Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2003/1

 

Riflessioni sparse sulla nuova disciplina
dei patrimoni destinati ad uno specifico affare *

 

Giovanna Cucinella **

  

 

  Uno degli istituti che presenta più spiccati tratti di innovazione normativa nel panorama della riforma del diritto delle società di capitali (introdotta con il D.Lgs.6/2003) è senz’altro rappresentato dai patrimoni destinati ad uno specifico affare cui il legislatore dedica una intera nuova sezione, la XI, contraddistinta dalla novellazione dell’art. 2447 nell’articolazione, di latina memoria, da bis a decies.

 

Le fattispecie

È l’art. 2447-bis, appunto, che rileva le due fattispecie di patrimonio separato che è possibile costituire con il vincolo della destinazione allo svolgimento di un unico affare. Di queste, solo per quella segnata di lettera a), si può parlare di patrimonio destinato in senso stretto o di natura industriale, in quanto, propriamente, è consentito alla società per azioni di costituire (oserei aggiungere, in seno al suo patrimonio) uno o più partizioni di esso che sono destinati in via esclusiva ad uno specifico affare.

Con la seconda fattispecie (di cui alla lettera b), la società può, invece, stabilire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare, al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati, in tutto o in parte, i proventi derivanti dalla conduzione dell’affare che ne costituisce oggetto (patrimonio di natura finanziaria).

Una certa parte della dottrina [1] ha, poi, individuato tra le pieghe dell’art. 2447-ter (in particolare, alle lettere d) ed e) laddove è possibile leggere dell’eventualità che i terzi realizzino apporti destinati allo svolgimento dello specifico affare nonché della evenienza che la società emetta strumenti finanziari di partecipazione all’affare medesimo)una terza via suscettibile di assurgere a fattispecie autonoma:il patrimonio, costituito nell’ambito del più ampio patrimonio societario, che è destinato allo svolgimento di uno specifico affare e che si alimenta altresì degli apporti [2] di eventuali terzi, i quali non sono soci della società (patrimonio di natura mista) [3]. Ciò, essenzialmente, per la ricorrenza di due ordini di ragioni:

1) il loro apporto non ha la natura di conferimento: infatti, non ricevono azioni in cambio ma, eventualmente, strumenti diversi di partecipazione all’affare specifico;

2)  la remunerazione dell’apporto è legata alle vicende dell’affare specifico e non alle sorti della società [4].

È possibile, dunque, rilevare che, mentre nella sub specie a) (del patrimonio destinato, in senso stretto) il fenomeno è destinato ad avere una mera valenza interna alla società (a meno di considerare la posizione dei creditori sociali e di quelli particolari legati all’affare specifico, dei quali ci occuperemo tra breve), nelle sub specie b) e c) è possibile cogliere tutta la vocazione di apertura al mercato alla ricerca di nuove fonti di finanziamento di cui il legislatore ha voluto connotare l’istituto.

 

Le ragioni economico–giuridiche

Si ritiene che la ratio giuridico – economica dell’istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare vada proprio ricercata in questa esigenza, sempre più avvertita soprattutto dalle imprese di dimensioni medio – grandi, di reperire mezzi finanziari freschi e a buon mercato ricorrendo a canali alternativi a quello tradizionale, bancario; ed affonda le proprie radici nel cronico stato di sottocapitalizzazioneche caratterizza le nostre imprese.

In un’ottica, poi, di globalizzazione dell’economia, la conseguente concorrenza fra ordinamenti ha indotto, più volte, il legislatore dell’ultimo decennio a costruire le norme di diritto commerciale secondo un metodo per così dire economico e, quindi, sulla scorta dell’esperienza maturata da altri paesi dominanti (primo fra tutti gli Stati Uniti d’America) [5].

Si consideri, poi, un altro aspetto: è noto che, in passato, lo strumento adottato per il compimento di un affare determinato da parte di una società è stato quello della costituzione di una società ad hoc per la realizzazione dell’affare medesimo.

Ora, è assolutamente di tutta evidenza il peso economico di una simile operazione: costituire una società, gestirla per le finalità proprie dell’affare e liquidarla al conseguimento dell’oggetto sociale comporta un dispendio non indifferente di risorse che, si ritiene, possano essere risparmiate con lo strumento dei patrimoni destinati costituiti in seno al più ampio patrimonio societario, proprio per le peculiarità procedurali volute dal legislatore e caratterizzate da una certa maggiore snellezza.

