastal law, vol. 12, n. 3, 1997, 359.

[48] Per alcuni contributi v. Innocenzi, Il riposo settimanale dei marittimi nell’evoluzione giurisprudenziale, in dir. Trasp., 1991, 68 e segg; Catudella, Orario di lavoro e riposo dei marittimi, in Arg. Dir. lav., 2001, fasc. 3, 1085-1097, nota a sentenza Trib. di Genova 27 ottobre 2000; Gentile, Verso la ridefinizione a partire dai marittimi, del compenso per il lavoro festivo dei turnisti, in Foro. It., 1994, fasc. 3, 849-854, pt. 1, nota a Cass. Sez. lav. 23 gennaio 1993 n. 793

[49] v. Lefebvre, Pescatore, Tullio, Manuale di diritto della navigazione, X ed., Milano, 2004, 366.

[50] v. Grigoli, Regime dei beni nautici ed esigenze di sicurezza della navigazione, op. loc. cit. rileva, giustamente, come la frammentarietà - che caratterizza tutto il “substrato soggettivo” rappresentato dal lavoro nautico-, sia dovuta anche al fatto che il legislatore nazionale, dopo una iniziale inerzia, pur di conformarsi al regime comunitario ha trascurato di contemperare l’esigenza derivante dal rispetto delle norme comunitarie con quella di dare organicità alla materia..

[51] Ad eccezione delle navi da guerra, da pesca, delle imbarcazioni da diporto, delle imbarcazioni di legno di costruzione rudimentale.

[52] V. Lefebvre, Pescatore, Tullio, Manuale …, cit., 303.

[53] L’art. 3, comma 4, prevede che le attività che vanno al di là delle normali attività di navigazione e di porto dovranno essere svolte in maniera tale da ridurre al minimo il disturbo nei periodi di riposo del lavoratore e non provocare affaticamento.

[54] v. Menghini, I contratti di lavoro…, op. cit., 214-215.

[55] Avendo recepito nel testo le disposizioni contenute nella convenzione ILO n. 180.

[56] v. Pischedda, L’investigazione sui sinistri marittimi e l’errore umano, in corso di pubblicazione nell’ambito della ricerca PRIN 2003 su “La sicurezza nella navigazione. Profili di diritto interno, comunitario e internazionale”.

[57] Non appare, tuttavia, chiaro se la limitazione alle navi impiegate in viaggi di breve durata o adibiti ai servizi portuali (tecnico-nautici) valga solo per i congedi compensativi.

[58] La norma non specifica se l’autorizzazione ministeriale alla stipula sia preventiva, con la conseguenza di ridurre l’autonomia collettiva delle parti, o se invece sia successiva limitandosi ad una mera valutazione di congruità; su questo aspetto si veda il parere della XI Commissione permanente della Camera dei Deputati del 13 aprile 2005.

[59] Sefarer’s training, certification and watchkeeping code. Sul tempo di lavoro nella STCW v. Beistegui, El tempo de trabajo como elemento costitutivo de la seguridad marittima: sus implicaciones en relacion con el control de los busques per el estedo del puerto, in Anuario de derecho maritimo, vol. XX, 2003, 237.

[60] Il comitato di sicurezza marittima dell’IMO nel maggio 2002 ha incaricato il sottocomitato sulla formazione di esaminare prescrizioni obbligatorie sulla capacità e sulla formazione dei lavoratori con riferimento all’elemento della fatica; sul punto v. Palomares, El factor humano y los accidentes maritimos, in ANAVE; Cuaderno Profesional Maritimo, n. 224/2002, 7.

[61] XI Commissione permanente della Camera dei deputati, seduta del 13 aprile 2005, allegato 5.

[62] Sulla definizione di equipaggio e sulla necessità di operare una distinzione tra equipaggio in senso stretto (iscritto nel ruolo di cui all’art.170 cod. nav con il quale l’armatore stipula il contratto d’arruolamento) e gli altri lavoratori che effettuano la propria prestazione lavorativa a bordo alle dipendenze dell’armatore e con i quali egli stipula un contratto di lavoro subordinato v. Enrico voce Equipaggio, in Digesto, Discipline priv. Sez. comm, V, 259-261; Minale Costa, voce Lavoro nella navigazione, in Digesto disc. priv. Sez. comm, VIII, 405.

[63] V. Nodari, Il diritto alle ferie tra normativa internazionale e normativa europea,in Il lavoro nella giurisprudenza, n.5/2004, 458- 463.

[64] V. Beistegui, El control de los busques por el Estado del puerto, in Anuario de Derecho maritimo, vol. XIII, 1996, 167.

[65] Il reclamo può essere proposto da un membro dell’equipaggio, da un organismo professionale, da un’associazione, da un sindacato o da chiunque sia interessato alla sicurezza della nave e la persona che presenta il reclamo deve risultare anonima al comandante e all’armatore.

[66] Con riferimento alle navi di Stati terzi, la direttiva di applica a queste navi soltanto dopo l’entrata in vigore della Convenzione ILO 180 e del Protocollo della convenzione 147. Dopo l’entrata in vigore di questi strumenti internazionali, il trattamento riservato alle navi immatricolate o battenti bandiera di uno Stato non contraente non dovrà essere più favorevole di quello riservato ad una nave di uno Stato parte.

 

 

Data di pubblicazione:  14 dicembre 2005