 

 

I patrimoni destinati nel più ampio fenomeno della separazione patrimoniale

L’istituto, senz’altro nuovo per il diritto societario, non è, tuttavia, sconosciuto alle legislazioni speciali che, anzi, sempre più spesso, fanno ricorso alla categoria del patrimonio separato per definire quegli assets, quegli elementi, cioè, del patrimonio di un dato soggetto che sono sottratti alla garanzia generica offerta ai creditori per essere destinati, piuttosto, alla garanzia dei crediti sorti per una finalità particolare.

In altre parole, è noto che uno dei principi fondamentali sui quali poggia tutto il nostro ordinamento giuridico sia rappresentato dall’art.2740 del c.c. a mente del quale il debitore risponde dell’adempimento di tutte le sue obbligazioni con tutto il suo patrimonio costituito dai beni presenti, certamente, ma addirittura anche da quelli futuri.

Il seconda comma, però, aggiunge, che eventuali limitazioni a tale esteso regime di responsabilità per le obbligazioni contratte possono essere dettate da leggi speciali che, appunto, deroghino al principio dettato in generale.

 Un paio di esempi possono aiutare a comprendere la rilevanza del fenomeno:

a) il legislatore ammette che alcuni beni costituenti il patrimonio della famiglia siano destinati alla soddisfazione dei bisogni della famiglia medesima (il cosiddetto fondo patrimoniale).

Pertanto, i creditori sorti in relazione alle obbligazioni contratte per i bisogni della famiglia hanno dei beni determinati sui quali rivalersi loro e nessun altro; ciò equivale a dire, da un altro punto di vista,che ad altri eventualicreditori sorti in relazione a bisogni diversi da quelli propri della famiglia è preclusa la soddisfazione sui beni costituenti il fondo patrimoniale;

b) il legislatore ammette che alla morte di un determinato soggetto, i suoi eredi accettino l’eredità con beneficio d’inventario con ciò impedendo che si realizzi la confusione tra il patrimonio del de cuius e i patrimoni dei suoi eredi.

Il risvolto pratico dell’istituto è dettato dall’evenienza che i creditori del de cuius non possono contare -anche - sul patrimonio degli eredi ma possono trovare ragione dei loro crediti solo sul patrimonio del loro debitore defunto, ovviamente, se e nella misura in cui è possibile ritrarre qualcosa; a contrario, i creditori personali degli eredi possono contare solo sul patrimonio di costoro e non anche sul patrimonio del defunto.

Il fenomeno della separazione patrimoniale è, dunque, il fenomeno attraverso il quale si consente, legislativamente, che il titolare di un complesso di beni ne isoli alcuni per sottrarli alla garanzia dei suoi creditori generali e li destini, piuttosto, alla garanzia dei creditori particolari che sono tali in quanto legati alla utilizzazione che di questi beni separati fa il debitore.

Ebbene, il patrimonio destinato ad uno specifico affare rileva come fenomeno di separazione patrimoniale e conseguente limitazione della responsabilità [6].

Infatti, i beni specificamente individuati che sono destinati alla realizzazione dell’affare determinato sono offerti unicamente per la soddisfazione dei creditori sorti in relazione all’affare medesimo. Ne consegue che, a contrario, in capo ai creditori sociali il fenomeno debbaapprezzarsi come limitazione della garanzia patrimoniale potendosi soddisfare solo sul patrimonio residuo; ecco, perché detti creditori possono fare opposizione avverso la delibera che istituisce i patrimoni destinati, ma di questo parleremo a breve andando per gradi nel commento degli articoli in premessarichiamati.

  Occorre, in primo luogo, rimarcare che proprio per evitare l’eccessiva atomizzazione del patrimonio societario, la possibilità di costituire patrimoni destinati è limitata, complessivamente, al 10% del patrimonio netto della società. Ovverosia, è possibile costituire più patrimoni separati ma complessivamente, in valore, non devono superare il 10% del patrimonio netto della società.

L’affare alla cui realizzazione sono destinati beni del patrimonio sociale ben determinati non deve, poi, essere oggetto di riserva di legge per evitare che con questo espediente certe società svolgano una attività altrimenti riservata e, dunque, soggetta ad autorizzazione (si pensi, per tutte all’attività bancaria) (art.2447-bis, comma 2).

 

 

Il patrimonio destinato di natura “industriale”

A meno che lo statuto non disponga diversamente, la competenza a deliberare dell’opportunità di destinare parte del patrimonio ad uno specifico affare è dal legislatore riservata al consiglio di amministrazione ovvero al consiglio di gestione, nelle società che hanno adottato il sistema di amministrazione che prevede quest’organo.

Ciò costituisce, indubbiamente, un primo elemento da cui è possibile cogliere quella snellezza procedurale poc’anzi accennata voluta dal legislatore, la soluzione opposta essendo, una delibera dell’assemblea straordinaria con conseguente modifica dell’atto costitutivo. La soluzione risponde, poi, ad una logica di economicità e tempestività poiché nessuno meglio degli amministratori cui è demandatala gestione della società dovrebbe essere in grado di percepire la convenienza dell’affare e la portata dello stesso.

Il legislatore sottolinea più volte questi aspetti prevedendo in maniera dettagliata, all’art. 2447–ter, il contenuto della deliberazione assunta.

Tra gli altri elementi, si considerino:

a) la descrizione dell’affare: l’affare, di cui si discute con un termine mutuato più dal linguaggio commerciale che da quello giuridico classico,non può essere generico né confondersi con l’oggetto sociale ma, pur potendo essere a quest’ultimo correlato, deve godere di autonoma possibilità di definizione.

Ed a questa definizione si deve pervenire in maniera puntuale, in armonia al dettato normativo che, costantemente, allorché si parli di affare ribadisce che debba essere specifico. Ad esempio, non si può genericamente definire l’affare come attività edile o di costruzione ma occorre specificare che detta attività si concreterà nella realizzazione di un edificio di 8 piani posto in via Tal de’ Tali, ecc.

Dall’esempio fatto è possibile cogliere un ulteriore aspetto: non è detto che l’affare si esaurisca in uno solo attopotendo, come normalmente avviene, constare di più atti collegati e relazionati in guisa da raggiungere il fine per il quale sono posti in essere.

È evidente, per riprendere l’esempio fatto, che la costruzione di un edificio passa attraverso diverse fasi ciascuna delle quali finalizzata all’obiettivo finale, il palazzo;

b) la descrizione dei beni e dei rapporti giuridici destinati allo specifico affare: tale assunto discende direttamente da quanto anticipato in premessa ovvero dalla necessità che, al fine di contornare la garanzia di cui godono i creditori particolari o, il che è lo stesso, di delineare i beni esclusi dalla garanzia dei creditori generali sociali, siano chiaramente descritti i beni ed i rapporti giuridici che sono asserviti al raggiungimento dello specifico affare. Per riprendere l’esempio fatto, si tratta di identificare nel patrimonio societario quali macchinari, attrezzature, ruspe, macchine escavatrici, contratti di lavoro ed altro ancora devono essere isolati perché da destinare alla costruzione del palazzo di 8 piani sito in via Tal de’ Tali.

Cioè, in altre parole, occorre individuare i beni ed i rapporti giuridici facenti parte del patrimonio societario che sono utilizzati in via esclusiva per la realizzazione dell’affare e che costituiscono la garanzia patrimoniale della soddisfazione dei soli crediti sorti in relazione all’affare medesimo.

Da tutto ciò discende:

· l’obbligo di tenuta di una contabilità separata mediante la predisposizione di libri e scritture contabili ad hoc (art. 2447-sexies);

· l’obbligo, in sede di bilancio, dell’indicazione separata di tali beni nello stato patrimoniale della società, della redazione di un rendiconto separato allegato al bilancio e della illustrazione nella nota integrativa del valore e della tipologia dei beni separati nonché dei criteri di attribuzione degli elementi comuni di costo e di ricavo (art. 2447-septies).

c)la descrizione del piano economico – finanziario: definito l’affare ed i beni ad esso destinati si tratta sostanzialmente di valutarne la congruità rispetto ai risultati sperati e le modalità tecniche di impiego. Il piano economico – finanziario è, dunque, lo strumento di valutazione prospettica della idoneità funzionale del patrimonio separato rispetto allo scopo produttivo perseguito e di tutti gli elementi di cui si compone forse il più importante è rappresentato dalla valutazione della congruità del patrimonio a raggiungere l’obiettivo prefissato in quanto costituisce il principio giustificativo dell’intera operazione di destinazione del patrimonio;

d) con la stessa delibera o con delibere successive, è possibile definire gli eventuali apporti di terzi (la sub specie c) cui accennavo poc’anzi) nonché gli eventuali strumenti di partecipazione all’affare ed i diritti che attribuiscono.

Non ci sofferma in questa sede sulle assonanze riscontrate dalla dottrina con taluni istituti di consolidata memoria nel nostro ordinamento quali l’associazione in partecipazione ed il prestito obbligazionario ed altri invece propri di altre tradizioni normative estere, tipicamente dei paesi di common low, quali i trusts[7].

Va, piuttosto, ancora una volta rilevata la possibilità offerta dal legislatore di una significativaapertura al mercato anche nella ipotesi, quella del patrimonio destinato in senso stretto, apparentemente più restrittiva per via del paletto quantitativo posto (il 10% del patrimonio netto della società).

Non è escluso, infatti, che ad esempio, più patrimoni separati di più società possano essere coordinati fra loro per la realizzazione di opere anche di grosse dimensioni senza passare per la dispendiosa costituzione di una società ad hoc;

e)il controllo contabile sull’andamento dell’affare è affidato ad una apposita società di revisione contabile qualora la società non vi sia già soggetta ed è prevista la definizione delle speciali regole di rendicontazione dell’affare intrapreso.

 

Segue: la posizione dei creditori

Della delibera così formata deve essere data ampia conoscenza legale attraverso il deposito e l’iscrizione nel registro delle imprese e, sempre allo scopo di dare dell’istituto la massima pubblicità possibile, tutti gli atti che ad esso si riferiscono devono riportare la menzione della specifica destinazione.

In difetto, ne risponde la società con il patrimonio residuo.

La delibera di costituzione del patrimonio separato non ha effetto se non dopo che se ne è curata l’iscrizione, secondo le modalità previste dall’art.2436 del c.c.

Nel termine di due mesi dalla iscrizione, i creditori sociali possono fare opposizione per la ragione, ormai più volte esposta, che la destinazione di taluni beni allo svolgimento di uno specifico affare sottrae gli stessi alla loro garanzia patrimoniale (art. 2447-quinquies[8].

Fermo restando, poi, il principio generale che i beni separati sono destinati alla soddisfazione delle sole obbligazionisorte in relazione all’affare specifico, la deliberazione assunta dagli amministratori può derogare a tale principio statuendo che per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponda anche oltre i limiti posti dal patrimonio ad esso destinato.

In tal caso, i creditori sociali sono pregiudicati in un duplice senso:

1) da un lato, non possono trovare soddisfazione sui beni separati;

2) dall’altro, i creditori particolari possono trovare soddisfazione oltre che sulpatrimonio loro destinato anche sul patrimonio residuo.

Da ciò il diritto di opposizione all’operazione riservato ai creditori sociali ma degli effetti derivanti dall’esercizio di tale prerogativa nulla il legislatore dice. Il silenzio del legislatore è stato, peraltro, interpretato come volontà di contenere entro limiti più ristretti la tutela dei creditori, rispetto ad altre analoghe esperienze, privilegiando l’interesse della società alla utilizzazione del patrimonio destinato per la realizzazione dell’affare all’interesse dei creditori di non vedere compressa l’originaria estensione della garanzia patrimoniale.

Il principio non mi pare del tutto condivisibile in considerazione degli effetti, negativi, di destabilizzazione che nelle compagini sociali possono generarsi da una simile eventualità.

Si pensi alla posizione di taluni creditori abituali, primi fra tutti le banche che, certamente, si porranno al riparo della sopravvenuta limitazione della garanzia patrimoniale ricorrendo più massicciamente di quanto già non facciano, alla richiesta di specifiche garanzie reali e personali.

Ovviamente, quasi per inciso, il legislatore ribadisce che la responsabilità della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito è comunque illimitata cioè va oltre il patrimonio destinato senza la necessità di apposita previsione in tal senso.

Ai sensi dell’art. 2447-novies, quando l’affare è stato realizzato ovvero se ne è palesata l’impossibilità di realizzazione, gli amministratori o il consiglio di gestione devono redigere il rendiconto finale che, unitamente ad una relazione dei sindaci e di un componente designato della società di revisione contabile, verrà deposito presso l’ufficio del registro delle imprese.

La pubblicità legale predisposta per l’inizio e la fine dello specifico affare è funzione della destinazione che si intende dare a specifici beni facenti parte del patrimonio sociale; infatti, così come la pubblicità iniziale segna la data a partire dalla quale è dato di rilevare la separazione tra due masse patrimoniali, l’una destinata alla soddisfazione dei creditori sociali generali, l’altra destinata alla soddisfazione dei creditori particolari dello specifico affare, parimenti, la pubblicità finale segna la data a partire dalla quale si ricostituisce l’unità del patrimonio e si ripristina il principio della completa responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.

Se esistono ancora obbligazioni contratte non soddisfatte, entro tre mesi dal deposito del rendiconto finale, i creditori particolari insoddisfatti, mediante lettera raccomandata inviata alla società, possono chiedere la liquidazione del patrimonio separato al fine della loro soddisfazione, appunto.

Tale iniziativa si apprezza quale atto interruttivo dell’effetto della ricongiunzione dei patrimoni come più sopra riferita.

 

Il patrimonio di “natura finanziaria”

Al finanziamento destinato ad uno specifico affare, il legislatore dedica, infine, l’art. 2447–decies ove, ferma restando la peculiarità del contratto in esame, sono ripresi molti dei concetti sin qui esposti.

Innanzitutto, occorre rilevare che qui non si ha l’enucleazione di taluni beni dal più ampio patrimonio societario per il loro asservimento alla realizzazione di uno specifico affare, ma la stipulazione di un contratto di finanziamento con i terzi il cui ricavato è destinato alla realizzazione di uno specifico affare.

Ovvio, pertanto, che il contratto di finanziamento descriva l’operazione cui è destinato indicando i tempi di realizzazione, i costi previsti ed i ricavi attesi onde valutarne la congruità nei termini già espressi e debba essere depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese. Altrettanto, ovvia, la previsione della tenuta di una contabilità separata, di una separata indicazione in bilancio, dell’adozione di distinti sistemi di incasso delle partite derivanti dalla conduzione dello specifico affare.

Il finanziamento è remunerato in tutto o in parte con i proventi dell’affare condotto; i proventi, dunque, costituiscono patrimonio separato in quanto destinati esclusivamente alla soddisfazione dei terzi creditori – finanziatori. Ciò serve a distinguere il finanziamento destinato da un qualsiasi altro prestito obbligazionario: gli obbligazionisti hanno la certezza (?) del rimborso del capitale conferito e della remunerazione periodica dell’investimento effettuato; i finanziatori “specifici”sono remunerati in tutto o in parte con i proventi dell’affare ed il contratto deve prevedere un tempo massimo per il rimborso, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore.

Sulla parte di tali proventi che è destinata alla società, i creditori sociali possono solo compiere azioni conservative a tutela dei loro diritti.

Il fallimento sopravvenuto della società impedisce la continuazione dell’affare ed i finanziatori hanno diritto ad insinuarsi al passivo per il loro credito, al netto delle somme già incassate.

È, infine, previsto, che al di fuori delle ipotesi di cartolarizzazione previste dalle leggi vigenti, i finanziamenti o meglio le quote di essi non possono essere rappresentate da titoli destinati alla circolazione; ove ciò fosse possibile, si sarebbe trovato un’escamotage alla stringente disciplina dettata dal legislatore del T.U.F. a proposito di titoli quotati o semplicemente diffusi tra il pubblico.

 

 

Un nodo irrisolto: il rapporto con le azioni correlate

Un’ultima osservazione mi sia ancora consentita, che attiene al fenomeno, sostanzialmente nuovo, delle azioni correlate di cui all’art. 2350.

La previsione di dette azioni discenderebbe dalla norma dell’art. 2348 che rimette allo statuto - o a successive modificazioni di questo – la creazione di speciali categorie di azioni fornitedi diritti diversi.

Orbene, nella specie si tratta di azioni i cui diritti patrimoniali sono correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settorevale a dire che il diritto agli utili e, talvolta, anche il diritto alla liquidazione conferiti da tali azioni sono correlati ai risultati di uno specifico ramo dell’impresa, piuttosto che al complesso delle attività esercitate dalla società emittente.

Il dubbio che, ovviamente, avanza la dottrina attiene al pericolo di indebite sovrapposizioni con l’istituto dei patrimoni destinaticon riferimento a due problematiche di prim’ordine:

1) il difficile e labile equilibrio tra le posizioni dei creditori sociali e quelli dei creditori particolari;

2) la definizione delle affinità e delle differenze tra i titolari di strumenti di partecipazione all’affare e gli azionisti titolari di azioni correlate.

Ritengo, comunque, che una risposta potrà discendere esclusivamente dall’applicazione pratica degli istituti menzionati e dalla risoluzione dei conflitti che ne potranno sorgere; come, infatti, è stato autorevolmente scritto, “il momento del conflitto costituisce il primo, se non l’unico, effettivo momento di verifica della giustificabilità di ogni regola o istituto giuridico” [9].



* Intervento svolto al Seminario “I Titoli di partecipazione nella s.p.a. e nelle società cooperative”, Facoltà di Economia dell’Università di Palermo, 25 ottobre 2003.

** Dottoranda di Ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico I”; assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Diritto dell’economia e dell’ambiente

[1] Manzo-Scionti Patrimoni dedicati e azioni correlate: «cellule» fuori controllo?, in Società, 2003, 1329 e ss.

[2] Considerata la genericità della formula utilizzata dal legislatore che parla indistintamente di «apporti» si può ritenere che gli stessi abbiano natura finanziaria ma che possono anche consistere di opere, servizi, know-how, ecc.;

[3] Le tre “nature” industriale, finanziaria e mista, suggerite dal dibattito dottrinale seguito alla emanazione della legge delega 3 ottobre 2001 n. 366, sono state riprese, fra gli altri, da Di Sabato, Sui patrimoni dedicati nella riforma societaria, in Società, 2002, 665 e ss.

[4] Invero, le affermazioni rese sono suscettibili di essere ridiscusse dal nuovo corso dettato dalla riforma delle società di capitali in tema di strumenti di partecipazione. E’ noto, infatti, che ai sensi del comma 5 dell’art. 2346 del c.c. la società per azioni può emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti a fronte degli apporti (anche di opera o servizi) realizzati da soci o da terzi. Ed ancora, nello specifico, la lettera e) dell’art. 2447-ter c.c. precisa che la delibera di destinazione che dovesse approvare l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare deve specificare i diritti che tali strumenti attribuiscono.

Una lettura sistematicadelle due norme sopra richiamate dovrebbe condurre alla conclusione della sostanziale riconducibilità ad unità delle due categorie di strumenti finanziariivi contemplate, con la conseguenza che, anche laddove non dovesse riconoscersi natura azionaria agli strumenti di partecipazione allo specifico affare, “ad essi potranno comunque attribuirsi diritti partecipativi, tra i quali anche quelli inerenti al governo di cui all’ultimo comma dell’art.2351 (diritti di voto su argomenti specialmente indicati e nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di sorveglianza o di un sindaco)”, con ciò rendendo particolarmente labile e discutibile il confine tra soci e non soci. (conforme in tal senso, Lamandini, I patrimoni separati nell’esperienza societaria (Prime note sul progetto di riforma), Relazione al Convegno di Studi “Introduzione al trust”, Modena, 11 ottobre 2002, cui è ascrivibile il corsivo);

[5] Portale, Dal Capitale assicurato alle «trading stocks», in Rivista delle Società, 2002, 146 e ss.

[6] In senso conforme, Fauceglia, I Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Fallimento, 2003, 809 e ss., Girino, Nuova finanza societaria: patrimoni «dedicati» e finanziamenti «destinati», in Amministrazione e Finanza, 2003, 335 e ss.; Inzitari, I Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Contratto e Impresa, 2003, 164 e ss.

[7] Si rinvia, ampiamente, a Inzitari, cit., nonché Ferro–Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, 121 e ss.

[8] Molti dubbi sono stati sollevati circa la reale incisività di un diritto di opposizione dei creditori sociali così congegnato. Rileva, in primo luogo, l’esiguità del termine assegnato pari a due mesi decorrenti dalla data di deposito ed iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese, termine che non è in linea con quello stabilito dal legislatore in altre circostanze; si pensi, per tutte, alla cessione dei rapporti giuridici di cui all’art. 58 del Testo Unico Bancario ove sono previsti tre mesi dall’adempimento di forme di pubblicità sicuramente più efficienti.

In secondo luogo, rileva la incapacità dell’iscrizione del registro delle imprese di essere effettivo strumento di diffusione ai terzi della conoscenza di eventi giuridicamente rilevanti rimanendo, piuttosto, ancorato all’alveo della opponibilità(Inzitari, cit.);

[9] Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, cit.

 

data di pubblicazione: 12 novembre 2003